ROGO ALLA "VENERE DEGLI STRACCI" di Michelangelo Pistoletto: doloso? Accidentale? O artistico? -
Non ci sono giustificazioni! Ma dubbi si - Alcuni pareri, opinioni e commenti -“Non per fare polemica o dileggiare operati altrui, ma… anche il rogo ha un significato e ci parla di una mancanza. Ad esempio per i monaci tibetani l’immanenza è tutto : i mandala di sabbia costruiti con attenzione e pazienza, a opera fatta vengono distrutti. È il processo del fare che resta. L’esperienza vissuta che è innanzitutto relazione.
Forse capiremo una buona volta che la cultura, l’arte, non si fa con una
statua di plastica e quattro stracci su un reticolo metallico, piovuta
dall’alto, senza nessun appiglio al contesto circostante. Cosa diversa se fosse
stata frutto di una relazione con la città, così come porta avanti l’artista
stesso con la sua bella idea di Terzo Paradiso.
Mi dispiace, ma credo che Napoli, le due Napoli borghese e proletaria,
perbene e teppista, meriti di più.
La dichiarazione dell'artista sul rogo mi conferma tante cose. Il disprezzo verso il contrario da sé. La clava della "cultura" che definisce ignoranza i non allineati al proprio pensiero. Ma la cultura è innanzitutto comprensione, sensibilità, amore per l'umanita'. Forse ci vorrebbe una rinfrescata sul terzo paradiso”.
Daniela Morante 13/07/2023
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LA VENERE DEGLI STRACCI _ SI PREGA DI NON TOCCARE
"La "Venere degli stracci", di Michelangelo Pistoletto (uno dei maestri dell'arte povera che ammiro, per i famosi "Specchi", il suo capolavoro) incendiata.
Gesto doloso o accidentale? O addirittura artistico? Faranno un'indagine?
Però, generalmente, non si lasciano opere d'arte infiammabili per strada da
sole, senza custodia. Soprattutto nelle previsioni di un'allerta meteo di
ondate di calore..A volte basta un mozzicone di sigaretta. C'erano videocamere
di sorveglianza? A meno che (il dubbio) la cosa (la decisione) non sia stata
voluta.
P. S. E poi la filosofia dell'arte povera non contemplava l'uso di
materiale effimero? E come la Land Art, era contro la mercificazione dell'arte?
È vero, come dicono alcuni, "il popolo (in questo caso napoletano, a
parte i turisti), nella sua eterogeneità, merita di più".
Rifare l'opera? Allora indirettamente ammettano che nella poetica "poverista" si può, eventualmente modificare, replicare o distruggere un'opera realizzata con materiale effimero? Si rendono conto? o non possono dirlo? ma lo fanno capire... Credo che occorra tanta competenza nell'organizzare e curare tali rassegne, e che conoscano molto bene la storia dell'arte moderna, e di tutta l'Arte Povera (più azioni povere). Alexander Calder, vicino ai suoi mobiles usava aggiungere un cartellino con la scritta "SIETE PREGATI DI TOCCARE L'OPERA", per completarla nel tempo della quarta dimensione, a differenza di tutte le altre in cui si vieta severamente di toccarle. Oppure come dimostrato umilmente con la Chiena di Campagna, in cui, nel 1985, si coinvolgeva per la prima volta il pubblico con le secchiate d'acqua, come da particolare di un'idea progettuale di un'artista che lavorava sulla memoria, nel trasformarla da nettezza urbana (qual'era) a opera d'arte (immateriale), condivisa da altri artisti giovani emergenti di quegli anni 80, in cui torno' alla grande la mercificazione dell'arte, con il ritorno all'opera. Non è il caso di Pistoletto. Concetti diversi, addirittura contrapposti nel concepire un'opera d'arte.
Però mi
chiedo, a che gioco si sta giocando? Mah? Perché non organizzano un dibattito
pubblico al Madre o al Maschio Angioino, aperto a chiunque, non solo agli
addetti ai lavori, dove parlano tutti, e non solo il maestro Pistoletto e
Paladino come da il Mattino e altre grandi testate ?
Siamo seri. Hanno arrestato un clochard? Una notte o due di vitto e alloggio (ringraziando), e raggiungerà di nuovo il portico o il cavalcavia dove alloggia”.
