Antonio Trotta
"Soltanto il nulla è senza luce""l'artista che sussurrava al marmo, facendogli credere che fosse tela, velo, carta, e leggero come una piuma" (A.R.M.)
A volte, la trasformazione di qualcosa che esiste nella realtà, in qualcos'altro, che si perde nei secoli, restando sempre uguale a se stessa, è il gesto più rivoluzionario che un uomo possa immaginare di fare nel rispetto della tradizione e di una storia millenaria universalmente riconosciuta...Antonio Trotta l'ha fatto. Non a caso,diceva: sulla sua pagina di fb. del 27 maggio, 2019: "ARTE...TORNA ARTE"...
A Pietrasanta - Foto di Nicola Carrino |
Finestra sul vetro, 1972 |
Balcone - Lampione, Biennale di Venezia 1976 |
Panorama mobile reale, 1969 |
a cura della redazione, 26 agosto, 2019
“Lo spazio fra me e l’opera comincia ad annullarsi nel momento in cui posso vedere tutto ciò che mi circonda come fossero cose già dipinte o scolpite. (La pittura, la scultura, la letteratura, la storia dunque sono il solo materiale passibile di essere dipinto, scolpito, ecc.) Andare verso uno stato di pietrificazione fra le cose e sentire il dubbio sulla propria esistenza; è come osservare l’irrealtà del fuori stando nella realtà dell’opera, dentro la quale una fotografia è vera come un’immagine in uno specchio. La sensazione dello spazio nasce parallelamente alla voglia di uscire dalla propria immagine dipinta”. Così Antonio Trotta, originario della provincia di Salerno, nato a Stio, nel 1937, definisce sul sito web che racconta il suo lavoro la propria poetica.
CHI ERA ANTONIO TROTTA
Scomparso il 26 agosto, in una triste giornata che ha visto andarsene anche il collega Eliseo Mattiacci e il fumettista Massimo Mattioli, Trotta ha trascorso parte della sua vita in Argentina, Paese che vede gli esordi dell’artista al Museo de Arte Moderno e all’Istituto Torcuato di Tella a Buenos Aires. È sempre l’Argentina, in un anno saturo di contestazioni che avvolsero e coinvolsero anche il mondo dell’arte, a offrirgli nel 1968 la soddisfazione di rappresentare la nazione alla Biennale di Venezia al Padiglione di bandiera. Fondatore del Gruppo SI, dal 1969 al 1973 collabora con la Nizzoli Associati e realizza progetti d’architettura e urbanistica nello Stivale ma anche a Siviglia, tra le altre. “La sua è una scultura che si muove su una dualità assoluta e calzante tra forma e spazio, leggerezza e classicità, modularità e rigore, realtà e finzione. Con un approccio anche paradossale, che include sconfinamenti, ma con un unico filo conduttore, che permane da oltre mezzo secolo: il legame con la forma. È una scultura che – in particolar modo negli Anni Sessanta e nel decennio successivo – vive lo spazio, lo circoscrive, lo denota, lo prescrive, lo crea. E non rinuncia a interfacciarsi con altri medium, come la fotografia, il ricamo e la performance, ma sempre in relazione a una plasticità che è anzitutto scultorea”, scriveva di lui su queste colonne Lorenzo Madaro solo due anni fa, raccontando una figura “solitaria e dialetticamente attiva”, divisa una volta tornata in Italia tra Milano, Pietrasanta e Terlizzi.
L'ASPETTO UMANO
Alcune foto di famiglia, con amici, amici artisti, critici e maestri storicizzati
A Comabbio (Varese) in visita a Lucio Fontana in convalescenza, settembre, 1968 |
Con Dadamaino, Milano, 1981 |
Con Angelo Riviello, Milano, 1976 |
Con Salvatore Esposito, Milano, 2010 |
Antonio Trotta . Libro letto nel 1970 - di Jorge Luis Borges, uno dei suoi scrittori preferiti, forse il più amato - photo Shingen Anzai |
Avtonio con la piccola Mafalda a Buenos Aires |
Antonio con Mafalda, Milano, 1976 |
Famiglia Trotta e Nagasawa in vacanza |
Antonio diventato nonno, con Mafalda, ormai donna e mamma di famiglia |
Con Lea Vergine |
Tante le mostre e le pubblicazioni che hanno dato forma anno dopo anno alla sua carriera: dalle gallerie Christian Stein di Torino alla Marilena Bonomo di Bari, da Cesare Manzo a Pescara, a Cardi a Milano per citarne solo alcune. È presente altre tre volte in Biennale, nel 1976, nel 1978 e nel 1990. Tanti i musei in Italia e all’Estero che ne presentano il lavoro. Nel 2007 nasce inoltre il Museo Archivio Antonio Trotta a Stio, inaugurato con una mostra personale e una permanente con le opere Il Patio, Ricamandosi, La raccolta. Nel 2009 diventa membro dell’Accademia Nazionale di San Luca. Tra le mostre più recenti quella dedicatagli dalla galleria Like a little disaster a Polignano a Mare che riproponeva l’operaPaquete especial del 1966, presentata per la prima volta nel 1967 a Buenos Aires.
