martedì 25 luglio 2023

Progetto Chiena - Dettagli

 

Camion annaffiatori per le vie di Napoli. Anni 60

Camion annaffiatori e la Chiena come nettezza urbana

Mentre negli altri luoghi e città lavavano le strade con i camion annaffiatori, a Campagna (SA) si faceva la Chiena, deviando una parte delle acque del fiume Tenza, per lavare e rinfrescare il C.so Umberto, P.zza Guerriero e strade adiacenti del centro storico. Usanza andata in disuso negli anni 70, con la scomparsa del mondo contadino. Fu recuperata dopo il terremoto del 1980, e trasformata in opera d'arte con il coinvolgimento del pubblico, da un'idea progettuale in progress, di un giovane artista natio del luogo, che aveva studiato scenografia all'Accademia di Belle Arti di Roma, con contatti significativi e di amicizia, nei suoi soggiorni nella capitale e Milano, con una certa avanguardia romana, con Gino De Dominicis, Sergio Lombardo, Tullio Catalano, e milanese, con Antonio Trotta, Hidetoshi Nagasawa, LucianonFabro, Roberto Comini, Antonio Faggiano e altri (Angelo Riviello, pensando soprattutto al teatro sperimentale dei "Krypton" e del "Magazzini Criminali", attivi negli anni 70, e altri simili, come Il teatro di Luca Ronconi, che coinvolgevano il pubblico), idea condivisa nella sua poetica, da due musicisti con studi al Conservatorio di Salerno e al DAMS di Bologna, (Gelsomino Fezza e Vito D'Ambrosio) con un designer (amico di infanzia), con studi in scenografia all'AA. BB. AA. di Napoli (Gelsomino D'Ambrosio, con cui a Zurigo, nel 1972, in un'esperienza memorabile, con Riviello, fu coinvolto tra il pubblico dal teatro di Luca Ronconi), e un gruppo di intellettuali locali (Antonio Corsaro, Bruno e Vito D'Agostino, Dante De Chiara, Vito Maggio, Mario Velella, Antonino Valente) da Italia Nostra di Salerno, e in progress, con decine di altri artisti e teorici, provenienti da ogni parte d'Italia, dissidenti nei confronti della Transavanguardia e del ritorno all'ordine, tra cui, nel primo nucleo, spiccano i nomi di Alessandro Mautone, Donato Vitiello, Gutte Norrild, Patrizia Marchi, Alfonso Filieri, Lucia Buono, Enrico Viggiano, Mariano Mastrolonardo, Antonio Porcelli, Sergio Pavone, Anna Malapelle, Fausto De Marinis, Francesco Bonazzi, Franco Flaccavento, Salvatore Anelli, Pompeo Ganelli, Daniele Gibboni, Giovanbattista De Angelis, e altri, attraverso tutti gli anni 80, con Eva Rachele Grassi & Ermanno Senatore, gli anni 90 e duemila, con Arcangelo Moles, Arturo Casanova, Roberto Scala, Peter e Barbla Fraefel, con il Pesce lupo, Dario Carmentano con la sua Zattera, Irina Danilova, con "Project 59", LuLu LoLo, con "Mother Cabrini" e" Polvere", Iris Selke, con "Ophelia", De Angelis con le sue "Chiene Bianche" , e il gruppo del Manifesto Brut, con la presenza fisica di Giorgio Scotti e Rino Telaro.

La pagina di storia completa del "Progetto Chiena", è scritta in un capitolo del blog di Utopia Contemporary Art.


La Chiena a secchiate

Sento solo rumori, a tamburo battente, di musiche insignificanti, del momento, a tutto volume.

Qualcuno dirà "ma state sempre a criticare"? Oppure "chi non fa nulla, critica". Con la differenza che noi (del Museo, Ass.Giordano Bruno, e Utopia contemporary Art) possiamo permettercelo, di criticare, perché abbiamo fatto, ideato e organizzato chiene di alta qualità, dove sia la passeggiata che la secchiata, facevano parte integrante della trasformazione nel "Progetto Chiena", con l'arte a 360°, come ampiamente documentato, dal 1985, al 1994, con la prima esperienza musicale del 1982, di musicisti che hanno fatto la storia della musica. Senza i nostri esperimenti, con edizioni varie, vi attaccacavate al tram!!! Ci attaccavamo al tram, con il rischio, che sia il fiume che il canale secolare, nel post terremoto, in quel tratto veniva coperto, come già in altri casi, in Via Molinari, e a Zappino sul fiume Atri, per farne una strada di collegamento. Quindi grazie al recupero che abbiamo tutelato l'ambiente fluviale e il canale idrico, con alle spalle pronta a intervenire "Italia Nostra".

Possiamo dire che la secchiata e la passeggiata (programmate nel coinvolgimento spontaneo del pubblico), sono figlie dell'arte, di quel lontano 1985. Lo dico ai responsabili della pro loco: informatevi e studiate, prima di commentare (anche a nome nostro) i vostri video, o di rispondere nelle interviste, alle domande dei giornalisti, per evitare di fare pessime figure. Lo diciamo anche all'istituzione locale, di fare un passo avanti nell'informazione. Chi è informato dall'esterno, lo sa. Non è gente generica qualsiasi, ma gente accorta e professionisti seri, che lavorano in vari ambiti, dello spettacolo, dei media, dell'arte e della cultura in generale, e altri (tanti) che seguono.

