lunedì 13 ottobre 2014

ANTICIPAZIONI

"ANTICIPAZIONI"
(piccole/grandi opere)
25-10/4-11- 2014
Coordinamento Artistico di Elena P.Dell'Andrea

Sale Espositive Centro Culturale Galuppi
Via S. Mauro, 107
Burano - Venezia
Opening - Sabato 25 ottobre, ore 12
Orario Mostra: 14/18
tel. 349.101.74.12


L’artista è un sismografo in grado di registrare in anticipo le vibrazioni di piccole scosse, preludio di grandi sconvolgimenti. La parola chiave è il prefisso anti-, che ha dato origine al titolo Anticipazioni. Per Schopenauer “Nell’anticipazione (Antizipation) consiste l’ideale, essa è l’idea ed è qui che l’artista trova la forza di intuire la bellezza con tale chiarezza, da potercela rivelare quale non la vide mai.” Prendendo spunto da queste parole nasce questo momento di riflessione, che anticipa i temi caldi degli eventi della prossima stagione: nutrire il pianeta, energia per la vita, cibo, acqua e territorio. Approfondendo il tema, per Kant Antizipation è “ogni conoscenza mediante la quale io posso conoscere e stabilire a priori ciò che appartiene alla conoscenza sensibile”. Attraverso questa definizione possiamo ulteriormente ampliare il concetto di anticipazione, andando oltre i confini temporali del domani. Nella consapevolezza della difficoltà umana nel sospendere il giudizio su questa mostra e riflettere sulle cause, vi lascio con le parole di Nietzsche: “Pensiero fondamentale in tutti i nostri giudizi occorre prendere come norma l’avvenire, e non cercare dietro di noi le norme della nostra azione”.


Esposizione

Artisti:
Adua Martina Rosarno, Amedeo Fernandes, Thomas Scalco, Bernardo Pagliaro, Enrico Marcato, Elena P. Dell’Andrea, Rocco Sciaudone, Raffaele Vargas, Marco Rizzi.

Esposizione internazionale di Mail Art del Manifesto Brut
Artisti: 
Maya Pacifico, Eric Legrain, Rino Telaro, Michael Beauvent, Winny Tewes, Rocco Sciaudone, Elena P. Dell’Andrea, Roberto Scala, Irina Danilova, Roberta Filippi, Thomas Scalco, Peppe Esposito, Pino Lauria, Angelo Riviello, Anna Colmayer, Alfonso Caccavale.

  • Durante l’inaugurazione performance del duo Rosarno- Fernandes e intervento di Caterina Vianello su Il gusto dell’arte. La fragilità del confine tra cibo e opera artistica.
  • Contributi critici in catalogo: Emiliano D’Angelo, Caterina Vianello, Giuditta Smith
  • Coordinatrice dell’evento: Elena P. Dell’Andrea
  • L’evento è stato curato collettivamente dagli artisti partecipanti.
Testi:

"Anticip-Azioni"
di Elena Patrizia Dell’Andrea

Il progetto prende il via dalla collaborazione con la Municipalità di Venezia, Murano e Burano che tra le sue finalità ha quella di promuovere la creatività giovanile, offrendo opportunità di visibilità ai giovani artisti attraverso i contenitori culturali sparsi nel territorio. 

La difficoltà per un artista nel curare una mostra è duplice: far confluire in maniera equilibrata le personalità artistiche, evitando l’autocelebrazione e occuparsi dell’aspetto organizzativo e logistico. Questi scogli sono stati superati coinvolgendo direttamente tutti gli artisti aderenti, che hanno partecipato con contributi intellettuali, artistici, autofinanziandosi, e collaborando con le associazioni del Centro Culturale Galuppi di Burano, ringrazio in modo particolare l’Associazione Artistica Culturale di Burano. 

