Le immagini più belle e significative della manifestazione-rivoluzione in tutta Europa del 14 novembre 2012
(In fase di selezione)
Dal blog: http://www.lettera43.it/politica/europa-l-unione-e-a-pezzi_4367572583.htm
LO SCENARIO
Europa, l'Unione è a pezzi
Il Sud si allea contro l'austerity. Il Nord è coeso contro nuove spese. E la guerra sul bilancio rischia di far saltare tutto.
di Barbara Ciolli e Giovanna Faggionato
All'indomani delle manifestazioni del 14 novembre indette dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces), il bilancio è di una progressiva frammentazione, anziché di una coesione, economica e sociale.
L'UE A DUE VELOCITÀ. Sul piano della mobilitazione, complici i diversi strumenti di lotta sindacale messi in campo nei Paesi dell'Ue, si è riproposta la separazione tra gli Stati del Nord, con l'economia nazionale ancora stabile e le piazze semivuote, e l'Europa del Sud, scossa da tensioni sociali che sfociano ormai regolarmente in episodi di guerriglia urbana.
L'Europa a due velocità si ripropone anche sul fronte politico, con Consiglio, Commissione e parlamento europei impegnati in un braccio di ferro su chi chiede risorse aggiuntive e chi vuole i tagli alla spesa, da decidere nei budget per i prossimi anni.
UNIONE SOCIALE A RISCHIO. Inevitabilmente, la crisi peserà sulle politiche sociali comuni per gli ormai quasi 500 milioni di cittadini dell'Ue. Che si interrogano se il processo di accentramento e la cessione di sovranità in corso porteranno davvero ai futuri Stati Uniti d'Europa. Oppure, invece, a un'Europa ancora più divisa e povera.
Sindacati frammentati in Europa e incapaci di un'azione davvero comune
Nel giorno dell'austerity il quadro è stato sconfortante, nonostante la chiamata dei sindacati raccolti nella lotta contro la tecnocrazia europea in diversi Paesi.
La Ces sulla carta rappresenta 84 sindacati nazionali. Ma formalmente hanno aderito alle proteste 40 organizzazioni sindacali in 23 Paesi, cioè meno della metà dei sindacati rappresentati a Bruxelles. E con formule molto diverse.
GUERRIGLIA NELL'EUROPA DEL SUD. In Spagna e in Grecia, dove la disoccupazione giovanile è in drammatico aumento con punte del 50%, ma anche in Portogallo e in Italia, migliaia di persone sono scese in strada e sono andati in scena soprattutto gli scontri tra polizia e manifestanti, con feriti, cariche e manganellate.
Al Nord, invece, dall'Olanda ai Paesi scandinavi, i sindacati hanno organizzato azioni dimostrative e picchetti di solidarietà per i lavoratori degli Stati in crisi: in Germania, dove formalmente non c'è stata alcuna adesione, i dimostranti sono stati poche centinaia.
In Belgio, a Bruxelles, gli indignados si sono riuniti davanti alle ambasciate di Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e Cipro, per spostarsi poi a lanciare uova davanti a quella della tedesca.
La ricerca di un nuovo modello di lotta comunitaria
La questione è in parte di forma: il modello scandinavo con tre grandi sindacati slegati dalla politica e divisi per settore produttivo, difficilmente si sposa con le organizzazioni politicizzate dell'Europa del Sud.
In parte, invece, il problema è di sostanza: i lavoratori tedeschi non scendono in piazza per gli spagnoli disoccupati. E il coordinamento comunitario non ha il potere per superare gli egoismi. All'Europa, insomma, non manca solo un governo, ma anche tutti i corpi intermedi in cui la società civile si organizza.
Ma «in un momento in cui si impone la ridefinizione dei modelli, che il dibattito resti acceso grazie all'attivismo delle organizzazioni e delle nuove reti di protesta degli Stati del Sud» è comunque significativo, commenta a Lettera43.it Mirella Baglioni, docente di Sociologia del lavoro all'Università di Parma ed esperta di politiche sociali ed economiche europee.
Di conseguenza, «un certo approccio miope dei sindacati, che spesso hanno guardato a difendere le loro categorie di lavoratori, pur senza ostacolare le altre, dovrà essere necessariamente rivisto e allargato», spiega Baglioni.
La guerra sul budget rivela i particolarismi europei
Il miglior termometro delle spinte centrifughe che animano l'Europa è d'altronde la guerra in corso sul budget dell'Ue.
Come prevedibile, alla fine del settennato di programmazione finanziaria 2007-13, le spese della Commissione sono aumentate perché i progetti finanziati sono in dirittura d'arrivo. Tanto che il bilancio del 2012 ha un buco di 8,9 miliardi di euro: se non ripianato si traduce in tagli al programma Erasmus, ma anche ai fondi strutturali che arrivano alle Regioni e ai programmi del fondo sociale.
BILANCIO 2013 BLOCCATO. Ma i Paesi del Nord Europa si sono rifiutati di aprire i cordoni della borsa. E il parlamento europeo per tutta risposta si è rifiutato di iniziare la discussione sul bilancio del 2013.
IN GIOCO IL FUTURO DELL'UNIONE. La posta dello scontro, insomma, è altissima.
Contemporaneamente si è aperta la battaglia (campale) per il budget dei prossimi sette anni (2014 - 2020). E, non a caso, i due fronti contrapposti sono gli stessi: i Paesi del Nord, capeggiati dalla Gran Bretagna di David Cameron stanno cercando di tagliare la quota di contributi dovuti al governo comunitario e di trattenere i fondi in casa. I poveri del Sud cercano invece di drenare risorse.
La posizione degli oltranzisti settentrionali è maggioritaria all'interno del Consiglio dell'Ue, tanto che il presidente Herman Van Rompuy ha presentato un contro piano di bilancio con tagli da 80 miliardi, di cui 25 miliardi alla politica agricola comunitaria.
IN GIOCO IL FUTURO DELL'UNIONE. La posta dello scontro, insomma, è altissima.
«La partita si gioca a livello macroeconomico - su quanti punti di Pil devono essere destinati a Bruxelles - ma alla fine è uno scontro politico», spiega Francesca Balzani, europarlamentare membro della commissione Bilancio.
Ma attenzione: «In gioco c'è il futuro dell'Unione: va da sé che se tagli il bilancio di un'istituzione è un segnale molto chiaro».
Giovedì, 15 Novembre 2012
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