A Salerno le fontane non sono più di moda
Viaggio nello stato di degrado ed abbandono delle fontanelle pubbliche cittadine, un tempo fiore all’occhiello del sindaco De Luca, ormai ex Vincenzo a’ fontana, il suo primo soprannome ai tempi del primo mandato da sindaco negli anni novanta.
Le fontane di Salerno, un tempo con l’allora giovane sindaco Vincenzo De Luca, erano molto in auge tanto che il popolare primo cittadino fu appellato Vincenzo ‘a funtana.
n.b. Oggi vivono una esistenza più grama, molte sono “stutate” (spente, ndr) altre interrate e trasformate in non sempre apprezzabili fioriere od aiuole.
A noi sinceramente piacciono più le fontane ed il movimento dell’acqua.
Peccato che, dopo l’interramento nel Parco del Mercatello e della “Fontana Felice” di Ugo Marano, davanti al sagrato di San Pietro in Camerellis, adesso si proceda con la fontana di Piazza Montpellier (prospiciente il Parco Pinocchio) trasformandola in aiuola.
La stessa sorte potrebbe toccare anche a quella davanti all’Hotel Salerno.
Mah speriamo di no…
____________________________________________________________
Ugo Marano, l'autore della "Fontana Felice", nel ricordo di Angelo Trimarco, presidente della Fondazione "Filiberto Menna" di Salerno
Ad Amalfi, il 1968
di Angelo
Trimarco
Per ricordare Ugo, ora, mi soccorre una foto di gruppo. E’ il 1968, ad
Amalfi, dove negli Arsenali dell’antica Repubblica, l’arte povera, pilotata da
Germano Celant, inizia la sua avventura d’alto mare. La foto raffigura Ugo,
capelli folti, altissimo, e con una cartella bianca stretta in mano, Marcello
Rumma, che di Arte povera più Azioni
povere è stato l’artefice, chi scrive, una ragazza con una treccia
lunghissima che segna le esili spalle e,
sullo sfondo, Gerry Schum, artista, gallerista e collezionista che, in questi anni e anche dopo, ha girato
il mondo per raccontare con la sua telecamera i momenti più significativi
dell’arte in corso.
Avevamo, tutti, meno di
trent’anni ad Amalfi, nel 1968, quando,
temerariamente, da punti cardinali diversi, abbiamo scelto di affacciarci nel
mondo dell’arte come artisti, collezionisti e critici, comunque, stupiti dalle
recenti esperienze che stavano cambiando la scena dell’arte e, insieme,
speravano di trasformare il mondo.
E’stato proprio nel 1968 che
Ugo, in piazza del Duomo, ha presentato i suoi lavori. Si è trattato di una prova generale, se non di un
esordio, alla presenza del popolo
dell’arte che, negli stessi giorni, festeggiando l’arte povera, anima la
Rassegna di Pittura, divenuta internazionale dalla seconda edizione. La mostra
è scandita da sculture, in armonia con
lo spazio che si apre sul mare e sul sacro: sculture che rifiutano i materiali
nobili, il marmo e il bronzo. E’ questo un tratto – le sculture nell’aperto del
cielo, del verde e dell’aria – che l’artista, nel corso del tempo, non
abbandonerà tanto da pensare e realizzare, in questa tensione, il lavoro, di
scultura e di design – un design che ama il suono del vento -, alleggerito, di
volta in volta, con materiali sempre meno
invadenti e più teneri, come la
ceramica.
Ha voluto che anche la
ceramica, talvolta semplici piatti, avesse la seduzione del gioco e l’intensità
dell’amicizia. Così, un’estate, per La
festa delle Idee, ha invitato a Capriglia, dov’è nato, una famiglia di
scrittori, di critici e di teorici dell’arte – Sanguineti, Dorfles e Menna, per
esempio -, a realizzare un piatto. Menna, a emblema, ha segnato il piatto con
il palmo della sua mano, la mano dell’artigiano e dell’artista che l’età
moderna ha distinto e, poi, ha separato. Anch’io sono stato invitato a
Capriglia, ma, sottraendomi alla sfida, mi sono limitato a scrivere la
presentazione in catalogo citando, come si usava, un lungo brano di Deleuze sul
desiderio e sulle sue derive. E’ stato anche nel ricordo di quest’incontro di
piatti ad arte che la Fondazione Menna,
nel salutare il carissimo amico che ci ha lasciato, ha accompagnato, quale
viatico, le parole con una foto che raffigura Ugo, in macchina, insieme a
Sanguineti, Bianca e Filiberto.
Anche nella nostra città, a
Salerno, Ugo Marano ha realizzato un’opera, una fontana di ceramica azzurra e
di acqua limpida – l’ha chiamata Fontana
Felice - che ha collocata nello spazio antistante la chiesa di San Pietro
in Camerellis, nel centralissimo corso
Garibaldi. Lo so, non è la Fontana dei
Fiumi di Bernini, a piazza Navona. Non deve essere, però, neanche una
discarica. Merita, io credo, almeno un po’ di attenzione e soprattutto di
manutenzione quale segno, a un anno dalla sua scomparsa, del nostro ricordo e
della nostra amicizia.
Nessun commento:
Posta un commento