Angelo Riviello Moscato
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L'IMPREVEDIBILITÁ DEL PREVEDIBILE
“(La Venere degli stracci incendiata stamattina all'alba) In ogni ente, istituzione pubblica, ci dovrebbe essere l'esperto di sicurezza. In un post del 25 giugno mi chiedevo tra 12 perplessità, quanto ignifuga fosse l'opera. E qualche criminale stamattina l'ha testato di persona. Erano "stracci" invernali e non estivi di cotone e quindi qualcuno in pile (sintetico) che nella combustione avrà prodotto diossina.Vale anche per la statua: non in marmo ma in materiale sintetico. Infiammabile. È un triste giorno per Napoli. Qualcuno potrebbe dire «l'opera è compiuta» pensando alla banana di Cattelan che fu estratta e mangiata da un "provocatore".
Ma forse l'imprevedibilità era stata prevista. Perché l'opera di Pistoletto era ubicata a una distanza di sicurezza da edifici, cose, persone che avrebbero altrimenti generato un incendio a catena. Resterà il fatto che "a Napoli non si può fare niente di bello" e che "noi" siamo la feccia dell'Italia. Per colpa di una mano piromane e criminale. 5 anni fa parlai con uno staffista dell'ex Sindaco. Volevo esporre la mia Metamorfosi Reloaded, il panorama più lungo di Napoli, in una stazione della metro.
Per una sola giornata. Mi disse che non si poteva fare per il regolamento anti-incendio: la mia opera non era effettivamente ignifuga. Ecco, un regolamento forse no, ma il buon senso di non lasciare incustodita un'opera infiammabile, forse bastava.
Sono vicino al dolore di Pistoletto”.
Marco Maraviglia 13/07/2023
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“Può piacere, non
piacere, si può criticare, parlarne male ma non distruggere. Bruciare i libri e
le opere d'arte fa venire in mente un triste passato”.
Maya Pacifico
“A Napoli incendiata
la Venere degli stracci di Pistoletto. Un gesto orribile che va punito
severamente. Ci auguriamo che scoprano i colpevoli di questo oltraggio all'arte e alla bellezza”.
Luciana Libero 14/07/2023
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“Finora non aveva
scritto niente ed era meglio. Così il “curatore” ci avrebbe risparmiato questa
abbuffata di retorica, dove non c’è traccia di una minima autocritica per aver
pensato ad un'installazione “fuori luogo”, ma anche dilettantescamente non
vigilata e non sottoposta a trattamento ignifugo. Purtroppo Napoli non sarà mai
diversa perché è gestita da gente mediocre che sa vendere e vendersi, e
costringe gli altri, quelli che valgono, a scappare. Ma questo lui non avrebbe
mai potuto dirlo. E il male non sta solo in chi distrugge per ignoranza e
delinquenza, ma soprattutto in chi mette, anche nella cultura, le “mani sulla
città.
Ma quale clochard! A chi volete prendere per i fondelli! I clochard semmai, purtroppo spesso, vengono bruciati dai teppisti, ma loro non bruciano mai nulla!
Trovare come capro espiatorio un poveraccio senza fissa dimora, che fra parentesi nega tutto, arrestando il “delinquente” nella Mensa dei derelitti, rappresenta l’epilogo peggiore della vicenda. Così semplicemente si archivia la cosa sottacendo la reazione barbara di una parte della città alla tracotante invasione dell’artemostro, imposta dai barbari padroni della città che conta. Ma la cosa drammatica che emerge da questo resoconto è che non c’erano telecamere puntate sull’artemostro. Il “curatore” tutto concentrato nel farsi selfie davanti l’installazione ha dimenticato, da dilettante quale è, di richiedere le minime garanzie di sorveglianza. Ma c’è qualcuno in Comune che, oltre ad auspicare la ricostruzione imnediata dell’artemostro, pensi a chiedere le dimissioni, o più semplicemente lo licenzi, di un consigliere per l’arte contemporanea, che non solo ha consigliato male ma non ha avuto neanche cura dell’opera, rivelandosi un pessimo “curatore”?”
Aldo Elefante
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"Napoli: la "Venere degli stracci" vandalizzata e messa al rogo (quanto successo potrebbe accadere a un'opera di qualsiasi artista, più o meno noto). La Venere, con i suoi stracci, non è riuscita a reggere "l'ustione del reale", né ad abitare questo tempo dal cuore spento. Ma l'arte insegna che Dio non ha solo il volto della bellezza. Egli risiede anche in ciò che profondamente scuote, in un mucchietto di cenere o persino nella polvere. Ed è proprio nei silenzi o nei suoi dolori più grandi che l'arte generosamente si dona riservandoci parole di coraggio e dimostrando, col suo spirito eterno, che anche "la morte può morire". Così, seppur senza parole... sentiamo il suo perdono.
