Angelo Riviello "Apparecchia americana mena 'a bomba e se ne và", 1977/78 |
Dal blog di Mario Onesti - Mercoledì Set 12,2012
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17 Settembre 1943 – Le 177 vittime innocenti del bombardamento – Largo Cantalupo a Campagna (Sa)
Si era a meno di dieci giorni dall’Armistizio, l’Italia era in mano all’invasore tedesco. Al Centro-Nord si organizzava la “Resistenza”, al Sud, invece, le Truppe Alleate avanzavano per liberarlo. In quei giorni i bombardamenti colpirono anche le nostre zone. Sedici Comuni furono coinvolti (Acerno, Albanella, Altavilla S., Battipaglia, Campagna, Capaccio, Castelcivita, Controne, Contursi, Eboli, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella, Olevano sul Tusciano, Pontecagnano, Roccadaspide) nella “tragedia delle popolazioni della Valle del Sele e dintorni”, come ha scritto Paolo Tesauro Olivieri nel suo Libro “Settembre 1943? (Studio P/Edizioni – Luglio 1979). Le guerre moderne non conoscono “solo vittime sui campi di battaglia”, ma anche quelle, che, “in paesi e città”, si contano “tra inermi popolazioni civili”. Tesauro Olivieri per farci conoscere “i danni di guerra ed i nomi dei morti civili”, per “raccoglierli in un volume, consegnarli al ricordo imperituro dei posteri e scolpirli sul marmo”, ha vagato a lungo per “paesi e contrade”. Gli storici, nel senso più ampio, ci hanno consegnato “un quadro chiaro” di quella parte della guerra che va sotto il nome di “battaglia di Salerno”. Oltre ai “civili”, tanti, anche in Italia, in quegli anni immolarono la propria vita “per la comunità nazionale”. Non ci sono, perciò, morti di serie A e di serie B, essi sono tutti uguali e meritano, per umana pietà, identico rispetto. Un “distinguo”, però, va fatto fra chi morì per “ridare al paese dignità, libertà e democrazia” e fra chi, pur credendo di essere nel giusto, “morì per opposti motivi”.
Caduto il Fascismo (che, nel “ventennio”, cancellò le libertà democratiche, si alleò con l’invasore nazista, lasciandosi trascinare nella folle avventura della guerra, ed emanò, nel 1938, le vergognose “leggi razziali”), il 25 Luglio del 1943, e formato il nuovo governo, sotto la direzione del Maresciallo Badoglio, le truppe tedesche intensificarono la loro opera di “fortificazione” in tutto il paese. Il Terzo Reich aveva in Italia 18 Divisioni: Rommel comandava quelle del Settentrione, Kesserling quelle del “Gruppo Sud”. La Divisione “Panzer”, la Sedicesima, già impegnata a Stalingrado, copriva il “terreno tra Eboli e Battipaglia”. Gli Alleati sbarcano in Sicilia e a Cassibile, 3 Settembre, firmano con il Governo Italiano “le clausole di armistizio”. L’Alto Comando Alleato è informato che i nuovi governanti sono in pericolo e “corre voce” che, da un momento all’altro”, i tedeschi prenderanno in pugno l’intera situazione. Allora stringe i tempi e firma con l’Italia l’Armistizio l’8 Settembre. Molti si illusero che la guerra era finalmente finita. Si chiudeva, invece, “solo una delle più tristi vicende della nostra storia” e “se ne apriva un’altra, scritta non solo col sangue, ma anche con le lacrime delle popolazioni inermi”. Lo “sbarco” di Salerno (9 Settembre) aveva “lo scopo di mantenere l’occupazione di un porto più a nord possibile in Italia”, dalla cui “salda base”, poi, “mantenere grosse forze sul continente” (“Operazione Avelanche”, questo era il “nome convenzionale” – Il X Corpo Inglese ed il VI americano formavano la Quinta Armata, posta agli ordini del generale March Clark). Il porto prescelto era Napoli, ma, “visto che era troppo difeso, vennero studiate le rive di sbarco più vicine possibile e quelle di Salerno risultavano le più adatte”. La Pianura di Pesto e le colline circostanti erano contese da Tedeschi ed Anglo-Americani. Alla sospensione delle ostilità, da parte dell’Italia, si unì lo “sbarco degli Alleati”, nella notte tra l’Otto ed il Nove Settembre, sulle spiagge del Golfo di Salerno. Tutte “minate” dai tedeschi, vi fu una carneficina di soldati “alleati”.