Nel ricordo di Tonino Valente, nella Chiena 
di mezzanotte del 17 agosto, 2022, 


La Chiena di mezzanotte, Tonino Valente – Le origini-Paolo Lista-Teatro il Candeliere

Tonino Valente, all'interno del Progetto "Chiena", era il "tecnico delle acque" che si ribellò al luogo comune secono cui, con la Chiena di mezzanotte la gente "si prendeva la bronchite", e al gruppo dei promotori (Museo e Chiena), il Comune rispondeva sempre NO! NO! NO! fin dal 1985, quando si propose uno spettacolo teatrale d'avanguardia, con la regia di Paolo Lista (Teatro il Candeliere di Salerno) già ampiamente realizzato, unitamente alle performances degli artisti invitati, alternate alle secchiate e alle passeggiate, durante una delle Chiene diurne programmate (come da Catalogo Boccia, 1987), nel coordinamento artistico del sottoscritto. All'ennesimo NO! Tonino perse la pazienza, e all'insaputa di tutti, tra il nervoso e il divertito, (come ebbe modo di raccontarmi dopo, avendo tutto il mio appoggio), una sera di agosto, a mezzanotte in punto, fece il blitz aprendo le acque dal canale della Maccarunera, cogliendo di sorpresa tutti i festaioli con vestiti eleganti nello struscio della Festa patronale di S. Maria di Avigliano, in un fuggi, fuggi, generale...Il resto, lo lasciamo alla vostra immaginazione. Una riflessione va fatta, però: ma è servita a qualcosa questa sua ribellione (propositiva)? diciamo così...Se l'ha fatto, è stato perché, come uno dei pionieri, credeva fermamente nel "Progetto Chiena", di farne una Rassegna...un Festival Internazionale dell'Acqua e dell'Arte, e non che dopo 10 anni, dallo scippo del 1995, da parte di gente estranea, si utilizzasse come una sagra paesana senza senso, solo per attirare un pubblico esterno, incuriosito da questo nostro fiume che viene devato lungo le strade del centro storico. Un'altra cosa: noi (pionieri di quel recupero fluviale della Chiena, e fondatori del Museo Campagna, di 37 anni fa) che abbiamo donato una buona parte della nostra vita per la nostra città..NON CI RASSEGNIAMO!!! all'indifferenza, all'ignoranza, all'insensibilità, ai NO! NO! NO! nei fatti. Siamo quì "Pre Mortem (vivi) e Post Mortem" (sempre vivi, ma nello spirito, come Tonino e altri, tra gli artisti come Antonio Porcelli di Genoiva, e Donato Vitiello di Napoli che diedero, tra gli altri, un contributo determinante al progetto), in attesa di una decisione, per il futuro della nostra Città/Terriotrio...A QUANDO UN RICONOSCIMENTO UFFICIALE DI QUELL'OPERAZIONE PROGETTUALE CHE HA CREATO UNA GRANDE ECONOMIA PER IL CENTRO STORICO PER UN RICHAMO INTERNAZIONALE??? Anche per candidarci nel Patrimonio dell'UNESCO. QUANDO??? POST MORTEM di tutti noi? Uno alla volta? 🤘In questo modo è la nostra città che se ne muore a poco alla volta...😯

P.S. Mi rivolgo non solo al Comune di Campagna, ma anche ai consoci della "Giordano Bruno", che in assenza di alcuni soci fondatori per motivi di lavoro, consegnarono la Chiena nelle mani della Pro Loco (convinti di far bene, mentre nel tempo, fino ad oggi, si è rivelato un grande errore, a cui si deve rimediare al più presto!!!! se si vuol tentare di riprendere i lavori prima che sia troppo tardi (come la stessa associazione "G. Bruno" si auspica).





martedì 18 luglio 2023

Mino Remoli nel ricordo di Paolo Romano

 



Il giornalista Paolo Romano nel ricordo del caro amico Mino Remolino, in arte Mino Remoli.

Paolo Romano

da fb 17/luglio/2023

CIAO MINO, CI LASCI UNA CANZONE

Chansonnier, Cantautore, voce profonda, capacità innata di musicare testi, chitarrista virtuoso, scrittore, autore di due libri diversi e intensi una “Breve storia della canzone napoletana” e “Fiume”, dove racconta la sua drammatica esperienza di vittima dell’esodo dell’Istria e della Dalmazia, senza mai citarsi. Ma soprattutto un uomo buono, corretto, sempre disponibile, promotore di cultura. Ci siamo sentiti al telefono l’altra sera per predisporre i brani che avrebbe dovuto eseguire dal vivo con la chitarra per la mia prossima presentazione al Castello di Castellabate. Avevamo scelto insieme: “Passione”, “Chi tene ‘o mare” e “’O sole mio”, per le storie che li legano al mio libro. La tua chitarra resterà muta, il tuo genio canterà ancora. Ciao caro amico Mino.













sabato 15 luglio 2023

ROGO ALLA "VENERE DEGLI STRACCI" di Michelangelo Pistoletto - Alcuni pareri, opinioni, commenti

 ROGO ALLA "VENERE DEGLI STRACCI" di Michelangelo Pistoletto: doloso? Accidentale? O artistico? -

Non ci sono giustificazioni! Ma dubbi si  - Alcuni pareri, opinioni e commenti -






“Non per fare polemica o dileggiare operati altrui, ma… anche il rogo ha un significato e ci parla di una mancanza. Ad esempio per i monaci tibetani l’immanenza è tutto : i mandala di sabbia costruiti con attenzione e pazienza, a opera fatta vengono distrutti. È il processo del fare che resta. L’esperienza vissuta che è innanzitutto relazione.

Forse capiremo una buona volta che la cultura, l’arte, non si fa con una statua di plastica e quattro stracci su un reticolo metallico, piovuta dall’alto, senza nessun appiglio al contesto circostante. Cosa diversa se fosse stata frutto di una relazione con la città, così come porta avanti l’artista stesso con la sua bella idea di Terzo Paradiso.

Mi dispiace, ma credo che Napoli, le due Napoli borghese e proletaria, perbene e teppista, meriti di più.

La dichiarazione dell'artista sul rogo mi conferma tante cose. Il disprezzo verso il contrario da sé. La clava della "cultura" che definisce ignoranza i non allineati al proprio pensiero. Ma la cultura è innanzitutto comprensione, sensibilità, amore per l'umanita'. Forse ci vorrebbe una rinfrescata sul terzo paradiso”.