Stefania Pieralice 13/07/2023
L'Opera bruciata, rafforza il concetto,
l'idea, liberandosi della materia si purifica diventando eterna nella sua
essenza
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LA VENERE DEGLI STRACCI ED IL CLOCHARD
"Il movimento dell’Arte Povera nasce, nella sua concezione, da Germano Celant che la definisce “guerriglia asistematica”, fondamentalmente è il rifiuto dell’arte tradizionale, delle sue tecniche e dei materiali per sostituirli con quelli, appunto poveri. E che cos’è la Venere di Stracci di Michelangelo Pistoletto se non rinnegare l’arte borghese e di sistema? L’estrema classicità della Venere soffocata da un cumulo di stracci. Già, gli stracci, l’estrema risorsa per coprirsi di chi non ha nulla, di chi è un paria della società. Che potenza concettuale in quell’idea perché, per chi non lo sapesse, l’arte povera è soprattutto un movimento concettuale e politico. Leggo di tanti che si scandalizzano perché una copia posizionata a Piazza Municipio sia stata bruciata ma davvero signori pensate sia questo il nocciolo del problema? Davvero avete sprecato fiumi di parole perché una copia sistemata in una delle piazze centrali di Napoli è stata data alle fiamme? Siete sicuri di essere andati oltre la superfice del problema? Avete criticato quest’opera senza capirla, eppure era così semplice da comprendere. Vi siete scandalizzati ma non vedo la stessa veemenza verso i reali problemi della gente comune, sulla povertà che aumenta ogni giorno a dismisura, sulla difficoltà del vivere della classe popolare, sui morti sul lavoro, su una deriva guerrafondaia del mondo e della nostra nazione, su un problema ambientale catastrofico. Una cosa bisogna, però dirla: quando una installazione come quella diventa monumento ha tradito se stessa, è diventata “arte di sistema”. Ora, io non sono un fan della distruzione delle opere d’arte, tutt’altro, d’altra parte io penso che la grande arte appartenga all’umanità, quindi… Ma, in questo caso, penso che la performance sia stata superiore alla copia dell’opera stessa e se, come pare, a bruciarla sia stato un barbone, un povero (appunto) in qualche modo aveva il diritto di farlo. L’Arte Povera bruciata da un povero. Geniale!
P.s. se poi, a bruciarla sono stati dei
ragazzini in cerca di visibilità social il problema resta: chi ha creato i
mostri? Ed anche in quel caso il destino della Venere degli Stracci ha assunto
la sua funzione: quella di farvi pensare”
Massimo Sgroi 14/07/2023
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LA VENERE DEGLI STRACCI DEL 1967
“La nuova
versione in polistirolo e plastica del capolavoro di Pistoletto, vecchio ormai
di 56 anni, misurava in altezza più di cinque metri e si appoggiava ad una
“siepe” di vestiti dismessi poggiati su una impalcatura di ferro. Era uno
strano oggetto, distante e nuovo rispetto a quello che l’artista, voce
influente della cosidetta Arte Povera, aveva realizzato nel 1967. Allora si era
trattato di una copia in cemento della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen,
trovata in un negozio e destinata ad ornare il giardino kitsch di qualche
neo-ricco.
Eravamo
nella seconda metà degli Anni Sessanta, anni di grande fermento filosofico e
politico. C’era una gran voglia di cambiare, in particolare in campo artistico.
Non se ne poteva più di pittura e scultura, nelle forme tradizionali.
Circolavano nuove parole come happening, environment, performance e anche nel
teatro il palcoscenico era sentito come uno spazio claustrofobico. In questo
contesto nasceva l’Arte povera, che annullava ogni formalismo estetico,
ipotizzando un futuro nel quale l’arte poteva configurarsi solo come discorso
sulla natura del linguaggio dell’arte stessa. Contro la tesaurizzazione
mercantile dell’opera, l’artista utilizzava oggetti trovati, relitti e rifiuti
industriali. La Venere originale era alta circa 130 cm, si mostrava con le
spalle al pubblico, quasi affondata in un cumulo di stracci, un ammasso di
detriti, un caotico mucchio di rifiuti, scorie di un consumismo labile ed
effimero. Un’aporia (nel senso della difficoltà logica di trovare una
soluzione) dell’armonia verso una rappresentazione del decadimento,
dell’imperfezione, dell’effimero, del degrado, della banalità. Come spesso
capita (era successo finanche a Duchamp) le primitive ed ideali idee
dell’artista si scontrano con la realtà del mercato e dei mercanti ed il
successo della Venere ne moltiplicò le copie, realizzate con calchi in gesso,
ed anche una in marmo (realizzata da artigiani toscani) per arricchire
prestigiose collezioni e importanti musei (ne abbiamo una anche al Madre)
incrociando gli sguardi di migliaia di critici d’arte ed anche di comuni
visitatori nel mondo.