Il Cimitero “inglese” di Pontecagnano lo testimonia in modo eloquente. Questi, comunque, costruirono una “testa di ponte” ed avanzarono “verso l’interno” (Albanella, Altavilla, Roccadaspide ed Agropoli). La popolazione civile della Valle del Sele e dintorni conosce una tragedia oltremisura. I morti si contano a decine e decine, se non a centinaia, ad Acerno, Altavilla, Battipaglia, Eboli, Montecorvino Pugliano, Olevano, Pontecagnano, Roccadaspide, Serre, Campagna ed in tanti comuni ancora. Ingenti sono gli stessi danni di guerra. A Campagna, località “senza vie d’uscita”, fino al mattino del 17 Settembre 1943 “solo qualche aereo aveva lanciato degli spezzoni, che erano caduti qua e là senza rilevanti danni”. Per la sua singolare ubicazione, prima dell’Otto settembre, “nessuno immaginava che avrebbe potuto subire danni così ingenti e piangere un numero di morti così elevato e per giunta proprio quando la lotta nella Piana del Sele si poteva considerare virtualmente terminata”. Un assembramento consistente di persone, quel giorno, attendeva in Piazza Mercato il turno per ritirare, con la Tessera Annonaria, la razione di pane e pasta. Davanti al Portone del Comune sostava un autoblindo tedesco. Una fila “abbastanza lunga, per determinare quella grande ecatombe”, che “nessuna penna umana ha finora descritto nei suoi tragici particolari”!. Tra morti e feriti, giacevano a terra oltre trecento persone, tra cui diversi “sfollati”, di “Eboli e di altri luoghi”, che consideravano Campagna “sicura per la sua ubicazione” e, quindi, “adatta per lo sfollamento”. Sul luogo (ex Largo Cantalupo, oggi “Largo della Memoria”), Lato dx del Portone pricipale del Municipio, si trova una Lapide-Ricordo, ivi collocata il 17 Settembre 1965, con versi struggenti del grande Salvatore Quasimodo: “Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue,/salite dalla terra…”. Subito sotto la Motivazione che volle apporre, a futura memoria, l’Amministrazione di allora, guidata dal Sindaco socialista Avv. Antonino D’Ambrosio: “Il 17 Settembre 1943 uomini di ogni età e di ogni luogo/qui chiamate dal bisogno dell’umana assistenza/rimasero vittime di poche bombe scese dal cielo./Questa Lapide ne eterni la memoria”. Una testimanianza per il tragico, drammatico fatto accaduto. Poco più di un Verso (il quart’ultimo e metà del terz’ultimo) di “Uomo del mio tempo”. Versi straordinariamente intensi e significativi di Salvatore Quasimodo, uno dei più grandi poeti del Novecento. Ancora sconvolto dagli orrori cui ha assistito, il poeta di Modica lancia un appello, affinché un futuro di pace, di umana fratellanza possa prospettarsi alle giovani generazioni.
