venerdì 15 giugno 2018

Amarcord 5 - Incontri, Ricordi, Euforie, Melancolie

Amarcord 5
Incontri, Ricordi, Euforie, Melancolie
a cura di Giancarlo Politi
Lucio Fontana

Dino Gavina
Conobbi personalmente Lucio Fontana a Trevi, in uno dei suoi frequenti soggiorni da Gavina. Dino Gavina fu un personaggio mitico dell’arte e del design. Negli anni Cinquanta, non so per quale motivo, essendo lui nato vicino Bologna, aprì un grande stabilimento per mobili di alta qualità e design a Foligno, a pochi chilometri dalla mia casa di Trevi (a pensarci bene forse per beneficiare di alcuni privilegi dell’allora Cassa per il Mezzogiorno). Nel suo stabilimento si incontravano Carlo Scarpa, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Carlo Mollino, a cui l’aveva introdotto Lucio Fontana, grande amico e supporter di Gavina. Gavina, tra un mobile e una follia, produceva opere e multipli d’arte che sono passati alla storia, come il grande specchio ovale di Man Ray (Les Grands Trans-Parents), un bellissimo divano componibile, il Malitte di Sebastian Matta, di cui in giro per l’ufficio ho ancora qualche pezzo rosso, i divani Cesca, Wassily e Reclining progettati da Marcel Breuer e realizzati solo come prototipi quando lui era alla Bauhaus. E opere e multipli di Marina Apollonio, Enzo Mari, Manfredo Massironi, Alberto Biasi, Getulio Alviani, Davide Boriani. Memorabili furono le serate con Marcel Duchamp e Man Ray, nella sua sede di San Lazzaro di Savena e insuperabile la mostra dedicata a Duchamp nel 1963 a Roma, in un suo negozio in via Condotti e allestita da Carlo Scarpa per cui Duchamp dichiarò che era “la mostra più bella che lui avesse mai avuto”.

