Gian Maria Tosatti: l'unicum made in Italy al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, a cura di Eugenio Viola (Scuola di Critica d'Arte di Salerno)
"Elogio dell’artista come manager delle pubbliche relazioni"
di Aldo Elefante
Questa decisione di presentare il solo Gian Maria Tosatti nel Padiglione italia alla prossima Biennale di Venezia è un atto di arroganza ed arbitrio enorme. Mai era accaduto che il Padiglione fosse affidato ad un singolo artista. Quindi neanche Pistoletto ha mai avuto questo onore, tanto per fare un nome. E’ un regalo che Napoli fa attraverso i suoi galleristi e il suo curatore all’Italia. Ma anche Roma non ha voluto essere da meno subito dopo nominando Tosatti direttore artistico della Quadriennale. Però come dimostrerò più avanti da un certo punto di vista questa decisione coglie nel segno.
Eugenio Viola, il neocuratore del Padiglione italiano, è l'autore di questa
scelta arrogante. Io l’ho conosciuto "da piccolo" dovrei dire, non
molti anni fa, quando era il giovane assistente di galleria di Guido Cabib a
Napoli. Non discuto le sue qualità intellettive e di studioso. Ma forse non
deve solo a queste il suo successo. La sua condotta molto attenta ai rapporti
di forza e di potere, molto andreottiana, che ho potuto verificare di persona
come artista, lo rende perfetto per questo anetico sedicente sistema dell’arte.
L’incontro di Viola con Tosatti è avvenuto perché il primo è stato il
curatore di un ciclo di mostre del secondo a Napoli supportate da Fondazione Morra,
Lia Rumma e Madre (la santissima Trinità), intitolato “Sette stagioni dello
Spirito". E’ proprio in questa città, che ha sempre odiato i suoi artisti
migliori, Tosatti ha trovato l’America. Qui ha avuto un’accoglienza enorme e
gli sono state aperte tutte le porte.
Prima dell’elogio di questo nuovo eletto dalla Chiesa dell’arte
contemporanea nostrana, vi racconto delle volte in cui l’ho incrociato nelle
sue molteplici attività artistiche napoletane.
Innanzitutto ricordo queste e-mail, che arrivavano a firma sua. Erano
proprio le classiche lettere aziendali dove cambiava come di prassi soltanto il
nome del ricevente. In esse lui, con tono perfetto dirigente d’azienda, si
dichiarava felice di ricevere il destinatario della mail alla sua mostra. Di
lui mi vengono in mente ancora l’installazione di un campo di spighe
all’interno di Castel Sant’elmo che gli valse la vittoria di un premio,
qualcuna di queste Stazioni che aprivano spazi urbani abbandonati alla visita
individuale dei fruitori, e soprattutto il suo big show al Madre (dove occupò
la Project room al piano terra e otto sale al secondo piano), prima personale
dell’artista in un museo pubblico italiano. Sono stato presente anche ad un
paio di incontri fra i tanti che organizzò al Museo Nitsch, dove vennero grandi
artisti come Kounellis, e dove mi meravigliai di quanto fosse rispettato come
interlocutore questo giovane dalla parlantina “giusta" ma dai contenuti
piuttosto poveri. E infine ho memoria di un video presentato in occasione di
una rassegna nel centro occupato ex Asilo Filangieri che documentava una sua
operazione in uno spazio autogestito alla periferia di Roma. Da quello che ho
visto mi sono fatto l’idea che Tosatti è un ottimo venditore della nostra merce
nazionale per eccellenza, e cioè la retorica (ma questa ritengo contribuisca
alle sue fortune non in maniera determinante pur essendo il corredo perfetto
del tipo di artista contemporaneo che cercherò di delineare fra poco).
Riconosco che le installazioni tosattiane abbiano una loro valenza scenica
teatrale e che quindi possano in qualche modo colpire lo sguardo, ma diffido
dalle “scene” e non le sopporto più neanche in teatro.