Daniela Morante 13/07/2023

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LA VENERE DEGLI STRACCI  _ SI PREGA DI NON TOCCARE

"La "Venere degli stracci", di Michelangelo Pistoletto (uno dei maestri dell'arte povera che ammiro, per i famosi "Specchi", il suo capolavoro) incendiata.

Gesto doloso o accidentale? O addirittura artistico? Faranno un'indagine? Però, generalmente, non si lasciano opere d'arte infiammabili per strada da sole, senza custodia. Soprattutto nelle previsioni di un'allerta meteo di ondate di calore..A volte basta un mozzicone di sigaretta. C'erano videocamere di sorveglianza? A meno che (il dubbio) la cosa (la decisione) non sia stata voluta.

P. S. E poi la filosofia dell'arte povera non contemplava l'uso di materiale effimero? E come la Land Art, era contro la mercificazione dell'arte?

È vero, come dicono alcuni, "il popolo (in questo caso napoletano, a parte i turisti), nella sua eterogeneità, merita di più".

Rifare l'opera? Allora indirettamente ammettano che nella poetica "poverista" si può, eventualmente modificare, replicare o distruggere un'opera realizzata con materiale effimero? Si rendono conto? o non possono dirlo? ma lo fanno capire... Credo che occorra tanta competenza nell'organizzare e curare tali rassegne, e che conoscano molto bene la storia dell'arte moderna, e di tutta l'Arte Povera (più azioni povere). Alexander Calder, vicino ai suoi mobiles usava aggiungere un cartellino con la scritta "SIETE PREGATI DI TOCCARE L'OPERA", per completarla nel tempo della quarta dimensione, a differenza di tutte le altre in cui si vieta severamente di toccarle. Oppure come dimostrato umilmente con la Chiena di Campagna, in cui, nel 1985, si coinvolgeva per la prima volta il pubblico con le secchiate d'acqua, come da particolare di un'idea progettuale di un'artista che lavorava sulla memoria, nel trasformarla da nettezza urbana (qual'era) a opera d'arte (immateriale), condivisa da altri artisti giovani emergenti di quegli anni 80, in cui torno' alla grande la mercificazione dell'arte, con il ritorno all'opera. Non è il caso di Pistoletto. Concetti diversi, addirittura contrapposti nel concepire un'opera d'arte.

Però mi chiedo, a che gioco si sta giocando? Mah? Perché non organizzano un dibattito pubblico al Madre o al Maschio Angioino, aperto a chiunque, non solo agli addetti ai lavori, dove parlano tutti, e non solo il maestro Pistoletto e Paladino come da il Mattino e altre grandi testate ?

Siamo seri. Hanno arrestato un clochard? Una notte o due di vitto e alloggio (ringraziando), e raggiungerà di nuovo il portico o il cavalcavia dove alloggia”.

Angelo Riviello Moscato 13/07/2023

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L'IMPREVEDIBILITÁ DEL PREVEDIBILE

“(La Venere degli stracci incendiata stamattina all'alba) In ogni ente, istituzione pubblica, ci dovrebbe essere l'esperto di sicurezza. In un post del 25 giugno mi chiedevo tra 12 perplessità, quanto ignifuga fosse l'opera. E qualche criminale stamattina l'ha testato di persona. Erano "stracci" invernali e non estivi di cotone e quindi qualcuno in pile (sintetico) che nella combustione avrà prodotto diossina.Vale anche per la statua: non in marmo ma in materiale sintetico. Infiammabile. È un triste giorno per Napoli. Qualcuno potrebbe dire «l'opera è compiuta» pensando alla banana di Cattelan che fu estratta e mangiata da un "provocatore".

Ma forse l'imprevedibilità era stata prevista. Perché l'opera di Pistoletto era ubicata a una distanza di sicurezza da edifici, cose, persone che avrebbero altrimenti generato un incendio a catena. Resterà il fatto che "a Napoli non si può fare niente di bello" e che "noi" siamo la feccia dell'Italia. Per colpa di una mano piromane e criminale. 5 anni fa parlai con uno staffista dell'ex Sindaco. Volevo esporre la mia Metamorfosi Reloaded, il panorama più lungo di Napoli, in una stazione della metro.

Per una sola giornata. Mi disse che non si poteva fare per il regolamento anti-incendio: la mia opera non era effettivamente ignifuga. Ecco, un regolamento forse no, ma il buon senso di non lasciare incustodita un'opera infiammabile, forse bastava.

Sono vicino al dolore di Pistoletto”.

Marco Maraviglia 13/07/2023

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“Può piacere, non piacere, si può criticare, parlarne male ma non distruggere. Bruciare i libri e le opere d'arte fa venire in mente un triste passato”.

Maya Pacifico 13/07/2023

“A Napoli incendiata la Venere degli stracci di Pistoletto. Un gesto orribile che va punito severamente. Ci auguriamo che scoprano i colpevoli di questo oltraggio all'arte e alla bellezza”.

Luciana Libero 14/07/2023

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“Finora non aveva scritto niente ed era meglio. Così il “curatore” ci avrebbe risparmiato questa abbuffata di retorica, dove non c’è traccia di una minima autocritica per aver pensato ad un'installazione “fuori luogo”, ma anche dilettantescamente non vigilata e non sottoposta a trattamento ignifugo. Purtroppo Napoli non sarà mai diversa perché è gestita da gente mediocre che sa vendere e vendersi, e costringe gli altri, quelli che valgono, a scappare. Ma questo lui non avrebbe mai potuto dirlo. E il male non sta solo in chi distrugge per ignoranza e delinquenza, ma soprattutto in chi mette, anche nella cultura, le “mani sulla città.


Ma quale clochard! A chi volete prendere per i fondelli! I clochard semmai, purtroppo spesso, vengono bruciati dai teppisti, ma loro non bruciano mai nulla!