Da exibart, 27 agosto, 2019
Scontrini |
Fogli |
Sospiri |
Agosto drammatico. Dopo Massimo Mattioli ed Eliseo Mattiacci, ci lascia anche Antonio Trotta. Scultore immenso, che era riuscito a far credere al marmo di essere carta!
L’uomo ci lascia all’età di 82 anni. Una carriera lunga, che già negli anni 70 lo vede attivo nella sperimentazione di materiali e tecniche varie. Collabora con il vetro, la plastica, il rame ed altri metalli, ma troverà nel marmo la sintesi perfetta tra tecnica e poesia. E proprio dal marmo partoriranno le sue opere iconiche, riconosciute in tutto il mondo come capolavori assoluti della scultura contemporanea.
Nella serie “ I sospiri” è il vento che disordina un gruppo di fogli di marmo, ora di carta, appesi al muro senza alcuna particolare attenzione.
Altri tempi |
Opera |
In “Altri tempi” probabilmente Antonio Trotta piega in modo definitivo la coscienza del marmo. E lo fa dolcemente. Più che lo piega lo convince alla morbidezza. Gli fa credere di essere leggero! Allora vediamo blocchi di marmo appallottolati o piegati che ritornano al loro essere pietra consapevoli del fatto che comunque porteranno con loro i segni delle pieghe di carta! E’ così permeabile il rapporto tra i due elementi che Antonio Trotta, nella recente serie degli “Scontrini” (dal 2000 ad oggi), incide delle lastre di marmo infinitamente sottili come fossero dei veri e propri scontrini fiscali.Antonio Trotta nasce a Paestum nel 1937. Si trasferisce in Argentina e nel 1960 è tra i fondatori del gruppo SI. Dal 1969 al 1973 collabora con la Nizzoli e Associati, sperimentando interventi di “progettazione totale” che lo coinvolgeranno, insieme a grafici, architetti ed altri artisti, nella realizzazione di progetti di architettura e urbanistica sia in Italia che all’estero. Centinaia le sue mostre in tutto il mondo tra cui ricordiamo le tre Biennali di Venezia (1976, 1978, 1990), la Galleria d’Arte Moderna di Roma (1980), Il Pac di Milano (1982, 1988, 1989), Il National Museum di Osaka (1979). Nel 2007 poi ha inaugurato il Museo archivio Antonio Trotta a Stio, dove sono custoditi molte delle sue opere, insieme a documenti, fotografie e testimonianze.
Antonio Trotta
Intervista a cura di Duccio Nobili - pubblicata sul n. 265 di Segno
Duccio Nobili – Marmo canta. Fin dal titolo questa mostra mette in campo il cortocircuito innescato tra il marmo e le illusioni materiche provocate dalla sua lavorazione. Cosa significa per lei lavorare con questo materiale?
Antonio Trotta – Secondo Giorgio Colli i greci avevano l’arroganza di possedere la luce. Di ritorno in Italia nel 1968, dopo essere stato parte delle avanguardie degli anni sessanta e dopo che tale linguaggio futuribile o effimero si fosse esaurito, venne l’idea, a me e a pochi altri, di rivolgere lo sguardo verso le nostre origini. Sono nato vicino a Paestum e Velia, la Elea da cui Parmenide, insieme a Zenone, aveva portato ad Atene la filosofia “Eleatica”.Questo ritorno ai materiali nobili include il mosaico e il bronzo. Da qui nacque la mia nuova scultura ispirata al dio Vulcano che devolve a Empedocle il sandalo fuso in bronzo, nato come in natura, intero, non costruito come gli oggetti allora di moda. L’oggetto, essendo “letterario” serviva di più agli organici di qualche ideologia.