Proprio quando è nata l’idea di organizzare la mostra, stavo leggendo un saggio di Jean Clair: La responsabilità dell’artista, Le avanguardie tra terrore e ragione e riflettevo sul fatto che l’artista è un sismografo in grado di registrare in anticipo le vibrazioni di piccole scosse, preludio di grandi sconvolgimenti. La parola chiave è il prefisso anti-, che già dal 2011, con la creazione di Artistianti, movimento artistico contemporaneo, mi ha fatto riflettere e, ora, ha dato origine al titolo Anticipazioni.
“Nell’anticipazione (Antizipation) consiste l’ideale, essa è l’idea ed è qui che l’artista trova la forza di intuire la bellezza con tale chiarezza, da potercela rivelare quale non la vide mai.” Così scrive Schopenauer ne Il mondo. Prendendo spunto da queste parole nasce il progetto di un gruppo di giovani artisti che desiderano organizzare un momento di riflessione anticipando i temi caldi degli eventi della prossima stagione: nutrire il pianeta, energia per la vita, cibo, acqua e territorio. 
Approfondendo il tema, per Kant Antizipation è “ogni conoscenza mediante la quale io posso conoscere e stabilire a priori ciò che appartiene alla conoscenza sensibile”. Attraverso questa definizione possiamo ulteriormente ampliare il concetto di anticipazione, andando oltre i confini temporali del domani.
La prestigiosa cornice di Burano diventa ancora una volta protagonista di un evento di carattere internazionale grazie all’adesione del Manifesto Brut con un’esposizione di mail art sullo stesso tema. Infatti questa isola speciale della laguna di Venezia è ricordata proprio per essere catalizzatrice di particolari momenti artistici. Proprio qui, il secolo scorso, prese vita la scuola di Burano, dei giovani ribelli di Ca’ Pesaro, Gino Rossi, Arturo Martini, Felice Casorati, Umberto Poggioli, Tullio Garbari, Ugo Valeri e successivamente Pio Semeghini, accolti da Nino Barbantini. Dopo la seconda guerra mondiale, un altro evento ha caratterizzato la storia di questo luogo, il Premio Burano, con la partecipazione di altri nomi illustri Dalla Zorza, Vedova, Pizzinato, Santomaso e De Luigi. 
Augurandomi che queste premesse siano di buon auspicio anche per gli artisti che partecipano ad Anticipazioni, per Artistianti e per il Manifesto Brut, consapevole della difficoltà umana nel sospendere il giudizio su questi nuovi lavori, totalmente diversi da quelli dei nostri illustri predecessori, vi lascio con un pensiero fondamentale di Nietzsche: “in tutti i nostri giudizi occorre prendere come norma l’avvenire, e non cercare dietro di noi le norme della nostra azione”.


"Il dono di Prometeo"
di Emiliano D’Angelo

Teniamo per ferma una premessa scontata, ma di cui si tende spesso a trascurare
alcuni corollari stringenti e inesorabili: come tutte le specie biologiche, anche quella umana
ha bisogno di adattarsi e di evolversi per poter sopravvivere. Unica tra le specie viventi,
però, essa negli ultimi millenni ha “esternalizzato” questa funzione, delegandola agli oggetti
reperiti in natura o di propria produzione, che vengono a formare così il suo corredo
tecnologico in perenne trasformazione.
La specie Uomo, in altri termini, non si evolve più da un punto di vista biomorfico,
ma (avendone ricevuto la possibilità) ha scelto come strategia di sopravvivenza quella di
elaborare idee ed innovazioni tecniche sempre nuove, che modificano di continuo il suo
habitat sulla base di esigenze fisiche e psicologiche che mutano anno dopo anno, generazione
dopo generazione, civiltà dopo civiltà. Tra queste, occupa una posizione non certo
marginale l’espressione estetica ed artistica: l’arte è condannata a mutare di continuo, a
battere sentieri sempre nuovi e inesplorati, a precorrere ed “anticipare” i tempi anche prefigurando
nuovi scenari antropologici, di cui spesso sa cogliere i tratti salienti sia in positivo
che in negativo. Ed è condannata, soprattutto, a farlo calibrando il proprio linguaggio sulla
mutata realtà politica, scientifica, di consapevolezza gnoseologica e di organizzazione dei
mezzi di produzione: l’arte è figlia di Prometeo esattamente come la scienza, condannata
a superarsi di continuo inseguendo una sorta di frontiera mobile e utopica.
Un’arte epimeteica, ripiegata nostalgicamente sul proprio passato, che non accetti il
rischio di misurarsi titanicamente con lo Zeitgeist e di oltrepassarlo, assolve alla funzione di
consolare le masse ma non fornisce le linee-guida per la comune sopravvivenza, fallendo
la propria missione biologica costitutiva.
Ne scaturisce anche, inevitabilmente, che fare arte è un gesto di valenza essenzialmente
sociale. Non avrebbe avuto alcun senso allestire una mostra come questa senza
obbedire ad uno specifico impulso, sentito da ognuno dei nove artisti partecipanti, a dire
qualcosa “di sociale” e “per il sociale”, nell’accezione più schiettamente hauseriana di tale
espressione. E senza sforzarsi di aggirare, almeno in parte, i media espressivi tradizionali
come la pittura e la scultura, avvertendo in essi una forza latente e insieme un’insufficienza,

che sono peculiari del senso estetico della nostra epoca.
Anche la presenza di alcuni artisti del “Movimento Brut”, che mi vide testimone diretto
della sua nascita nel 2012, vale a caratterizzare fortemente questa collettiva nella
direzione di una presa di coscienza politica e macrosistemica, di respiro europeo e planetario.