Dunque il sodalizio tra Lucio Fontana e Dino Gavina parte da lontano, già nel 1953, allorché Fontana invita l’amico Gavina alla Triennale di Milano dove appunto gli presenta i più famosi architetti e designer italiani. Da lì inizia la leggenda di Dino Gavina, ahimè, troppo presto dimenticato dalla storia del design italiano, di cui fu un assoluto protagonista.
E nel nuovissimo e tecnologico (per quei tempi) stabilimento di Foligno, Lucio Fontana era di casa. Per rilassarsi, per gustare la cucina umbra di cui pare fosse un estimatore, ma soprattutto per realizzare le sue opere. Affidava i suoi disegni a un operaio che li realizzava completamente e perfettamente. Lucio infatti enfatizzava la bravura degli operai di Gavina, con cui condivideva pranzi e cene. Un giorno nello stabilimento vidi su un tavolo, abbandonati a se stessi, un pacco enorme di schizzi di opere su fogli A4: saranno stati almeno quattrocento. Molto spesso Lucio realizzava le sue opere fuori del suo studio: negli anni Sessanta a Milano fu Franco Tosi a realizzargli tutte le opere che lui firmava soltanto. Successivamente fu Gavina.
La prima volta che conobbi Fontana fu una sera a casa, e mi fu introdotto da Gino Marotta. “Dai Lucio, andiamo a cena da Giancarlo Politi, qui vicino”, gli disse. “È un caro amico e ama molto il tuo lavoro”. “Politi?”, ripeté Fontana. “Bene, così gli rompo il muso”.
Quando arrivano a casa mia, Fontana disse: “ma non è lui!” “Come”, rispose Gino Marotta, “è lui il Giancarlo Politi che scrive sulla Fiera Letteraria e appassionato d’arte e di poesia e tuo sostenitore” (allora erano rari i sostenitori di Fontana). “Ma no, non è lui il Politi a cui volevo rompere il muso. Si tratta di un Politi che ha una galleria a Livorno e che mi ha rubato una mostra intera. E che comunque non riesco a denunciare perché è un ragazzo simpatico”. Poi mi spiegò e forse mi mostrò un dépliant di una sua mostra in questa fantomatica galleria Politi di Livorno da cui non rivide mai più i suoi quadri.
In questo modo diventammo amici, anche perché Lucio apprezzava molto la cucina umbra di mia madre. In particolare il coniglio in umido. Ricordo che mio padre teneva una sfilata di salsicce appese al soffitto per farle essiccare, come si usava allora. “Posso assaggiarne una”, chiese gentilmente Lucio a mio padre, “mi sembrano molto invitanti”. E mio padre, felice, offrì a Fontana le salsicce del nostro maiale, macellato qualche settimana prima. Fontana gradì particolarmente anche un vino bianco di un contadino del posto che a proporlo oggi sarebbe offensivo. In fondo Lucio Fontana, nella sua eleganza sudamericana, simile anche a quella della mafia in voga nel dopoguerra, con le scarpe bianche o gialle, era rimasto un contadino, un uomo legato alla terra e alla gente semplice. Apprezzava sì i ristoranti e le donne eleganti di Milano, ma non disdegnava le trattorie o le cucine povere e le belle ragazze formose e semplici. Noi eravamo buoni amici sì, anche se poi non ci frequentammo molto, perché io abitavo a Roma (a casa di Gino Marotta appunto) e lui a Milano. Ci si incontrava solo quando lui andava a Foligno e io a Trevi. 
Ho raccontato già la storia di un suo teatrino, che aveva appena realizzato a Foligno e che mi regalò per aiutarmi a pagare l’affitto quando a Roma riuscii ad avere un appartamento in cambio di opere. 
Sono andato nel suo studio di Milano, in Corso Monforte 23, solo tre o quattro volte. E almeno due volte vidi uscire delle ragazze un po’ scarmigliate e con il rossetto un disfatto con un quadretto sotto braccio. “Ma non temi tua moglie?”, gli chiesi. Infatti Teresita, sua moglie, stava nella stanza accanto, in silenzio e la ricordo sempre che stirava. Lui mi rispose ridendo che sua moglie non si interessava al suo lavoro e non aveva accesso allo studio, dove lui era libero di ricevere chiunque. Era un accordo tacito tra loro. E mi riferì una frase sulla moglie che preferisco non ripetere per timore di qualche accusa di misoginia. Quella Teresita Fontana, che non entrava mai nello studio e che Lucio tenne rigorosamente lontana dalla sua vita, alla morte di Lucio divenne la vestale implacabile e dispotica dei sui lavori. Aveva perduto la sua umiltà di tranquilla casalinga per assumere il ruolo della moglie dell’artista a cui spettavano i poteri taumaturgici di far diventare una tela con i buchi, un’opera di Lucio Fontana. E credo si vendicò con spietatezza nei confronti di donne che chiedevano l’autentica di un’opera di Lucio, anche se Crispolti vigilava con molta professionalità sull’opera del maestro.