Da secoli il marmo viene utilizzato per fingere altri materiali nella scultura. Come si è rapportato, se lo ha fatto, con questa tradizione?
Da secoli il marmo finge di essere imperatore, ballerina e quant’altro. In realtà, lontano da certe retoriche, la ballerina non è più la ballerina reale. Composta di bronzo o marmo essa nasce come un nuovo essere che vive di bronzo o di marmo, lontano dall’originale effimero.
Quando ha scelto di trasformare il marmo nel suo strumento d’espressione privilegiato?
Per me è soltanto un problema di luce. Ho capito che il marmo era il materiale che meglio mi permetteva di sviluppare una ricerca in questo senso.
In mostra sono presentati lavori che utilizzano una grande varietà di strumenti e materiali, dall’aleatorietà della fotografia, passando per il metallo fino alle materie plastiche o il mosaico, quale ritiene essere il filo rosso che tiene insieme queste esperienze con il suo più recente lavoro sulle ambiguità materiche del marmo?
Negli anni della svolta, dello sguardo alle nostre origine liberato dalle “militaresche” avanguardie, si accede a quel cosmo in cui, come aveva detto Savinio, non ci sono più ponti che uniscono la realtà con la finzione, scompaiono i confini tra l’arte e la vita. Siamo liberi di navigare in un cosmo infinito di materie e artifici nella rappresentazione della rappresentazione.
Lucio Fontana, Hidetoshi Nagasawa e Luciano Fabro, sono questi alcuni dei nomi che vengono presi in causa per accompagnare lo sviluppo del suo lavoro, cosa hanno rappresentato per lei questi artisti e intellettuali?
In realtà fu l’argentino Fontana il mio vero riferimento. Io partecipai alla Biennale del ’68 per l’Argentina e Fontana aveva una sua grande sala. Fui invitato, dato il suo stato di salute, a Comabbio a visitarlo, e lì passai tre intense giornate in sua compagnia. Nella Biennale precedente era stato premiato un altro argentino, Le Parc. Oggi con la mostra di Fontana a Milano si dimostra che cosa era l’Argentina del tempo. Dal nostro punto di vista l’America colta eravamo noi, sia per quanto riguarda l’arte che la letteratura. Gli ultimi anni di Borges, l’uomo più erudito del mondo, furono infatti occupati da un numero infinito di conferenze nelle università americane.
Io ero stato invitato a New York da un curatore della Guggenheim, ma Fontana mi consigliò di tornare a Milano, e infatti questa città nei primi anni settanta era diventata il centro del mondo, con gli artisti americani che erano venuti qui a fare l’America.
In Argentina, che era dotata di una classe culturale evoluta, ero stato scelto insieme a una decina di giovani che avevano alle spalle alcune mostre realizzate nel Museo d’Arte Contemporanea di Buenos Aires, in quello di Belle Arti e nell’istituto di Tella, creato da un industriale italo-argentino allo scopo di promuovere mostre nazionali e internazionali, poi portate in mezzo mondo. Nel ’68 io e questi giovani siamo stati invitati a realizzare la mostra “Experiencias Visuales”. La mostra fu distrutta e le opere buttate in strada allo slogan «La vera opera d’arte è la revolucion». È allora che fecero la revolucion con quindicimila morti in nome di Che Guevara, Castro e la sinistra Peronista. Noi giovani famosi dovevamo andarcene dato che non volevamo armarci per ammazzare degli innocenti. Per fortuna le mie opere ebbero successo a Venezia e un gruppo di artisti milanesi come Fabro e Nagasawa volle venire a conoscermi. Ebbi così l’occasione di integrarmi creandomi un gruppo di artisti amici. A Milano nel ’68 l’Arte Povera non era ancora ufficializzata e, anche se non ero d’accordo con le loro teorie rivoluzionarie, da cui ero appena scappato, conobbi e fui amico di tutti i suoi rappresentanti.
Anche il tempo è un tema ricorrente nelle opere esposte in galleria, l’istante congelato nella serie dei Sospiri, l’accenno biografico solidificato nei più recenti Scontrini fino all’intrecciarsi di presente e passato di Altri tempi. In che modo le riflessioni di Borges su questo e altri temi hanno influenzato il suo lavoro?