Come ebbe a dire lucidamente Savinio parlando di letteratura, ogni civiltà artistica
ha la propria “andatura” espressiva: nell’Odissea percepiamo, in sottofondo, la lentezza e
la maestosità della nave, nell’Orlando Furioso il galoppo dei cavalli, in Tolstoj e Flaubert
l’incedere fragoroso del treno. Qual è l’andatura espressiva del millennio da poco inaugurato, dopo che anche le forme più estreme di dissoluzione e di nebulizzazione della forma artistica sono state sperimentate, esibite, poi sistematicamente rinnegate?
Non lo possiamo sapere. Sappiamo solo che occorre procedere in avanti a piccoli
passi, correggendo le distorsioni del passato senza commettere l’errore di ripudiarne la direttrice progressiva e confidente nelle possibilità della specie. Le nuove sfide da affrontare
sono tutte indicate nel concept della mostra, e sono sfide di sopravvivenza: il cibo, l’acqua,
l’energia, il territorio. Le “anticipazioni” dell’arte contribuiscono a creare quel campo di
energia e di condivisione sociale all’interno del quale la scienza, svincolata per una volta
dalle rigide, e spesso cieche, direttrici di forza dell’economia, può dispiegare le sue forze in
cerca di risposte che riguardano ogni singolo individuo.


"Il gusto dell’arte"
La fragilità del confine tra cibo e opera artistica
di Caterina Vianello e Giuditta Smith

Si è gourmand come si è artista o poeta, Guy de Maupassant
Poche esperienze consentono una stimolazione contemporanea di tutti i sensi come
la percezione dei sapori: nel gusto, l’integrazione multisensoriale trova il suo apice permettendo
di dare senso e significato ad una concomitanza di sensazioni eminentemente
fisiche, che diventano in questo modo e ben presto rielaborazioni culturali, identitarie e
soggettive.
Si gusta e si de-gusta quindi in modo dinamico, con un continuo gioco di rimandi tra
elementi fisici/fisiologici e non: a tavola si è influenzati (in genere inconsapevolmente) dal
colore dei piatti, dall’illuminazione del locale, dai suoni da cui si è avvolti, dalle aspettative
e dagli altri attori/convitati presenti.
In una serie di esperimenti condotti presso il laboratorio di Ferran Adrià, il celebre
chef catalano, lo psicologo Charles Spence ha scoperto che offrendo ai partecipanti la
stessa mousse di fragole servita su piatti neri e su piatti bianchi, il dessert sembrava fino
al 10% più dolce se mangiato su piatti bianchi: si mangia quindi, non solo con la bocca,
ma anche con gli occhi. E con le orecchie – avete mai riflettuto su quale sia l’effetto di uno
sfrigolio sottile o del rumore di un taglio secco sulle aspettative che accompagnano un assaggio?- e con il naso – che delusione quando ad un profumo di pane appena sfornato si
accompagna il sapore di una baguette surgelata - e attraverso il tatto. Il gusto quindi non è
altro che un’operazione di sintesi: nel cervello tutte le informazioni provenienti dagli organi
di senso vengono integrate, rielaborate e giungono alla nostra coscienza sotto forma di un
unica sensazione, che genera un unico giudizio: il sintetico “mi piace” o “non mi piace”.
Di fronte ad un’opera d’arte avviene più o meno lo stesso processo: il coinvolgimento
dato da un prodotto artistico è lo stesso che accompagna la degustazione di un piatto; in
entrambi i casi infatti si generano collegamenti tra esperienze sensoriali e culturali diverse,
stratificate e assimilate.

Se nel passato tuttavia l’idea di coinvolgere anche il gusto nella fruizione di un’opera
artistica non era previsto (le sculture gastronomiche che accompagnano i banchetti rinascimentali più che opere d’arte secondo una definizione canonica sono infatti eventi culturali, diplomatici e atti all’esibizione del fasto e dello status sociale), la contemporaneità svela un orizzonte di multidisciplinarietà inatteso e sorprendente.
Il cibo esce dalla tela (o dal supporto artistico) nella quale era oggetto di rappresentazione
(pur raffinata e estremamente dettagliata come insegnano tra gli altri, Arcimboldo,
Vermeer e Carracci) per diventare soggetto attivo quasi quanto l’artista, e strumento di
comunicazione investito di molteplici significati.
Il Manifesto della Cucina futurista del 1930, le realizzazioni gastroartistiche di Daniel
Spoerri alla Galerie J di Parigi nel 1963, gli esperimenti newyorkesi al Food di Soho
nel 1971 sono solo alcuni tra gli esempi che nel contemporaneo vedono l’arte e gli artisti
utilizzare il cibo come ingrediente principale. Esso diviene così veicolo materico per parlare
di temi come identità (individuale e collettiva), politica, corpo, società di massa, economia.
Nel cibo e con il cibo si individua un terreno comune in cui far dialogare discipline diverse.
Questo non significa che siano solo gli artisti ad utilizzare ingredienti, piatti e strumenti di
cucina: se Marina Abramovic usa una cipolla per comunicare sofferenza e Vik Muniz dipinge con cioccolato liquido e burro di arachidi, se Sophie Calle trasforma la dieta quotidiana in una variazione cromatica e Hanna Collins documenta fotograficamente il percorso del cibo fino alla tavola di Adrià, sempre più frequenti sono le incursioni degli chef in campo artistico. Il risotto con foglia d’oro di Marchesi viene servito su un piatto nero, per sopperire alla mancanza di un ingrediente in grado di completare cromaticamente la ricetta; Pietro Leemann titola i suoi piatti (“Un sasso rotola”, “Sotto una coltre colorata”) come opere d’arte e accompagna la degustazione a momenti di fruizione artistica.
I confini tra arte e cibo, quindi, sono sempre più fragili, così come - parallelamente -
si rafforza il legame tra ristorazione e spazio espositivo: gli artisti espongono nei ristoranti
o creano ristoranti trovando negli chef dei sodali, degli sponsor o dei mecenati.
Il cibo non è mai stato così trasversale: esce dalla cucina per entrare negli spazi
espositivi e diventare protagonista di tele o installazioni. Chi è chi allora? Lo chef diventa
artista o l’artista si fa chef?