Trovare come capro espiatorio un poveraccio senza fissa dimora, che fra parentesi nega tutto, arrestando il “delinquente” nella Mensa dei derelitti, rappresenta l’epilogo peggiore della vicenda. Così semplicemente si archivia la cosa sottacendo la reazione barbara di una parte della città alla tracotante invasione dell’artemostro, imposta dai barbari padroni della città che conta. Ma la cosa drammatica che emerge da questo resoconto è che non c’erano telecamere puntate sull’artemostro. Il “curatore” tutto concentrato nel farsi selfie davanti l’installazione ha dimenticato, da dilettante quale è, di richiedere le minime garanzie di sorveglianza. Ma c’è qualcuno in Comune che, oltre ad auspicare la ricostruzione imnediata dell’artemostro, pensi a chiedere le dimissioni, o più semplicemente lo licenzi, di un consigliere per l’arte contemporanea, che non solo ha consigliato male ma non ha avuto neanche cura dell’opera, rivelandosi un pessimo “curatore”?”

Aldo Elefante 14/07/2023

Brigataes.Fumo della Venere di Napoli.2023

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"Napoli: la "Venere degli stracci" vandalizzata e messa al rogo (quanto successo potrebbe accadere a un'opera di qualsiasi artista, più o meno noto). La Venere, con i suoi stracci, non è riuscita a reggere "l'ustione del reale", né ad abitare questo tempo dal cuore spento. Ma l'arte insegna che Dio non ha solo il volto della bellezza. Egli risiede anche in ciò che profondamente scuote, in un mucchietto di cenere o persino nella polvere. Ed è proprio nei silenzi o nei suoi dolori più grandi che l'arte generosamente si dona riservandoci parole di coraggio e dimostrando, col suo spirito eterno, che anche "la morte può morire". Così, seppur senza parole... sentiamo il suo perdono🙏.

Stefania Pieralice 13/07/2023


Salvatore Vargas

L'Opera bruciata, rafforza il concetto, l'idea, liberandosi della materia si purifica diventando eterna nella sua essenza

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LA VENERE DEGLI STRACCI ED IL CLOCHARD

"Il movimento dell’Arte Povera nasce, nella sua concezione, da Germano Celant che la definisce “guerriglia asistematica”, fondamentalmente è il rifiuto dell’arte tradizionale, delle sue tecniche e dei materiali per sostituirli con quelli, appunto poveri. E che cos’è la Venere di Stracci di Michelangelo Pistoletto se non rinnegare l’arte borghese e di sistema? L’estrema classicità della Venere soffocata da un cumulo di stracci. Già, gli stracci, l’estrema risorsa per coprirsi di chi non ha nulla, di chi è un paria della società. Che potenza concettuale in quell’idea perché, per chi non lo sapesse, l’arte povera è soprattutto un movimento concettuale e politico. Leggo di tanti che si scandalizzano perché una copia posizionata a Piazza Municipio sia stata bruciata ma davvero signori pensate sia questo il nocciolo del problema? Davvero avete sprecato fiumi di parole perché una copia sistemata in una delle piazze centrali di Napoli è stata data alle fiamme? Siete sicuri di essere andati oltre la superfice del problema? Avete criticato quest’opera senza capirla, eppure era così semplice da comprendere. Vi siete scandalizzati ma non vedo la stessa veemenza verso i reali problemi della gente comune, sulla povertà che aumenta ogni giorno a dismisura, sulla difficoltà del vivere della classe popolare, sui morti sul lavoro, su una deriva guerrafondaia del mondo e della nostra nazione, su un problema ambientale catastrofico. Una cosa bisogna, però dirla: quando una installazione come quella diventa monumento ha tradito se stessa, è diventata “arte di sistema”. Ora, io non sono un fan della distruzione delle opere d’arte, tutt’altro, d’altra parte io penso che la grande arte appartenga all’umanità, quindi… Ma, in questo caso, penso che la performance sia stata superiore alla copia dell’opera stessa e se, come pare, a bruciarla sia stato un barbone, un povero (appunto) in qualche modo aveva il diritto di farlo. L’Arte Povera bruciata da un povero. Geniale!

P.s. se poi, a bruciarla sono stati dei ragazzini in cerca di visibilità social il problema resta: chi ha creato i mostri? Ed anche in quel caso il destino della Venere degli Stracci ha assunto la sua funzione: quella di farvi pensare”

Massimo Sgroi 14/07/2023

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LA VENERE  DEGLI STRACCI DEL 1967

“La nuova versione in polistirolo e plastica del capolavoro di Pistoletto, vecchio ormai di 56 anni, misurava in altezza più di cinque metri e si appoggiava ad una “siepe” di vestiti dismessi poggiati su una impalcatura di ferro. Era uno strano oggetto, distante e nuovo rispetto a quello che l’artista, voce influente della cosidetta Arte Povera, aveva realizzato nel 1967. Allora si era trattato di una copia in cemento della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen, trovata in un negozio e destinata ad ornare il giardino kitsch di qualche neo-ricco.

Eravamo nella seconda metà degli Anni Sessanta, anni di grande fermento filosofico e politico. C’era una gran voglia di cambiare, in particolare in campo artistico. Non se ne poteva più di pittura e scultura, nelle forme tradizionali. Circolavano nuove parole come happening, environment, performance e anche nel teatro il palcoscenico era sentito come uno spazio claustrofobico. In questo contesto nasceva l’Arte povera, che annullava ogni formalismo estetico, ipotizzando un futuro nel quale l’arte poteva configurarsi solo come discorso sulla natura del linguaggio dell’arte stessa. Contro la tesaurizzazione mercantile dell’opera, l’artista utilizzava oggetti trovati, relitti e rifiuti industriali. La Venere originale era alta circa 130 cm, si mostrava con le spalle al pubblico, quasi affondata in un cumulo di stracci, un ammasso di detriti, un caotico mucchio di rifiuti, scorie di un consumismo labile ed effimero. Un’aporia (nel senso della difficoltà logica di trovare una soluzione) dell’armonia verso una rappresentazione del decadimento, dell’imperfezione, dell’effimero, del degrado, della banalità. Come spesso capita (era successo finanche a Duchamp) le primitive ed ideali idee dell’artista si scontrano con la realtà del mercato e dei mercanti ed il successo della Venere ne moltiplicò le copie, realizzate con calchi in gesso, ed anche una in marmo (realizzata da artigiani toscani) per arricchire prestigiose collezioni e importanti musei (ne abbiamo una anche al Madre) incrociando gli sguardi di migliaia di critici d’arte ed anche di comuni visitatori nel mondo.