“Altri tempi” vuol proprio dire che tanto io quanto le mie opere vengono da lontano, da altri tempi da cui viene l’arte che non vuole identificarsi con l’oggi.
Antonio Trotta
Galleria Giovanni Bonelli, Milano
L’Intervista a intervista a cura di Duccio Nobili è pubblicata sul n. 265 di Segno
Duccio Nobili – Marmo canta. Fin dal titolo questa mostra mette in campo il cortocircuito innescato tra il marmo e le illusioni materiche provocate dalla sua lavorazione. Cosa significa per lei lavorare con questo materiale?
Antonio Trotta – Secondo Giorgio Colli i greci avevano l’arroganza di possedere la luce. Di ritorno in Italia nel 1968, dopo essere stato parte delle avanguardie degli anni sessanta e dopo che tale linguaggio futuribile o effimero si fosse esaurito, venne l’idea, a me e a pochi altri, di rivolgere lo sguardo verso le nostre origini. Sono nato vicino a Paestum e Velia, la Elea da cui Parmenide, insieme a Zenone, aveva portato ad Atene la filosofia “Eleatica”.Questo ritorno ai materiali nobili include il mosaico e il bronzo. Da qui nacque la mia nuova scultura ispirata al dio Vulcano che devolve a Empedocle il sandalo fuso in bronzo, nato come in natura, intero, non costruito come gli oggetti allora di moda. L’oggetto, essendo “letterario” serviva di più agli organici di qualche ideologia.
Da secoli il marmo viene utilizzato per fingere altri materiali nella scultura. Come si è rapportato, se lo ha fatto, con questa tradizione?
Da secoli il marmo finge di essere imperatore, ballerina e quant’altro. In realtà, lontano da certe retoriche, la ballerina non è più la ballerina reale. Composta di bronzo o marmo essa nasce come un nuovo essere che vive di bronzo o di marmo, lontano dall’originale effimero.
Quando ha scelto di trasformare il marmo nel suo strumento d’espressione privilegiato?
Per me è soltanto un problema di luce. Ho capito che il marmo era il materiale che meglio mi permetteva di sviluppare una ricerca in questo senso.
In mostra sono presentati lavori che utilizzano una grande varietà di strumenti e materiali, dall’aleatorietà della fotografia, passando per il metallo fino alle materie plastiche o il mosaico, quale ritiene essere il filo rosso che tiene insieme queste esperienze con il suo più recente lavoro sulle ambiguità materiche del marmo?
Negli anni della svolta, dello sguardo alle nostre origine liberato dalle “militaresche” avanguardie, si accede a quel cosmo in cui, come aveva detto Savinio, non ci sono più ponti che uniscono la realtà con la finzione, scompaiono i confini tra l’arte e la vita. Siamo liberi di navigare in un cosmo infinito di materie e artifici nella rappresentazione della rappresentazione.
Lucio Fontana, Hidetoshi Nagasawa e Luciano Fabro, sono questi alcuni dei nomi che vengono presi in causa per accompagnare lo sviluppo del suo lavoro, cosa hanno rappresentato per lei questi artisti e intellettuali?
In realtà fu l’argentino Fontana il mio vero riferimento. Io partecipai alla Biennale del ’68 per l’Argentina e Fontana aveva una sua grande sala. Fui invitato, dato il suo stato di salute, a Comabbio a visitarlo, e lì passai tre intense giornate in sua compagnia. Nella Biennale precedente era stato premiato un altro argentino, Le Parc. Oggi con la mostra di Fontana a Milano si dimostra che cosa era l’Argentina del tempo. Dal nostro punto di vista l’America colta eravamo noi, sia per quanto riguarda l’arte che la letteratura. Gli ultimi anni di Borges, l’uomo più erudito del mondo, furono infatti occupati da un numero infinito di conferenze nelle università americane.
Io ero stato invitato a New York da un curatore della Guggenheim, ma Fontana mi consigliò di tornare a Milano, e infatti questa città nei primi anni settanta era diventata il centro del mondo, con gli artisti americani che erano venuti qui a fare l’America.