L’uomo di oggi – egli dice – nella sua antica abitudine all’odio, alla violenza è ancora quello dell’epoca della pietra e della fionda. Anzi, gli strumenti di morte di cui oggi si avvale, grazie ai progressi della scienza e della tecnica, sono molto più efficaci. L’uomo di oggi uccide ancora, come sempre; il suo cuore è rimasto duro e feroce come quello di Caino quando uccise il fratello Abele. Ma se i figli, cioè i giovani d’oggi, riusciranno a dimenticare il sangue fatto scorrere dai loro padri, a cancellare l’odio verso i propri fratelli lasciato loro in eredità, rinasceranno tempi nuovi, di serenità e di pace. Documenti ufficiali presso il Municipio non ne esistono. Solo presso l’Ufficio Sanitario del Comune si trovava un Elenco, in diversi punti lacunoso (e perciò non poteva avere “valore di atto ufficiale”), messo a disposizione di Tesauro Olivieri dal Vigile Sanitario Gerardo Cacciottolo. Esso fu compilato molti mesi dopo presso la Pretura di Eboli, con Atto Notorio del 26 Aprile 1944, per attestare che “il 17-9-43, a seguito di incursione aerea, erano morte molte persone”. C’era un Elenco di 135 persone, ma c’erano pure “altre vittime, circa una quarantina ancora, e poi tanti feriti”. Anche l’acqua e la luce vennero a mancare e, dopo la fine delle ostilità, popolazione ed autorità dovettero lavorare tantissimo per rimettere tutto a posto.
Spesso “il dopo è peggiore della guerra stessa!”. Basta guardare all’ultimo terremoto. Tantissimi, inoltre, furono i “danni di guerra” (sei fabbricati andarono distrutti ed oltre 400 subirono danni rilevanti; di essi 53 furono ripristinati con l’Assistenza UNRRA CASA e 350 con Pratiche Normali presso il Genio Civile). Un congruo numero di istanze furono inoltrate all’Intendenza di Finanza per il risarcimento dei “beni perduti in casa”. Un iter comunque lungo e laborioso. Fino a qualche anno fa, scriveva Olivieri nel 1979, rimanevano da definire ed evadere ancora diverse pratiche. Ricordo quando, ragazzino, con i coetanei giocavo “alla guerra”, e a tant’altri “giochi” di allora (a tal proposito, sui “giochi di ieri e i giochi di oggi” , rinvio ad un mio lungo servizio, dal titolo “Giochi di Antonio Petti e la memoria”, postato su questo Blog lo scorso 25 Gennaio 2007), sulla “casa carut arret’ addo ‘e monach” (parte anteriore dell’attuale Sede Centrale dell’Istituto Magistrale “Teresa Confalonieri”).
Fu “carneficina orrenda”. Un centinaio di corpi “vennero proiettati all’intorno, dilaniati, e rimasero per più giorni senza sepoltura”. Il caldo particolarmente intenso diede “molto più pensiero ai superstiti”, perché le salme “cominciavano a disfarsi” ed imminente era l’insorgere di un’epidemia. Uno dei presenti all’accaduto, il dottore Carlo Mirra, ci ha riferito, in questi giorni, di un carro zeppo di cadaveri, che improvvisamente prese a correre lungo la discesa alberata, per andare a fermarsi, a forte velocità, nei locali dell’ex edicola Cubicciotti (Viruzza Fontana). I corpi inanimati, rimossi, dalle macerie, dalla spontanea pietà di “confinati” ebrei, prigionieri politici e persone animate da spirito di solidarietà umana, ad incominciare dal mai dimenticato Vescovo Giuseppe Maria Palatucci, furono accatastati, sia sul posto, sia a Largo Sant’Antonio, nei pressi del Monumento ai Caduti della Grande Guerra, e, con un fazzoletto sulla bocca, in sostituzione delle maschere, procedettero alla cremazione. A questi benefattori, soprattutto a quelli “senza nome” è andata la gratitudine delle famiglie delle vittime delle cittadine di Campagna, Eboli e Battipaglia. Pure da noi, da queste modeste pagine, “una particolare segnalazione a memoria dei posteri”.