La versione posta in Piazza Municipio ed ora incenerita, era una gigantessa signora desnuda come uscita dai “Viaggi di Gulliver” ma ideata ed approvata direttamente da Pistoletto. Quindi un’opera originale, nuova e diversa e non una riproduzione, una copia fuori scala. Anche le ragioni ispiratrici ed ovviamente il contesto storico-ambientale non hanno più relazione con l’opera del ’67 dello scorso secolo. Il problema è tutto qui. Bisognava far capire quali nuovi significati dare a quest’opera e perché metterla in correlazione con la città di Napoli e in un contesto, quello progettato da Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura, non ancora pienamente accettato ed amato dai cittadini napoletani”
Mario Franco 15/07/2023
Finalmente l'opera d'Arte interagisce con la violenza della realtà
liberandosi della materia mediante il fuoco
E secondo me, rientra nella poetica
"poverista", tanto è riproducibile, con un ritorno di immagine non
indifferente per il maestro artista, dell'Arte Povera"...
Col fuoco rompe la cristallizzazione dell'iconografia dell'opera
smaterializzandosi rafforza l'estetica del concetto sublimandola
Una cosa è una scultura di un Michelangelo (pezzo unico in marmo) e un'altra cosa è una scultura infiammabile con materiale effimero, rirpoducibile di un Pistoletto. Una cosa è il Rinascimento e un'altra storia è il contesto socio-politico-artistico e culturale, di 56 anni fa, in piena contestazione. Chi si indigna mette in dubbio la sua conoscenza della storia dell'arte, invece di mantenere viva la coscienza critica, entrando nei dettagli. Resta il gesto distruttivo, però, simbolico, questo si, nei confronti di tutta l'arte...un pò come bruciare dei libri, a prescindere dai contenuti. Addossare però la colpa a un clochard, preso come capro espiatorio, non è giusto".
Da ArtsLife
Lucien de Rubempré 13/07/2023
E se la Venere degli stracci fosse come la Corazzata Potëmkin?
Ma la Corazzata Potemkin è un gran film!
infatti. Che paragoni.. Mah?
Esagerato...ArtsLife...
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LA VENDETTA DELLA BELLEZZA
“ La bestialità di chi ha eretto nel cuore di
una delle città più belle e magiche del mondo una Venere ricoperta di sacchi
della monnezza e di stracci, profanando l'archetipo della bellezza, ha fatto la
fine che meritava. Per la cronaca, sembra essere stato il gesto di un
senzatetto, ma il Cielo sceglie spesso mani inconsapevoli per operare... Che la
Vendetta della Bellezza sia profezia per il mondo orrendo che uomini degradati
hanno costruito: possa fare la stessa fine di quel cumulo di stracci davanti
alla Venere Amen.
Antonio Milanese/Comandante Polvere”
Domenico Di Caterino
Ds Artribune 13/07/2023
La Venere degli stracci a Napoli. Fragilità e
potenza di un’opera in fiamme
Il caso della Venere di Pistoletto, opera iconica reinventata più volte e oggi ripensata per Napoli, in una versione oversize non troppo convincente. Riflessioni tra arte pubblica, simboli e significati, nel rapporto tra opere, realtà e storia.
Era una cosa che poteva accadere. Le opere d’arte diffuse fra piazze e strade vivono di luce e d’aria, di occhi sorpresi o distratti, di gesti irreverenti e innamoramenti, di casi, di passi, di sfregi, di incastri, di piogge, di traumi, di illuminazioni. Esposte agli eventi nel modo più radicale possibile. A volte calate dall’alto come corpi estranei, altre partorite nel solco di attenti processi partecipativi. Nei casi migliori capaci di risuonare con i luoghi grazie a progettualità accurate, ispirate. Segni, presenze, come frequenze laterali nel solito rumore bianco delle città: sospese, appese, offerte, condivise, imposte, dischiuse. Con tutta la violenza e la fascinazione che ne viene.