In Argentina, che era dotata di una classe culturale evoluta, ero stato scelto insieme a una decina di giovani che avevano alle spalle alcune mostre realizzate nel Museo d’Arte Contemporanea di Buenos Aires, in quello di Belle Arti e nell’istituto di Tella, creato da un industriale italo-argentino allo scopo di promuovere mostre nazionali e internazionali, poi portate in mezzo mondo. Nel ’68 io e questi giovani siamo stati invitati a realizzare la mostra “Experiencias Visuales”. La mostra fu distrutta e le opere buttate in strada allo slogan «La vera opera d’arte è la revolucion». È allora che fecero la revolucion con quindicimila morti in nome di Che Guevara, Castro e la sinistra Peronista. Noi giovani famosi dovevamo andarcene dato che non volevamo armarci per ammazzare degli innocenti. Per fortuna le mie opere ebbero successo a Venezia e un gruppo di artisti milanesi come Fabro e Nagasawa volle venire a conoscermi. Ebbi così l’occasione di integrarmi creandomi un gruppo di artisti amici. A Milano nel ’68 l’Arte Povera non era ancora ufficializzata e, anche se non ero d’accordo con le loro teorie rivoluzionarie, da cui ero appena scappato, conobbi e fui amico di tutti i suoi rappresentanti.
Anche il tempo è un tema ricorrente nelle opere esposte in galleria, l’istante congelato nella serie dei Sospiri, l’accenno biografico solidificato nei più recenti Scontrini fino all’intrecciarsi di presente e passato di Altri tempi. In che modo le riflessioni di Borges su questo e altri temi hanno influenzato il suo lavoro?
“Altri tempi” vuol proprio dire che tanto io quanto le mie opere vengono da lontano, da altri tempi da cui viene l’arte che non vuole identificarsi con l’oggi.
Galleria Giovanni Bonelli, Milano
L’Intervista a intervista a cura di Duccio Nobili è pubblicata sul n. 265 di Segno
IMMAGINI ALTRE TRA FOTO E OPERE
Paestum |
La Cascata |
L'ulivo a oriente |
Michelle, che posa per l'opera "Ricamandosi", 1976 |
Trotta, Milano, anni 70 |
Trotta, Milano, anni 70 |
Trotta, Milano, anni 70 |
Foto souvenir con i suoi parenti e amici di Stio |
Nella Galleria di Susanna Orlando, Pietrasanta |
Foto souvenir con i suoi parenti di Stio |
Bagno nel fiume Calore, nei pressi di Stio
Trotta a Stio
https://www.comune.stio.sa.it/territorio/il-museo/?fbclid=IwAR20B2qK300VIrqFwl4dnVH6txpzAl2FdXeHW7_0cjIIj1sFWXaF8pqzCmo
https://www.artribune.com/uncategorized/2019/08/morto-lartista-dei-due-mondi-antonio-trotta-una-carriera-divisa-tra-italia-e-argentina/?fbclid=IwAR2AHm8H6-
5EdworssmVXeQl1_GpSskFtqrBqqt57-vn8DKdcE-aOL7c-S8
https://www.exibart.com/arte-contemporanea/muore-antonio-trotta-trasformo-il-marmo-in-carta/?
fbclid=IwAR0-vDAztWcr5DoGLS3THFNnZxr3ggh7TZS2dkD6XxkTpiDHZ3Wk4Zu5LOk
https://www.rivistasegno.eu/antonio-trotta/?fbclid=IwAR1rCIsFlshQ07qa43V4OwdBmDe-FpakQ-0xLa1ixjYKLoXNpfpM3_bxfiM
https://www.artribune.com/uncategorized/2019/08/morto-lartista-dei-due-mondi-antonio-trotta-una-carriera-divisa-tra-italia-e-argentina/?fbclid=IwAR2AHm8H6-
5EdworssmVXeQl1_GpSskFtqrBqqt57-vn8DKdcE-aOL7c-S8
https://www.exibart.com/arte-contemporanea/muore-antonio-trotta-trasformo-il-marmo-in-carta/?
fbclid=IwAR0-vDAztWcr5DoGLS3THFNnZxr3ggh7TZS2dkD6XxkTpiDHZ3Wk4Zu5LOk
https://www.rivistasegno.eu/antonio-trotta/?fbclid=IwAR1rCIsFlshQ07qa43V4OwdBmDe-FpakQ-0xLa1ixjYKLoXNpfpM3_bxfiM