La versione posta in Piazza Municipio ed ora incenerita, era una gigantessa signora desnuda come uscita dai “Viaggi di Gulliver” ma ideata ed approvata direttamente da Pistoletto. Quindi un’opera originale, nuova e diversa e non una riproduzione, una copia fuori scala. Anche le ragioni ispiratrici ed ovviamente il contesto storico-ambientale non hanno più relazione con l’opera del ’67 dello scorso secolo. Il problema è tutto qui. Bisognava far capire quali nuovi significati dare a quest’opera e perché metterla in correlazione con la città di Napoli e in un contesto, quello progettato da Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura, non ancora pienamente accettato ed amato dai cittadini napoletani”

Mario Franco 15/07/2023

Salvatore Vargas

Finalmente l'opera d'Arte interagisce con la violenza della realtà liberandosi della materia mediante il fuoco

Angelo Riviello Moscato

E secondo me, rientra nella poetica "poverista", tanto è riproducibile, con un ritorno di immagine non indifferente per il maestro artista, dell'Arte Povera"...

Salvatore Vargas

Col fuoco rompe la cristallizzazione dell'iconografia dell'opera smaterializzandosi rafforza l'estetica del concetto sublimandola

Angelo Riviello

Una cosa è una scultura di un Michelangelo (pezzo unico in marmo) e un'altra cosa è una scultura infiammabile con materiale effimero, rirpoducibile di un Pistoletto. Una cosa è il Rinascimento e un'altra storia è il contesto socio-politico-artistico e culturale, di 56 anni fa, in piena contestazione. Chi si indigna mette in dubbio la sua conoscenza della storia dell'arte, invece di mantenere viva la coscienza critica, entrando nei dettagli. Resta il gesto distruttivo, però, simbolico, questo si, nei confronti di tutta l'arte...un pò come bruciare dei libri, a prescindere dai contenuti. Addossare però la colpa a un clochard, preso come capro espiatorio, non è giusto".

Da ArtsLife

Lucien de Rubempré 13/07/2023

E se la Venere degli stracci fosse come la Corazzata Potëmkin?

 

Barbara Improta

Ma la Corazzata Potemkin è un gran film! 

 

Angelo Riviello Moscato

infatti. Che paragoni.. Mah?

Angelo Riviello

Esagerato...ArtsLife... 🙂

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LA VENDETTA DELLA BELLEZZA

“ La bestialità di chi ha eretto nel cuore di una delle città più belle e magiche del mondo una Venere ricoperta di sacchi della monnezza e di stracci, profanando l'archetipo della bellezza, ha fatto la fine che meritava. Per la cronaca, sembra essere stato il gesto di un senzatetto, ma il Cielo sceglie spesso mani inconsapevoli per operare... Che la Vendetta della Bellezza sia profezia per il mondo orrendo che uomini degradati hanno costruito: possa fare la stessa fine di quel cumulo di stracci davanti alla Venere Amen.

Antonio Milanese/Comandante Polvere

Domenico Di Caterino 16/07/2023


Ds Artribune  13/07/2023


La Venere degli stracci a Napoli. Fragilità e


 potenza di un’opera in fiamme


Il caso della Venere di Pistoletto, opera iconica reinventata più volte e oggi ripensata per Napoli, in una versione oversize non troppo convincente. Riflessioni tra arte pubblica, simboli e significati, nel rapporto tra opere, realtà e storia.



Era una cosa che poteva accadere. Le opere d’arte diffuse fra piazze e strade vivono di luce e d’aria, di occhi sorpresi o distratti, di gesti irreverenti e innamoramenti, di casi, di passi, di sfregi, di incastri, di piogge, di traumi, di illuminazioni. Esposte agli eventi nel modo più radicale possibile. A volte calate dall’alto come corpi estranei, altre partorite nel solco di attenti processi partecipativi. Nei casi migliori capaci di risuonare con i luoghi grazie a progettualità accurate, ispirate. Segni, presenze, come frequenze laterali nel solito rumore bianco delle città: sospese, appese, offerte, condivise, imposte, dischiuse. Con tutta la violenza e la fascinazione che ne viene.

La storia della Venere degli Stracci

L’ultima Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto si è inabissata in una coltre di fiamme, nel cuore di Napoli. Divorata da un incendio, all’alba del 12 luglio, a nemmeno due settimane dalla sua inaugurazione. Si trattava di una nuova versione del capolavoro originario, vecchio ormai 56 anni. Era il 1967 quando l’artista, destinato a diventare voce influente del neonato movimento dell’Arte Povera, presentava la sua creatura: una copia in cemento (imbiancata e lucidata con polvere di mica) della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen (la cui prima versione del 1805 è custodita al Louvre), a sua volta ispirata alla leggendaria Afrodite cnidia di Prassitele (360 a.C.), andata perduta e nota solo grazie a diverse copie romane superstiti.
Alta circa 130 cm, l’immacolata Venere contemporanea dà le spalle al pubblico, volgendosi verso un cumulo di stracci che quasi la contiene, giungendole fino al capo e incombendo come una montagna, un ammasso di detriti, un invalicabile, variopinto, caotico bastimento di scorie non più umane. Un elogio del classico, del bello ideale, dell’equilibrio apollineo, del logos e dell’armonia; ma anche una rappresentazione dell’istinto, della 
miseria, del decadimento, dell’imperfezione, della fragilità. E ancora l’immagine della storia, del mito e della memoria, strumenti per rifondare e nobilitare il reale, fin nei suoi aspetti più crudi, contingenti, effimeri, degradati, banali.
La versione originaria è oggi conservata presso la 
Fondazione Pistoletto di Biella. Molte altre ne sarebbero nate, già all’indomani del suo debutto: quelle realizzate con calchi in gesso, quelle lievemente più alte, quella rivestita d’oro, quella in marmo scolpita da artigiani toscani. Tra prestigiose collezioni e importanti musei internazionali, le molte variazioni sul tema hanno incrociato gli sguardi di migliaia di visitatori nel mondo.