L’idea dei tagli in Lucio Fontana


Rimasi di stucco un giorno (non ricordo se a Trevi o a Milano) quando, da critico d’arte, gli chiesi da dove era nata l’idea del taglio nelle sue opere. Un gesto su cui erano stati scritti libri sacri che richiamavano la fisica quantistica, il buco nero o la terza dimensione.
La sua risposta? Ve lo giuro, perché rimasi di stucco. “L’idea mi è venuta dalla ‘figa’ di V”. Che io conoscevo bene perché era un’artista molto attiva (e bravissima) ed era stata (o era?) la fidanzata di Piero Manzoni. Ragazza, affascinante, molto creativa e per quei tempi particolarmente disinibita.
Un altro episodio curioso e rivelatore sempre nello studio fu allorché gli portai un suo quadro da firmare, ricevuto come pagamento della pubblicità su Flash Art, da Remo Pastori, mitico gallerista di Torino. All’epoca più famoso (in Italia) di Leo Castelli perché non c’era artista italiano appena propositivo (Schifano, Festa, Angeli, appunto Fontana ma tantissimi altri, anzi tutti) che non avessero esposto da lui. E lui talvolta pagava le opere che riusciva sempre a vendere, ma altre volte prometteva di pagarle e poi si sottraeva al pagamento con sotterfugi inenarrabili. Se riuscissi a mettere a fuoco meglio la figura di Remo Pastori, anche lui come Luciano Inga-Pin, morto povero e solo, lui sì che meriterebbe un Amarcord. Ma anche nel suo caso, vivendo io a Roma e lui a Torino, lo frequentavo saltuariamente. Pur sentendo raccontare su di lui le storie più divertenti e assurde, di cui talvolta fui anche testimone.
Conoscendo Pastori, che mi aveva dato il quadro di Fontana, chiesi a Lucio se era veramente suo, perché non era firmato. Lucio guardò attentamente il quadro, lo girò e rigirò su se stesso, poi mi disse: “Ti piace questo quadro?” “Sì, è bello, molto bello come tutte le tue opere”. “Bene, se ti piace e piace anche a me, allora è mio”. E ridendo me lo firmò con dedica. Allora capii quanto fosse generoso Lucio Fontana e quanto malandrino Remo Pastori. Eppure i due furono sempre molto amici e Lucio sostenne sempre Remo aiutandolo nei momenti più difficili. Anche perché in quell’epoca le gallerie che volevano esporre Lucio Fontana erano rare e il solo critico noto che si interessava a Fontana era Enrico Crispolti e sua moglie Drudi Gambillo). E Lucio invece apprezzava molto le inaugurazioni, per conoscere nuove persone, collezionisti e soprattutto belle donne. Ho conosciuto pochi artisti generosi e ironici come Lucio Fontana. L’opposto di Alberto Burri, avaro e sospettoso e livoroso come certi contadini umbri. Ma su Burri uscirà prossimamente un Amarcord.   
Contributi dai lettori
Ruth Debel, Gerusalemme
Carissimo Giancarlo, anche da Israele, congratulazioni. Ho fatto la tua conoscenza nel 1973, a una fiera d’arte. Com’e cambiato il mondo! Siamo vecchi di corpo ma non di testa! Mi fa gran piacere leggere Amarcord. 
Amicizia
Ruth Debel, Gerusalemme

Cara Ruth, certo ricordo il nostro incontro in una primissima Art Basel. Salutami la bellissima Gerusalemme del mio cuore che visitai nel 1975 con Jean Christophe Amman, Myriam Solomon e Robert Pincus-Witten in un viaggio indimenticabile di dieci giorni, guidati dal mitico Yona Fischer, forse il critico d’arte più illuminato nella Israele del dopoguerra, che ci introdusse senza demagogia nella realtà e nell’arte di Israele. Ma amo Israele, Gerusalemme, Tel Aviv, il Mar Morto e Masada, di cui conosco ogni pietra e a cui ho reso omaggio in ogni mio viaggio con Helena. E invidio ora Nicola Trezzi che, Incurante delle calure talvolta mortali che si calano su Tel Aviv, felicemente vi abita e dove insegna e dirige il CCA, e anzi mi dice che ti aspetta. Un abbraccio da Milano.

Giuliano Gori
Carissimo Giancarlo,
Amarcord del 29 maggio nel ricordare un episodio che ci ha coinvolti nell’età giovanile, hai usato il seguente termine: “ogni volta che incontro Giuliano Gori, mi sorride beffardamente, alla toscana, per ricordarmi il suo grande affare..”
Sono certo che quel “beffardamente” lo hai usato unicamente per “colorare” il tuo racconto e non certo per addebitarmi delle millanterie che certamente non meriterei.
Infine sappi che non ho mai riferito a nessuno di quel nostro antico accordo, neppure a livello strettamente familiare, come non riferisco mai dei rapporti intrattenuti con gli artisti che frequentano la collezione di Celle.
Il 21 marzo scorso, giorno universalmente riservato alla poesia, abbiamo inaugurato l’ottantesima opera ambientale, tempo di esecuzione sedici mesi. Sono intervenuti oltre duemila persone, tra questi come al solito alcuni gruppi organizzati da musei, sia europei che di oltre oceano. Dopo questa nostra lunga pausa mi farebbe un gran piacere rincontrarti, cosa ne dici?
Con immutata stima e amicizia

Caro Giuliano, ma il sorriso toscano è sempre beffardo. Poi questi sono ricordi che hanno sessanta anni. A volte sbiadiscono altre volte si colorano. E come vedi ancora oggi io penso che in quel momento l’affare l’abbia fatto io. E lo stesso Fontana ne convenne.
Un caro saluto e complimenti per il tuo entusiasmo nel lavoro. Mi piacerebbe passare a trovarti. Chissà che non ce la faccia quando sarò in Versilia.