LA STORIA DIMENTICATA
Andarono per fame ma trovarono la morte
Una testimonianza ci Carmen Autuori
Un bombardamento alleato spezzò i sogni di 95 ebolitani, rifugiati a Campagna, che erano in fila per una razione di pane
Sono i morti dimenticati. È la Spon River dei poveri della Seconda Guerra Mondiale. Erano in fila con la tessera del pane, per recuperare un pò di cibo, furono massacrati da una bomba. È la storia di 95 morti ebolitani che erano sfollati nella vicina Campagna e morirono pensando di potersi salvare dalle incursioni aeree dell’Operazione Avalanche delle operazioni alleate. Era il 17 settembre del 1943: a Campagna morirono sotto le bombe 177 sfollati, 95 dei quali ebolitani. Eboli e la Piana del Sele furono inesorabilmente colpiti dai bombardamenti degli alleati che resero il paesaggio dei centri urbani un cumulo di macerie, con file interminabili di sfollati che cercavano la salvezza sui monti del circondario o nei paesi dell’entroterra. Méta di questi spostamenti di disperati diventarono Campagna, Albanella, Altavilla, Roccadaspide, Sicignano e così via. Molti ebolitani sfollarono a Campagna, attraverso le campagne di Santa Maria La Nova. Il paese di Picentini era ritenuto luogo sicuro in quanto protetto a valle da un’unica via d’accesso e a monte dal Polveracchio che, con i suoi anfratti e le numerose grotte, avrebbe dovuto preservare la popolazione da eventuali incursioni aeree. E poi c’era la fame, quella che non lascia scampo, in nome della quale qualsiasi pericolo diventa di secondaria importanza. Così l’esodo che fino a quel momento aveva spopolato le grandi città come Napoli e Salerno, dal giugno 1943 svuota anche Eboli.
«Eravamo quasi tutti “migranti” noi ebolitani - racconta perso nei ricordi Raffaele Tucci, storico farmacista ebolitano - le nostre case distrutte, unico obiettivo era quello di sfuggire alle bombe. Ci siamo rifugiati prima a San Donato, sulle colline ebolitane in un fabbricato rurale. Dormivamo in un’unica stanza, i miei genitori nel letto che gentilmente era stato ceduto dai proprietari della masseria e noi piccoli sul pavimento con le teste rivolte al centro della stanza, una sorta di raggiera umana. Avremmo dovuto raggiungere mio zio a Campagna la cui moglie era originaria del luogo - prosegue il dottor Tucci - ma per fortuna mio padre si oppose, altrimenti con ogni probabilità avremmo trovato la morte anche noi, lì davanti al forno come mio zio Enrico e suo figlio Vincenzo di soli 13 anni. Fu una carneficina».
Ed aggiunge, non senza commozione: «Ricordo che in famiglia si è sempre raccontato di questa mamma, mia zia, che ha scavato con le unghie tra le macerie e i cadaveri per recuperare i corpi del figlio e del marito, per dare loro degna sepoltura nella tomba di famiglia qui ad Eboli. Noi invece ci rifugiammo a Sicignano - conclude - dormivamo nei vagoni dei treni che stazionavano sotto le gallerie per interrompere i collegamenti». Prima del 17 settembre 1943 a Campagna c’erano state pochissime incursioni che avevano lanciato degli spezzoni senza danni rilevanti. Fino a quella tragica mattina. Come ogni giorno, davanti al Municipio, in Largo Mercato (ora Largo della Memoria) si era formata una lunghissima fila di persone che attendevano di ritirare, con la Tessera Annonaria, la loro razione di pane e pasta essendoci nelle immediate vicinanze un forno. Davanti al portone sostava un autoblindo tedesco e questa fu la causa del terribile bombardamento.
Una vera e propria ecatombe: morti e feriti, circa 300 persone provenienti dai vari paesi della provincia. Immediatamente furono allertati i soccorsi ad opera, soprattutto degli internati ebrei che erano ospitati nel convento di San Bartolomeo. Si distinse oltre che l’opera del vescovo Palatucci, quella di due medici ebrei Enrico Pajes e Max Tanzer che si adoperarono nella cura dei feriti e poi, per scongiurare il pericolo di epidemie, bruciarono i cadaveri, come racconta, fonti alla mano, il direttore del Museo della Memoria di Campagna, Marcello Naimoli. La notizia, qualche anno dopo fu riportata anche dalla prestigiosa rivista americana Life. Le vittime riconosciute furono 177, di cui 95 ebolitane. L’elenco, lungo come gli interminabili anni di guerra, è scolpito su una lapide posta accanto al portone del Municipio, in quello stesso luogo dove sostava il blindato tedesco che fu causa della tragedia.
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