La Venere degli stracci di Napoli

Quella collocata nell’estate 2023 in piazza del Municipio, incorniciata dai bastioni del Maschio angioino, dai vari edifici storici e dallo spettacolo del Vesuvio in lontananza, è una specie di titano, una gigantessa precipitata lì da chissà quale fiaba, con il suo altrettanto ingombrante carico di stracci e di miserie. Era stata realizzata nell’ambito di “OPEN. Arte in centro”, programma d’arte pubblica lodevolmente sostenuto dal Comune e curato dal critico Vincenzo Trione (docente allo lulm di Milano, firma del Corriere e Consigliere culturale dell’amministrazione partenopea): un festival per valorizzare siti storici cittadini, innescando dialoghi temporanei con opere di grandi autori.
La corpulenta Venere non era stata accolta, però, con entusiasmo unanime. Dubbi, travisamenti, e per qualcuno il sospetto di una critica a Napoli e ai suoi aspetti più controversi, tra povertà e criminalità. Niente di troppo anomalo. Che espressioni della ricerca artistica contemporanea non incontrino sempre il favore delle folle, quando compaiono in spazi comuni, è cosa non rara. Vuoi per la naturale vocazione concettuale di molte opere, non sempre così immediate e di facile comprensione; vuoi per l’assenza di adeguati programmi di informazione e di attività per il coinvolgimento dei cittadini; vuoi perché a diventare subito popolare è spesso ciò che nasconde il germe dell’ovvio, della ruffianeria, dell’illustrazione e della didascalia.
A volte, però, accade che un’opera non funzioni davvero. E che questo, in qualche modo, venga diffusamente e istintivamente percepito. Accade, ad esempio, che si trovi ad aggredire un luogo, non inserendovisi con naturalezza, non potenziandolo, non rispettandolo. E che non inneschi processi capaci di liberare esperienze intellettuali o emotive, epifanie spettacolari o sottili, efficaci sintesi simboliche, occasioni di identità e di memoria collettiva.
Era il caso della Venere oversize? In parte sí. Un progetto poco riuscito, nonostante le buone intenzioni e un autore con una storia indiscussa. Questo simulacro fuori scala, questa ennesima copia inutilmente gigantesca, assomigliava più a una trovata scenografica, a un giocattolone alieno, calato dall’alto per ribadire se stesso, volendo a tutti costi spettacolarizzarsi e finendo con l’assomigliare a una versione goffa di sé. Tutto troppo. E senza sufficienti ragioni, a parte l’estrema imponenza della piazza con cui dover rivaleggiare, scegliendo un banale gigantismo: ma perché? Era la collocazione necessaria e giusta?

Persino là dove la verità e il rigore del progetto artistico avrebbero dovuto prevalere, ha vinto la facilità di una scorciatoia: sotto lo strato di indumenti si nascondeva – come rivelato dal fuoco – un’impalcatura in ferro, uno scheletro su cui poggiavano, con un trucco elementare, i pochi stracci necessari a simulare la catasta. Trovata che aumenta quel sapore di posticcio, di gratuito. 

Il rogo della Venere in piazza Municipio

Nulla c’entra tutto questo, naturalmente, con la combustione che ha divorato la scultura, tra l’indignazione di tutti. Un atto vandalico deprecabile, che nelle ore subito successive aveva prodotto una cascata di ipotesi. Chi sarà stato? Teppisti del web, alle prede con una challenge iconoclasta? Un violento, un piromane? L’autore di uno stupido gesto di contestazione contro l’amministrazione? E se fosse stato invece il caldo, semplicemente, a far ardere i panni rinsecchiti e cotti dal sole? E le responsabilità del Comune, invece? Non sarebbe stato necessario un servizio di vigilanza costante, magari un sistema di dissuasori per scoraggiare il transito a distanza ravvicinata? A queste ultime considerazioni Trione risponde con un “no” secco: l’arte pubblica è fatta per la strada, per le persone, per fondersi con il paesaggio urbano, liberamente. E in effetti – al netto della leggerezza relativa ai tessuti non ignifughi – un approccio securitario, fatto di vincoli, di ostacoli, di controlli serrati, è così difficile da far convivere con l’idea di una fusione a caldo tra spazio pubblico, intuizioni creative, immaginari, identità plurali, gesti, sguardi, territori, architetture. I rischi esistono, ma vanno accolti. “Penso che Napoli sia una città incattivita, ha risposto in modo simbolico con una violenza simbolica“: parole severe, dettate certo dallo sgomento e dal senso di sfiducia.
E però, alla fine, il responsabile è stato identificato. Un clochard di circa 30 anni, beccato grazie alle telecamere. Forse un po’ matto, forse un delinquente, magari solamente un tipo sbadato, trovatosi incautamente a gettare una sigaretta accesa in direzione della montagna di tessuti. Denunciato, dovrà chiarire dinanzi agli inquirenti. Ma il danno è fatto. E una cosa è certa: non c’entrava Napoli, non c’entravano i ragazzini con le loro sfide social, non c’entrava il quartiere, né nessun atto organizzato di rappresaglia, di offesa, di attacco all’arte o alle istituzioni. Il caso, semplicemente. Sarebbe potuto accadere ovunque. Era, del resto, un’opera pensata come “indifesa“, ha spiegato Pistoletto: “Quasi una vita in mezzo alla vita degli altri“, che come tutte le vite era fragile, esposta, non eterna, non corazzata. Immagine seducente.
Il rischio c’era”, continuano a ripetere tutti, ma non si poteva prevedere un epilogo così violento. E adesso, ci tiene a dire il sindaco Manfredi, sarà lanciata “una raccolta fondi per far in modo che questa ricostruzione avvenga anche con una partecipazione popolare”. Più coinvolgimento delle persone, meno pericoli da mettere in conto.