L’ultima Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto si è inabissata in una coltre di fiamme, nel cuore di
Napoli. Divorata da un incendio, all’alba del 12 luglio, a nemmeno due settimane
dalla sua inaugurazione. Si trattava di una nuova versione del capolavoro
originario, vecchio ormai 56 anni. Era il 1967 quando l’artista, destinato a
diventare voce influente del neonato movimento dell’Arte Povera, presentava la
sua creatura: una copia in cemento (imbiancata e lucidata con polvere di mica)
della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen (la cui prima versione del 1805 è custodita al Louvre),
a sua volta ispirata alla leggendaria Afrodite cnidia di Prassitele (360 a.C.), andata perduta e nota solo grazie a diverse
copie romane superstiti.
Alta circa 130 cm, l’immacolata Venere
contemporanea dà le spalle al pubblico, volgendosi verso un cumulo di stracci
che quasi la contiene, giungendole fino al capo e incombendo come una montagna,
un ammasso di detriti, un invalicabile, variopinto, caotico bastimento di
scorie non più umane. Un elogio del classico, del bello ideale, dell’equilibrio
apollineo, del logos e dell’armonia; ma anche una rappresentazione
dell’istinto, della miseria, del decadimento, dell’imperfezione, della
fragilità. E ancora l’immagine della storia, del mito e della memoria,
strumenti per rifondare e nobilitare il reale, fin nei suoi aspetti più crudi,
contingenti, effimeri, degradati, banali.
La versione originaria è oggi conservata presso la Fondazione Pistoletto di Biella. Molte altre ne sarebbero nate,
già all’indomani del suo debutto: quelle realizzate con calchi in gesso, quelle
lievemente più alte, quella rivestita d’oro, quella in marmo scolpita da
artigiani toscani. Tra prestigiose collezioni e importanti musei
internazionali, le molte variazioni sul tema hanno incrociato gli sguardi
di migliaia di visitatori nel mondo.
La Venere degli stracci di Napoli
Quella collocata nell’estate 2023 in piazza del Municipio, incorniciata dai bastioni del Maschio angioino, dai vari edifici storici e dallo spettacolo del Vesuvio in lontananza, è una specie di titano, una gigantessa precipitata lì da chissà quale fiaba, con il suo altrettanto ingombrante carico di stracci e di miserie. Era stata realizzata nell’ambito di “OPEN. Arte in centro”, programma d’arte pubblica lodevolmente sostenuto dal Comune e curato dal critico Vincenzo Trione (docente allo lulm di Milano, firma del Corriere e Consigliere culturale dell’amministrazione partenopea): un festival per valorizzare siti storici cittadini, innescando dialoghi temporanei con opere di grandi autori.
La corpulenta Venere non era stata accolta, però, con entusiasmo unanime. Dubbi, travisamenti, e per qualcuno il sospetto di una critica a Napoli e ai suoi aspetti più controversi, tra povertà e criminalità. Niente di troppo anomalo. Che espressioni della ricerca artistica contemporanea non incontrino sempre il favore delle folle, quando compaiono in spazi comuni, è cosa non rara. Vuoi per la naturale vocazione concettuale di molte opere, non sempre così immediate e di facile comprensione; vuoi per l’assenza di adeguati programmi di informazione e di attività per il coinvolgimento dei cittadini; vuoi perché a diventare subito popolare è spesso ciò che nasconde il germe dell’ovvio, della ruffianeria, dell’illustrazione e della didascalia.
A volte, però, accade che un’opera non funzioni davvero. E che questo, in qualche modo, venga diffusamente e istintivamente percepito. Accade, ad esempio, che si trovi ad aggredire un luogo, non inserendovisi con naturalezza, non potenziandolo, non rispettandolo. E che non inneschi processi capaci di liberare esperienze intellettuali o emotive, epifanie spettacolari o sottili, efficaci sintesi simboliche, occasioni di identità e di memoria collettiva.
Era il caso della Venere oversize? In parte sí. Un progetto poco riuscito, nonostante le buone intenzioni e un autore con una storia indiscussa. Questo simulacro fuori scala, questa ennesima copia inutilmente gigantesca, assomigliava più a una trovata scenografica, a un giocattolone alieno, calato dall’alto per ribadire se stesso, volendo a tutti costi spettacolarizzarsi e finendo con l’assomigliare a una versione goffa di sé. Tutto troppo. E senza sufficienti ragioni, a parte l’estrema imponenza della piazza con cui dover rivaleggiare, scegliendo un banale gigantismo: ma perché? Era la collocazione necessaria e giusta?