Perché elogiarlo quindi? Perché il vero valore di questo artista è un altro
ed è per questo che forse è giusto fargli rappresentare da solo l'Italia a
Venezia. Infatti è un artista di buon livello e di ottima retorica ma diventa
eccellente come artista manager delle pubbliche relazioni. Tosatti in effetti
ha capito con il suo “trasversalismo relazionale", che lo vede uno e trino
passare da un salotto di palazzo Donn’Anna ad un centro sociale, che importante
è la presenza, l’essere ubiqui ed il mettersi in relazione, sostenendo con una
sapiente autopromozione la propria reputazione in modo costante. L’esatto
contrario, ma della stessa valenza, di Banksy. Tosatti è dappertutto e
dappertutto esporta la sua retorica. Recentemente un "progetto nomade sul
tema del declino delle democrazie e la conseguente scomparsa della civiltà
occidentale” lo ha portato tra Ucraina, Turchia e Russia, dove è stato anche
arrestato.
Tosatti capisce dove andare per fare ascolto, audience ed affermarsi in
questo sistema dell’arte sempre più beatamente autoreferenziale. Tosatti è
amico di tutti. E’ anche giornalista, editorialista per il Corriere della Sera
e per la rivista Opera Viva, e dulcis in fundo scrittore. Un uomo per tutte le
stagioni, anche per le mezze stagioni che non ci sono più. Piace a tutti. E non
vuole dispiacere a nessuno.
E questa è l’arte all'inizio del terzo millennio. Il luogo teorico/pratico
dove l’estetica relazionale di Nicolas Bourriaud incontra le pubbliche
relazioni teorizzate da Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud. Non più opera
processo oggetto performance, ma neanche dispositivo per attivare la creatività
del pubblico. Semplicemente superattivazione dell’attività relazionante, con
conseguente creazione di un proprio pubblico partecipativo, in vista della
creazione di sé come valore che diventa prassi estetica e quindi trionfo,
tardivo e in negativo, del mito della sovrapposizione arte/vita. Oggi l’arte
sta nelle public relations, e cioè, come da definizione, nelle pratiche di
comunicazione il cui obiettivo è sviluppare relazioni. L’artista è quindi prima
di tutto un PR. La sua arte sta nel crearsi un seguito, tanti followers in
tutti i piani di realtà che frequenta. Naturalmente deve partecipare alle feste
e agli eventi che contano, ufficiali o alternativi. Poi la qualità di opere o
installazioni è un fattore marginale. Certo quelle spettacolari e di facile
lettura sono le migliori, così come gli interventi pseudoimpegnati nel sociale
che sanno toccare in maniera superficiale i grandi temi della contemporaneità
(interventi realizzati molto spesso da chi sta saldamente a braccetto con i
padroni dell'arte). Ma ciò che conta è la capacità di attrazione personale che
l’artista sa mettere in campo. E in questa “arte delle relazioni" credo
che dopo Cattelan e Vezzoli, che pure devono molto alla loro capacità di
relazionarsi con il pubblico dell'arte e soprattutto con le persone giuste,
Tosatti sia oggi il più grande in Italia e forse uno dei più grandi a livello
internazionale. Ecoo perché il mercato, che ama i lavori retorici e l’artista
divo, ha investito su di lui.
Se la motivazione del curatore, anche lui molto relazionale, per la sua
decisione fosse stata il riconoscimento di questa “relazionalità estetica"
non avrei mosso alcuna critica ed anzi avrei appoggiato la decisione. Invece
Viola pretende di proporre questo artista come il miglior ideatore/creatore
italiano di qualcosa che siano installazioni o altro, e questo è fortemente
opinabile. Insomma non riesce a prendere atto, occultandola, di questa
trasformazione epocale dell’arte di cui Tosatti è un eccezionale interprete.
Anche se l’artista romano, come già si può evincere dalle sue prime dichiarazioni, preparerà un grande spettacolo retorico per la Biennale, assisteremo, al di là di ogni scenografia o superinstallazione, al trionfo dell’arte come vita di pubbliche relazioni
Aldo Elefante, 09 settembre, 2021
- Ivano Sossella Uswma la Biennale è da tempo fuori "dal sistema dell'arte " :)))
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