Arte pubblica, fiamme, simboli e significati



Eppure, a pensarci bene, è proprio quella fragilità ad aver lasciato un segno singolare, ad aver rivitalizzato un’opera forse fuori posto, infiacchita da una ricontestualizzazione non azzeccata. Quel rogo è stato, involontariamente, un attivatore di senso, un detonatore di significati, l’atto conclusivo di un teatro dell’imprevisto, del tragico, dell’alea.

La Venere andata in fumo, scivolata oltre l’involucro di questa (debole) versione, torna con forza a coincidere con il proprio significato originario, a essere concetto, idea manifesta, simbolo e inveramento del conflitto tra caos e ordine, tra misura e dismisura. Nonostante l’inefficacia dell’attuale soluzione formale. Evocazione pura di una dialettica esistenziale che, nei fatti e lungo la linea della storia, diventa cronaca, accadimento, scandalo, esercizio di disequilibrio e di tensione, vita vissuta. Fin nelle spire di un rogo.Apparterrà per sempre, la Venere napoletana, all’implacabilità del fuoco e alla potenza di un evento involontariamente performativo, che è già memoria sedimentata dell’opera stessa. Ce ne ricorderemo nel tempo, ne faremo presto nuova icona. Un’opera risignificata dal destino, dall’epilogo incendiario. Distrutta e risorta per riassomigliare a se stessa, alla propria matrice. Ha ribadito Pistoletto, in una sua commossa testimonianza, che nella Venere degli stracci si racchiude il dualismo tra “ragione ed emozione“, tra “la bellezza senza fine e il degrado continuo“, una dicotomia che cerca continuamente “un’armonia, un bilanciamento“. La Venere è allora occasione di “rigenerazione” di quei detriti “fisici, intellettuali, morali, politici“, accumulati da “una società stracciona“: l’incendio di piazza del Municipio sarebbe un esempio di “autocombustione del lato peggiore dell’umanità“.

Ora, posto che l’idea di residuo, di detrito, di informe, di ultimo e di sommerso, non coincide semplicisticamente con la parte negativa delle cose – suggerendo, nell’intreccio tra luce e ombra, varie altezze e profondità interpretative – resta questa idea interessante dell’”autocombustione”, della vampa generata dal reale, che inghiotte il reale stesso, evidenziandone il côté più oscuro, magmatico, perturbante, incontrollato.

La dialettica incarnata dalla Venere, l’idea dell’opera, la sua essenza concettuale, sono riesplose in tutta la loro forza, offrendo un racconto che ne declina gli impliciti significati, attualizzandoli, ampliandoli, ancorandoli al presente, facendone visione ulteriore. Quel che è accaduto è allora figlio del caso ma è anche la dimostrazione di come la realtà, con le sue logiche segrete, con le sue asprezze e la sua dose di tragedia, corra incontro alle opere che abitano lo spazio pubblico e che, fuori dalle mura del museo, investono migliaia di impreparati fruitori. Una realtà che risponde, in certi casi, con ancor più incisive aggressioni. Intemperie, crolli, vandalismi, disastri, naturale consunzione, indifferenza. Cambiano gli spazi, risignificati, attivati e risimbolizzati dalle opere d’arte. Ma cambiano anche le opere stesse, corpi sensibili e mutanti, nell’incontro con gli occhi degli altri, con gli eventi, con la storia, con gli accidenti, con le linee terresti e le prospettive aeree. Vive, fin dentro la propria sparizione. 

 

Helga Marsala 13/07/2023


PISTOLETTO E LA VENERE DEGLI STRACCI. Napoli. La notizia. 15 luglio 2023.

“La Venere degli stracci” ennesima copia dell’opera di Michelangelo Pistoletto va in fumo a Piazza Municipio dopo che sono stati spesi quasi 200.000€ pubblici del Comune. Un’opera considerata ignifuga, - ovvero che prende fuoco con “ritardo” - diventa comunque rogo a causa del gesto del 32enne Simone Isaia che all'inizio alcuni giornali hanno definito senza fissa dimora.

 L’accusa è quella di aver provocato un incendio e di aver distrutto un “bene culturale”, - specificando che il bene culturale non è ancora definibile “opera d’arte”. Comunque questa ennesima copia va considerata “ opera concettuale”, che non giustifica però il grave atto del 32enne. Un contrasto è stato segnalato con la collocazione dell’opera nella piazza più importante e più trafficata di Napoli, proprio vicina al Palazzo Reale.

La grande riproduzione della ennesima “Venere degli stracci” di Pistoletto per poco tempo ha fatto parlare di sé, e dell’avversione generata in molti napoletani per il luogo scelto in cui allocare l'opera da parte dell’amministrazione comunale. L’effetto è sembrato al sottoscritto quello di evocare quel settecentesco ed ottocentesco “popolo straccione” napoletano tanto criticato da molti viaggiatori e scrittori al seguito dei rampolli dell’aristocrazia europea durante il Grand Tour. Portare la “dea” Venere in una piazza importante della città fatta con un calco di cemento di poco valore e con davanti un ammasso di stracci ha avvalorato l’interpretazione delle credenze del popolo straccione napoletano che facevano da contrasto alla poco lontana sontuosa e ricca reggia dei Borboni, che è seconda in Italia solo a quell’altra di Caserta.