Persino là dove la verità e il rigore del progetto artistico avrebbero dovuto prevalere, ha vinto la facilità di una scorciatoia: sotto lo strato di indumenti si nascondeva – come rivelato dal fuoco – un’impalcatura in ferro, uno scheletro su cui poggiavano, con un trucco elementare, i pochi stracci necessari a simulare la catasta. Trovata che aumenta quel sapore di posticcio, di gratuito.
Il rogo della Venere in piazza Municipio
Nulla c’entra tutto questo, naturalmente, con
la combustione che ha divorato la scultura, tra l’indignazione di tutti. Un atto vandalico deprecabile, che nelle ore subito successive aveva
prodotto una cascata di ipotesi. Chi sarà stato? Teppisti del web, alle prede
con una challenge iconoclasta? Un violento, un piromane? L’autore di uno
stupido gesto di contestazione contro l’amministrazione? E se fosse stato
invece il caldo, semplicemente, a far ardere i panni rinsecchiti e cotti dal
sole? E le responsabilità del Comune, invece? Non sarebbe stato necessario un
servizio di vigilanza costante, magari un sistema di dissuasori per scoraggiare
il transito a distanza ravvicinata? A queste ultime considerazioni Trione
risponde con un “no” secco: l’arte pubblica è fatta per la strada, per le persone, per
fondersi con il paesaggio urbano, liberamente. E in effetti – al netto della leggerezza relativa ai
tessuti non ignifughi – un approccio securitario, fatto di vincoli, di
ostacoli, di controlli serrati, è così difficile da far convivere con l’idea di
una fusione a caldo tra spazio pubblico, intuizioni creative, immaginari,
identità plurali, gesti, sguardi, territori, architetture. I rischi esistono,
ma vanno accolti. “Penso che Napoli sia una città incattivita,
ha risposto in modo simbolico con una violenza simbolica“: parole severe, dettate certo dallo sgomento e dal senso di
sfiducia.
E però, alla fine, il responsabile è stato
identificato. Un clochard di circa 30 anni, beccato grazie alle telecamere.
Forse un po’ matto, forse un delinquente, magari solamente un tipo sbadato,
trovatosi incautamente a gettare una sigaretta accesa in direzione della montagna
di tessuti. Denunciato, dovrà chiarire dinanzi agli inquirenti. Ma il
danno è fatto. E una cosa è certa: non c’entrava Napoli, non c’entravano i
ragazzini con le loro sfide social, non c’entrava il quartiere, né nessun atto
organizzato di rappresaglia, di offesa, di attacco all’arte o alle istituzioni.
Il caso, semplicemente. Sarebbe potuto accadere ovunque. Era, del resto,
un’opera pensata come “indifesa“, ha spiegato Pistoletto: “Quasi una vita in mezzo alla vita degli altri“, che come tutte le vite era fragile, esposta, non eterna,
non corazzata. Immagine seducente.
“Il rischio c’era”, continuano a ripetere tutti, ma non si poteva prevedere
un epilogo così violento. E adesso, ci tiene a dire il sindaco Manfredi, sarà
lanciata “una raccolta fondi per far in modo che
questa ricostruzione avvenga anche con una partecipazione popolare”. Più coinvolgimento delle persone, meno pericoli da mettere in
conto.
Arte pubblica, fiamme, simboli e significati
Eppure, a pensarci bene, è proprio quella fragilità
ad aver lasciato un segno singolare, ad aver rivitalizzato
un’opera forse fuori posto, infiacchita da una ricontestualizzazione non
azzeccata. Quel rogo è stato, involontariamente, un
attivatore di senso, un detonatore di significati, l’atto
conclusivo di un teatro dell’imprevisto, del tragico, dell’alea.
La Venere andata in fumo, scivolata
oltre l’involucro di questa (debole) versione, torna con forza a coincidere con
il proprio significato originario, a essere concetto, idea manifesta, simbolo e
inveramento del conflitto tra caos e ordine, tra misura e dismisura. Nonostante
l’inefficacia dell’attuale soluzione formale. Evocazione pura di una dialettica
esistenziale che, nei fatti e lungo la linea della storia, diventa cronaca,
accadimento, scandalo, esercizio di disequilibrio e di tensione, vita vissuta.