Luisa Laureati Briganti
Grazie, non ti avevo mai trovato così simpatico e diverso come in questa breve amarcord, una ottantenne che si pente del suo giudizio. Poi naturalmente le citazioni di Mario Diacono e Luigi Ontani mi hanno molto commosso. 
Luisa Laureati Briganti.

Luisa, tra umbri (io) e marchigiani (tu) talvolta è difficile sintonizzarsi. Si è sempre un po’ sospettosi perché troppo simili. E perché entrambi reduci, un po’ in cagnesco, del Sacro Romano Impero.

Luca M.Venturi
Giancarlo, non so tu, ma vedo attorno appiattimento, ignoranza totale della Storia dell'arte, e della Storia, déjà-vu, e se Internet ci ripropone anche gratis, a cercarli, tanti testi e immagini, proprio gli ultimi cinquant’anni almeno sono ignorati e assenti... per motivi di copyright. Grazie per i tuoi ricordi, brillanti iceberg in un oceano di noia e banalità.
Luca M. Venturi

Luca, e se fossero i nostri occhi a non sapere vedere e farci capire? Occhi stanchi i nostri, dopo cinquant’anni di attenzione alla cronaca e alla storia. Io mi sono appena operato di cataratta. Ti saprò dire tra un po’ se vedrò meglio il nostro presente.

Alessandro Bianchi
Lascia o Raddoppia, una pietra miliare nella mia formazione giovanile.
Grazie per l'Amarcord. 
Alessandro Bianchi

Paola Marino
Mi unisco alla gioia di aver ricevuto questo racconto!
Paola Marino

Maurizio Spatola
Caro Politi,
grazie per il fantastico "Amarcord"  che mi hai inviato, risvegliando anche in me antichi e bellissimi ricordi: nel 1956 avevo quasi dieci anni e al giovedì sera trasmigravo anch'io con i miei genitori in casa di un vicino per vedere "Lascia o raddoppia". In onore di John Cage ti mando un flash del mio incontro con lui a Torino nel 1984, un resoconto in mille battute scritto per la rivista online "Diaforia" di Daniele Poletti. Per decenni il tuo nome è stato per me legato a Flash Art, ma vedo che l'orizzonte, già vasto, è molto più ampio.
Un caro saluto, Maurizio Spatola 

“Il numero di mille caratteri, in cui mi si chiede di racchiudere le mie riflessioni su John Cage, coincide con l’evento che mi fece incontrare l’eclettico musicista americano nel maggio 1984 a Torino, per un’intervista: un inusitato concerto per mille voci infantili organizzato nella periferia. Il colloquio avvenne in albergo, sorseggiando tè macrobiotico da lui preparato: mi resta il ricordo di un uomo semplice, simpatico e di straordinaria umanità, capace di spiegare la sua idea di musica senza tecnicismi e arzigogoli concettuali. Il “collezionista di rumori” si muoveva e parlava con la trasparenza della normalità e la serenità della consapevolezza: un geniale Maestro che rifiutava tale definizione di sé. La notizia della sua morte mi lasciò una sensazione di sgomento e di vuoto, lenita dal flash della sua risposta alla mia domanda sulle sue fonti d’ispirazione: ‘A New York, abito all' incrocio fra la ventottesima e la quinta avenue: non mi serve altro, mi basta ascoltare la strada’”.

Caterina Gualco
Molto gustoso!
Ricordo ancora la famosa battuta di Mike Bongiorno, nel congedarsi da Cage
 Mike “E ora signor Cage, cosa farà?” Cage “Me ne torno a New York, ma vi lascio la mia musica” Mike: “Non potrebbe invece rimanere con noi e mandare la sua musica a New York?”
Grazie e buon proseguimento! Me li godo proprio, i tuoi Amarcord!
Caterina Gualco

Angelo Liberati
Amico Giancarlo,
Ho apprezzato e apprezzo questi tuoi ricordi che “mi parlano” di stagioni dell'arte che mi hanno fatto crescere. 
Questa tua ultima dedicata a John Cage è ricca di informazioni su un tempo e un mondo Culturale che serve ricordare per conservarne qualcosa, percorsi anche parziali utili a tramandare segni di Civiltà ai pochi, e vorrei poter dire molti, umani disponibili a conservare il fuoco*. 
Un abbraccio virtuale con un ricordo che corre a Castiadas in una sera d'estate con il nostro amico Mauro Cossu.
Angelo Liberati


Con Mauro Cossu e forse Getulio Alviani? Qui i ricordi commuovono e si fanno storia.