Sulla validità e valore dell’opera di Pistoletto e delle sue tante copie non si discute. Queste ultime fanno seguito alla rivoluzione nell’arte della scultura operata dal 1912 con il "Manifesto della scultura futurista" ad opera del più grande in assoluto artista innovatore delle avanguardie del ‘900: Umberto Boccioni. Egli dichiarava e auspicava in quel suo manifesto che una scultura potesse contenere una pluralità di materie come “vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica”. Alcuni di questi materiali del resto sono stati utilizzati per la sua opera da Pistoletto:

Continuo a credere che è stato il posto in cui è stata collocata l’opera insieme alle teorie postmoderniste dell’arte-merce che hanno spinto un giovane ignoto ad assurgere alle cronache per un gesto che ha messo fine a un’operazione decontestualizzata che oggi si può considerare fosse un “revival” concettuale della prima opera di Pistoletto.

Non importa né che l'autore volesse raccontare altro, per l'effetto di contrasto del luogo in cui era stata posta l'opera a Napoli, ma ciò che si sottolinea e si condanna è soltanto il gesto incendiario di un giovane che cercava notorietà sui social.

Tutti a guardare il video. L'informazione (teoria dell'informazione 1948, che è costituita da messaggi che s'inviano attraverso le neotecnologie informatiche) si propaga più velocemente della comunicazione (che ha bisogno dei vecchi strumenti come i giornali la scrittura delle opinioni e di un confronto tra un io e un tu). Il messaggio o slogan informatico vince sempre. O lo decodifichi con gli strumenti logici a disposizioni o lo rifiuti.

Giuseppe Siano, 20/07/2023


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LA VENERE E GLI STRACCI

In questi giorni, molti di noi s’interrogano sul perché sia stata data alle fiamme la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, installata in piazza Municipio a Napoli, molto spesso dando una connotazione morale all’evento: c’è chi dice sia stato un atto deplorevole, chi no. Il generoso artista punta il dito dinanzi la Luna e ben presto, lo assicura lui sotto invito delle istituzioni, una copia dell’opera sarà restituita alla città. 

E allora a me viene in mente quel genio indiscusso (?) di Andy Warhol, che vendette il ritratto di Marilyn con il foro di pallottola sparato da Valerie Solanas, nel mancato tentativo di farlo fuori, al doppio delle copie integre, e non capisco perché Pistoletto non abbia colto la meravigliosa, direi catartica, opportunità di rivedere, reinventare, andare oltre ‘sta cazzo di Venere degli stracci formato maxi! Capisco meno la sua scelta piuttosto che quella di chi ha appiccato il fuoco. E non lo dico perché non ami quest’opera, benché nel formato maxi non mi abbia per nulla emozionata, ma perché trovo davvero triste che un artista resti all’ombra del dito che ha posto dinanzi la Luna. Cosa c’è di alchemico nel rimpiazzare l’opera? 

Dov’è la ricerca dell’artista sui perché l’opera sia stata bruciata? Dove sta l’indagatore, l’intuitivo, il meraviglioso manipolatore di argilla? È rimasto lo scheletro della montagna, cazzo, usala! Parti da li, no? Fai del danno occasione, rimodula dentro di te qualcosa. Trasmuta. Possibile che tu non scorga Bellezza nell’assenza della Venere dinanzi quella montagna fattasi scheletro? E leva quel maledetto dito che copre la Luna, lascia che illumini quella gabbia di ferro fumante e fai l’amore con loro! Io boh! Tutto ‘sto bordello per niente!

Mariagrazia Catenacci, 13/07/2023


Rosa Cuccurullo

Sono d'accordo completamente con lei, ma qui la questione nel rimpiazzare La Venere non penso sia fatta per beneficenza... sarà questa la vera motivazione nel riproporre l'opera della Fondazione Pistoletto mi domando?


POST INCENDIO VENERE
Della serie: scusatemi ma non ci posso proprio pensare! Di tutto questo cosa rimarrà? Cosa rimarrà se avverrà il rimpiazzo della Venere degli stracci formato gigante, con una esatta copia della Venere degli stracci formato gigante?

Cosa rimarrà di tutti i bei discorsoni dell’artista riguardo la piaga del consumismo (gli stracci) Vs la Bellezza (la Venere), se alla fine accetta, con entusiasmo addirittura, di ricreare ciò che non a caso è stato distrutto? La replica in serie non era ed è tipica del consumismo stesso e non era un concetto a cui gli esponenti dell’Arte povera si opponevano con gran forza?

Cosa rimarrà di tutto questo, se a ‘sto punto l’uomo non è più centro, né fuoco da ricercare? Cosa rimarrà di tutto questo se dalle ceneri lascerà risorgere la medesima dea china sulla medesima montagna di stracci?

Pistoletto, dall’altezza della sua infinita vanità, ha paragonato l’evento ad un femminicidio, facendo saltare me è molte altre persone dalla seggiola, peccato che dopo un paio di giorni di lutto, sotto pagamento rimpiazzi la figlia assassinata.

Cosa ne rimarrà di tutto questo? Forse solo l’ennesima prova che il Potere e la Vanità sono ridicoli entrambi eppure vincenti? Il Re è nudo, sa di esserlo e col suo Pistoletto da fuori, se ne va fiero per le strade della città.

Ecco, cosa ne rimarrà: una triste fiaba senza alcun lieto fine.

 Mariagrazia Catenacci, 14/07/2023

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Video di Livio Marino  ('O Mammone - Reels 15 luglio, 2023. su facebook)

https://artslife.com/2023/07/13/e-se-la-venere-degli-stracci-fosse-come-la-corazzata-potemkin/?

https://www.google.com/imgres?imgurl=https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2023/07/12/

https://www.artribune.com/attualita/2023/07/venere-stracci-pistoletto-fiamme-fragilita/



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