Fin nelle spire di un rogo.Apparterrà per sempre, la Venere napoletana,
all’implacabilità del fuoco e alla potenza di un evento
involontariamente performativo, che è già memoria sedimentata
dell’opera stessa. Ce ne ricorderemo nel tempo, ne faremo presto nuova icona.
Un’opera risignificata dal destino, dall’epilogo incendiario. Distrutta e
risorta per riassomigliare a se stessa, alla propria matrice. Ha ribadito
Pistoletto, in una sua commossa testimonianza, che nella Venere degli stracci
si racchiude il dualismo tra “ragione ed emozione“,
tra “la bellezza senza fine e il degrado continuo“, una dicotomia
che cerca continuamente “un’armonia, un bilanciamento“.
La Venere è allora occasione di “rigenerazione”
di quei detriti “fisici, intellettuali,
morali, politici“, accumulati da “una società stracciona“:
l’incendio di piazza del Municipio sarebbe un esempio di “autocombustione del lato peggiore dell’umanità“.
Ora, posto che l’idea di residuo, di
detrito, di informe, di ultimo e di sommerso, non coincide semplicisticamente
con la parte negativa delle cose – suggerendo, nell’intreccio tra luce e ombra,
varie altezze e profondità interpretative – resta questa idea interessante
dell’”autocombustione”, della vampa generata dal reale, che inghiotte il reale
stesso, evidenziandone il côté più oscuro, magmatico, perturbante,
incontrollato.
La dialettica incarnata dalla Venere, l’idea dell’opera, la sua essenza concettuale, sono riesplose in tutta la loro forza, offrendo un racconto che ne declina gli impliciti significati, attualizzandoli, ampliandoli, ancorandoli al presente, facendone visione ulteriore. Quel che è accaduto è allora figlio del caso ma è anche la dimostrazione di come la realtà, con le sue logiche segrete, con le sue asprezze e la sua dose di tragedia, corra incontro alle opere che abitano lo spazio pubblico e che, fuori dalle mura del museo, investono migliaia di impreparati fruitori. Una realtà che risponde, in certi casi, con ancor più incisive aggressioni. Intemperie, crolli, vandalismi, disastri, naturale consunzione, indifferenza. Cambiano gli spazi, risignificati, attivati e risimbolizzati dalle opere d’arte. Ma cambiano anche le opere stesse, corpi sensibili e mutanti, nell’incontro con gli occhi degli altri, con gli eventi, con la storia, con gli accidenti, con le linee terresti e le prospettive aeree. Vive, fin dentro la propria sparizione.
PISTOLETTO E LA VENERE DEGLI STRACCI.
Napoli. La notizia. 15 luglio 2023.
“La Venere degli stracci” ennesima copia dell’opera di Michelangelo Pistoletto va in fumo a Piazza Municipio dopo che sono stati spesi quasi 200.000€ pubblici del Comune. Un’opera considerata ignifuga, - ovvero che prende fuoco con “ritardo” - diventa comunque rogo a causa del gesto del 32enne Simone Isaia che all'inizio alcuni giornali hanno definito senza fissa dimora.
La grande riproduzione della ennesima “Venere degli stracci” di Pistoletto per poco tempo ha fatto parlare di sé, e dell’avversione generata in molti napoletani per il luogo scelto in cui allocare l'opera da parte dell’amministrazione comunale. L’effetto è sembrato al sottoscritto quello di evocare quel settecentesco ed ottocentesco “popolo straccione” napoletano tanto criticato da molti viaggiatori e scrittori al seguito dei rampolli dell’aristocrazia europea durante il Grand Tour. Portare la “dea” Venere in una piazza importante della città fatta con un calco di cemento di poco valore e con davanti un ammasso di stracci ha avvalorato l’interpretazione delle credenze del popolo straccione napoletano che facevano da contrasto alla poco lontana sontuosa e ricca reggia dei Borboni, che è seconda in Italia solo a quell’altra di Caserta.
Sulla validità e valore dell’opera di Pistoletto e delle sue tante copie non si discute. Queste ultime fanno seguito alla rivoluzione nell’arte della scultura operata dal 1912 con il "Manifesto della scultura futurista" ad opera del più grande in assoluto artista innovatore delle avanguardie del ‘900: Umberto Boccioni. Egli dichiarava e auspicava in quel suo manifesto che una scultura potesse contenere una pluralità di materie come “vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica”. Alcuni di questi materiali del resto sono stati utilizzati per la sua opera da Pistoletto:
Continuo a credere che è stato il posto
in cui è stata collocata l’opera insieme alle teorie postmoderniste
dell’arte-merce che hanno spinto un giovane ignoto ad assurgere alle cronache
per un gesto che ha messo fine a un’operazione decontestualizzata che oggi si
può considerare fosse un “revival” concettuale della prima opera di Pistoletto.