Cristiano Berti
Caro Giancarlo,
e di Roberto Sanesi, hai qualche ricordo? Mi piacerebbe leggere qualcosa su di lui.
saluti cordiali,
Cristiano Berti

Non ho frequentato Roberto Sanesi nel circuito dell’arte. Sponde opposte. Ho di lui un ottimo ricordo come traduttore di Dylan Thomas, un tempo il mio poeta preferito, forse proprio grazie a Sanesi. Ma le sue scelte artistiche erano troppo scontate (a quei tempi) per me. Molto bella invece la sua Poesia Inglese del dopoguerra, pubblicata da Schwarz. Una antologia su cui ho trascorso intere giornate di commozione: con Thomas S. Eliot, Thomas,Yeats, Marlowe, Hart Crane….

Davide Bertocchi
Caro Giancarlo,
Grazie!  Bello leggeri i tuoi ricordi in questo momento di amnesia globale. Ma hai già pensato di raccoglierli in un bel libro? : ) Un abbraccio da Parigi
Davide Bertocchi

Ciriaca + R
Caro Giancarlo,
ho cominciato a leggere quasi per caso e ne sono stata rapita. Quanta vita, quanta storie di vita vera e poesia di immagini ed emozioni. Sono commossa nello scoprire un Politi che non immaginavo. Un caro saluto e grazie.
Ciriaca

Ciriaca, non siamo mai ciò che sembriamo. La nostra immagine è sempre migliore o peggiore di ciò che rimanda lo specchio.

Carlo Bertocci
Caro Giancarlo, i tuoi amarcord sono per me, che ho solo qualche anno meno di te, molto evocativi e aprono squarci di memoria che scaldano il cuore. Specialmente l'ultimo che racconta la tua partecipazione a Lascia o raddoppia, che non conoscevo; tutto quello che ne è conseguito è particolarmente toccante e fotografa squarci di quegli anni con una particolare atmosfera e vividezza, incluso il tuo rapporto con la poesia e con i poeti, che appena  ricordavo, ma che è ricco e entusiasmante e sarebbe da approfondire. A proposito della partecipazione di John Cage alla trasmissione colgo l'occasione per mostrarti, in allegato, un mio contributo al ricordo di quell'evento che forse non conosci, fu pubblicato nella rivista Gong nel 1975, ed è la trascrizione fatta da me dell'ultima puntata di Cage. Purtroppo il nastro audio che avevo è andato perduto e come tu sai non esistono alla Rai filmati di quel periodo, cosi la mia trascrizione è uno dei pochi documenti insieme a qualche foto e articolo di giornale che documenta l'avvenimento. Viene riportata in molte biografie su Cage ed estratti anche in Wikipedia. Che la fonte sia la mia è testimoniata curiosamente dagli errori che ho fatto trascrivendo i nomi del funghi. Ma mi sono chiesto perchè allora non ti  avevo proposto  la pubblicazione  su Flash Art, visto che gli anni successivi ho avuto il piacere e l'onore della tua attenzione prima con alcune collaborazioni come critico e poi come pittore.a partire dagli anni Ottanta.
Dal 1968 e per qualche decennio la tua rivista è stata una Bibbia per me, come per molti della mia generazione, conoscevo a memoria argomenti trattati nei vari numeri nei vari anni, e la mia tesi di laurea ad Architettura a Firenze con Eugenio Battisti del 1973 era in parte ricavata dalla massa di informazioni che solo la tua rivista proponeva. Così ripensando a quegli anni mi ricordo che ancora nel 1975 la tua rivista mi sembrava quasi irraggiungibile e solo pubblicarvi sarebbe stato un alto punto di arrivo al quale non mi sentivo preparato. 

Ti ringrazio dell'attenzione, continuerò a seguire con grande curiosità e interesse i tuoi amarcord e ti mando caro saluto.
Carlo Bertocci

Per suggerire spunti di riflessione e alimentare il dibattito intorno ai contenuti della rubrica scrivete a:giancarlo@flashartonline.com














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