"Il prefisso (o i prefissi) anti"
di Raffaella Setti
estratto da un articolo del 22 ottobre 2010 in www.accademiadellacrusca.it
pubblicato in La Crusca per voi, aprile 2010, n. 40

«Il prefisso anti-, apparentemente lo stesso per tutti i moltissimi derivati, può avere
due origini diverse: dal greco antí che significava ‘contro’, o dal latino ante che voleva dire
‘davanti’ nello spazio o ‘prima’ nel tempo. All’origine, tra la preposizione greca e quella latina
doveva comunque esserci una relazione abbastanza stretta anche dal punto di vista
semantico: chi è ‘contro’, in particolare l’esercito nemico, sta anche ‘davanti, di fronte’; in
un secondo tempo i due significati si sono specializzati e quindi distinti.
Le formazioni con questi prefissi sono per lo più derivati che hanno una base già
presente in italiano, a cui è stato aggiunto il prefisso latino o greco.
In italiano il prefisso greco antí esprime due significati: ‘contro’ e ‘il contrario di’. Rimandano
al primo significato di antí, ad esempio, antiacido (‘che agisce contro l’acido’), antibiotico
(‘che agisce contro i batteri’), antipatico (‘che suscita un sentimento di avversione,
quindi contro qualcosa o qualcuno’), antitarme (‘che agisce contro le tarme’); per il secondo
significato possiamo segnalare antieroe (‘il contrario dell’eroe’), antimateria (‘il contrario
della materia’). Con il primo significato di ‘contro’ è un prefisso ancora molto produttivo (il
volume dei Neologismi curato da V. Della Valle e G. Adamo, dell’Istituto dell’Enciclopedia
Treccani del 2008, elenca 282 neologismi con questo prefisso, del tipo antiansiogeno, antibarriere, anticasta, ecc.).
Sui derivati con il prefisso latino ante- è opportuna una breve riflessione in merito
alla forma: ante- si è mantenuto inalterato in parole dotte come antefatto, anteporre, antesignano, antelucano o come le più moderne antemarcia e anteguerra; lo stesso prefisso
ha subìto il passaggio della e in i, e ha quindi assunto la forma anti-, in pochi derivati, tra i
quali antipasto, in cui ha valore temporale, e il gruppo anticamera, antibagno, anticucina,
antiporta (che però ha un sinonimo in controporta!), in cui ha valore spaziale. Per spiegare
questi casi si può invocare il fatto che la variante anti era già presente in latino, e poi attestata in antichi testi siciliani e toscani (in Giacomo da Lentini, ad esempio: «Anti vorria morir di spata / ch’i’ voi vedesse currucciusa», o in Guinizzelli: «Né fe’ amor anti che gentil core,
Né gentil cor anti ch’amor, natura»), con funzione avverbiale e significato di ‘prima’; può
trattarsi dell’evoluzione dell’e protonica in i, propria del fiorentino (si pensi ai tanti derivati
con i prefissi de- e re- passati a di- e ri-), e, infine, dell’attrazione dell’anti- derivato dal greco.
Nonostante l’omofonia dei due prefissi in alcuni derivati, non sembra tuttavia crearsi
confusione nella mente dei parlanti: la serie dei derivati con anti- spaziale, e più raramente
temporale qual è appunto il caso di antipasto, è molto limitata e indica referenti concreti
ben noti.»





http://pc.tnx.it/premioceleste/ita_artista_news/idu:60980/idn:29822/
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=144290
http://www.artapartofculture.net/2014/10/25/anticipazioni-esposizione-internazionale-di-mail-art/






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