Non importa né che l'autore volesse
raccontare altro, per l'effetto di contrasto del luogo in cui era stata posta
l'opera a Napoli, ma ciò che si sottolinea e si condanna è soltanto il gesto
incendiario di un giovane che cercava notorietà sui social.
Tutti a guardare il video.
L'informazione (teoria dell'informazione 1948, che è costituita da messaggi che
s'inviano attraverso le neotecnologie informatiche) si propaga più velocemente
della comunicazione (che ha bisogno dei vecchi strumenti come i giornali la
scrittura delle opinioni e di un confronto tra un io e un tu). Il messaggio o
slogan informatico vince sempre. O lo decodifichi con gli strumenti logici a
disposizioni o lo rifiuti.
Giuseppe Siano, 20/07/2023
E allora a me viene in mente quel genio indiscusso (?) di Andy Warhol, che vendette il ritratto di Marilyn con il foro di pallottola sparato da Valerie Solanas, nel mancato tentativo di farlo fuori, al doppio delle copie integre, e non capisco perché Pistoletto non abbia colto la meravigliosa, direi catartica, opportunità di rivedere, reinventare, andare oltre ‘sta cazzo di Venere degli stracci formato maxi! Capisco meno la sua scelta piuttosto che quella di chi ha appiccato il fuoco. E non lo dico perché non ami quest’opera, benché nel formato maxi non mi abbia per nulla emozionata, ma perché trovo davvero triste che un artista resti all’ombra del dito che ha posto dinanzi la Luna. Cosa c’è di alchemico nel rimpiazzare l’opera?
Dov’è la ricerca dell’artista sui perché l’opera sia stata
bruciata? Dove sta l’indagatore, l’intuitivo, il meraviglioso manipolatore di
argilla? È rimasto lo scheletro della montagna, cazzo, usala! Parti da li, no?
Fai del danno occasione, rimodula dentro di te qualcosa. Trasmuta. Possibile
che tu non scorga Bellezza nell’assenza della Venere dinanzi quella montagna
fattasi scheletro? E leva quel maledetto dito che copre la Luna, lascia che
illumini quella gabbia di ferro fumante e fai l’amore con loro! Io boh! Tutto
‘sto bordello per niente!
Mariagrazia Catenacci, 13/07/2023
Cosa rimarrà di tutti i bei discorsoni
dell’artista riguardo la piaga del consumismo (gli stracci) Vs la Bellezza (la
Venere), se alla fine accetta, con entusiasmo addirittura, di ricreare ciò che
non a caso è stato distrutto? La replica in serie non era ed è tipica del
consumismo stesso e non era un concetto a cui gli esponenti dell’Arte povera si
opponevano con gran forza?
Cosa rimarrà di tutto questo, se a ‘sto punto l’uomo non è più centro, né fuoco da ricercare? Cosa rimarrà di tutto questo se dalle ceneri lascerà risorgere la medesima dea china sulla medesima montagna di stracci?
Pistoletto, dall’altezza della sua
infinita vanità, ha paragonato l’evento ad un femminicidio, facendo saltare me
è molte altre persone dalla seggiola, peccato che dopo un paio di giorni di
lutto, sotto pagamento rimpiazzi la figlia assassinata.
Cosa ne rimarrà di tutto questo? Forse solo l’ennesima prova che il Potere e la Vanità sono ridicoli entrambi eppure vincenti? Il Re è nudo, sa di esserlo e col suo Pistoletto da fuori, se ne va fiero per le strade della città.
Ecco, cosa ne rimarrà: una triste fiaba
senza alcun lieto fine.
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https://artslife.com/2023/07/13/e-se-la-venere-degli-stracci-fosse-come-la-corazzata-potemkin/?
https://www.google.com/imgres?imgurl=https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2023/07/12/
https://www.artribune.com/attualita/2023/07/venere-stracci-pistoletto-fiamme-fragilita/
1 commento:
Secondo me, rientra nella poetica "poverista", tanto è riproducibile, con un ritorno di immagine non indifferente per il maestro artista, dell'Arte Povera"...
Angelo Riviello
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