per intervenire, controbattere o esprimere una propria opinione scrivere a
giancarlo@flashartonline.com
Paul Virilio e Luigi Malabrocca
In questi giorni, rileggendo alcune pagine del grande filosofo francese Paul Virilio (francese, di padre italiano, un militante comunista che negli anni ’20 si rifugiò a Parigi) teorico della lentezza e nemico della velocità che secondo lui distrugge il mondo, ho pensato improvvisamente a Luigi Malabrocca e al suo storico rivale, il vicentino Sante Carollo, muratore e corridore ciclista per caso, che di lentezza se ne intendevano.
Secondo Virilio il tentativo dell’uomo di superare se stesso e la conseguente accelerazione del mondo rappresenta una catastrofe imprevedibile.
L’incidente, teorizza Paul Virilio, nasce con la tecnologia: quando si è inventato il battello è nato anche il naufragio, quando è stato messo sulle rotaie il treno, è nata la catastrofe ferroviaria e il volo ha prodotto grandi disastri aerei.
Questo elogio alla lentezza e magari all’arresto della velocità mi hanno riportato alla memoria Luigi Malabrocca e il suo rivale storico Sante Carollo che però certamente non avevano mai letto Virilio. Né tantomeno Virilio conosceva le loro gesta. Io bambino, nei primi anni ’50, ero tifoso di Gino Bartali e di Luigi Malabrocca. Il primo e l’ultimo. Malabrocca divenne il mito degli italiani, famoso quanto Coppi e Bartali. Perché? Nel dopoguerra, nel Giro d’Italia era stata istituita la famosa maglia nera, indossata dall’ultimo in classifica a cui andava anche un sostanzioso premio in denaro. E tanti, tanti regali (vino, tanto vino, prosciutti, salumi, formaggi, agnelli, maiali, ecc.) dai tifosi che sentimentalmente parteggiavano per l’ultimo, per il grande sconfitto di sempre. Molto più di qualsiasi corridore che non fosse arrivato tra i primissimi. E in coda alla classifica si accese una lotta feroce per arrivare ultimo. Facile arrivare ultimo, direte voi. Niente affatto, perché in ogni tappa bisognava tenere d’occhio tutti i contendenti alla maglia nera ma arrivare entro il tempo massimo, che spesso era di due o tre ore dal primo arrivato. Un minuto di più ed eri fuori. E tra una decina di corridori, gli ultimi in classifica, si accese una lotta aspra per chi arrivava ultimo. Malabrocca era il re della non velocità e divenne il mito di molti italiani per le sue tecniche di fermarsi o appostarsi dietro un albero o nascondersi in una scarpata o forare una ruota per arrivare ultimo, ma sempre entro il tempo massimo consentito. In modo cronometrico. E una volta, mi pare nel 1949, Malabrocca arrivò talmente in ritardo che la giuria se ne era già andata. E quell’anno vinse la maglia nera l’irriducibile Sante Carollo.
Malabrocca e Carollo, lotta senza quartiere per arrivare ultimo
Storiche furono le scaramucce tra lui e l’altro “ultimo,” Sante Carollo. Battaglie storiche con strategie sofisticate tra i due, per nascondersi, fermarsi ai bar per grandi bevute e arrivare ultimo ma entro i termini stabiliti. E non era facile arrivare ultimo, senza sapere dove si trovava l’altro o dove stavano i primi. Pertanto nacquero sotterfugi, spie amiche per individuare l’uno o l’altro. Ci fu un momento che fu più entusiasmante questa lotta per l’ultimo posto che quella per il primato, tra Gino Bartali e Fausto Coppi, in quanto i risultati apparivano scontati (infatti mio cugino Luciano, più furbo di me, tifava Coppi, che ad un certo momento vinceva tutto). Gli italiani andavano in delirio per i derelitti, per gli ultimi che un giorno saranno i primi e per questo li riempivano di denaro e di regali. Si sa, in Italia i figli sfortunati sono i protetti della mamma. E poi eravamo nel dopoguerra e la solidarietà per chi stava peggio di noi era al culmine. Poi non so perché nei tardi anni ‘50, la maglia nera e i suoi premi sostanziosi furono aboliti. Stava arrivando il moralismo demagogico che uccise anche una bellissima lotta poetica tra poveri. Perché il perdente, cioé l’ultimo stava diventando un cattivo esempio per il momento storico che si stava vivendo, basato sulla ricostruzione e sulle speranze di ripresa. Ma la rivalità tra Malabrocca (che peraltro fu un ottimo passista, vincendo in altre occasioni anche corse importanti: 138, di cui 15 da professionista) e Carollo, pensate un po’, mi è tornata in mente rileggendo un grande filosofo come Virilio. Aveva ragione il più grande giornalista sportivo di tutti i tempi, Gianni Brera a definire il ciclismo una filosofia. E lui se ne intendeva, visto che si era laureato con una tesi sull’Utopia di Tommaso Moro. Anche io come Virilio a volte mi chiedo se questa velocità con le sue accelerazioni non conduca al disastro. La lentezza è più sana (e porterebbe più lontano, come direbbe mio nonno). Non sono né un filosofo né uno scienziato né tantomeno un chiromante per predire il futuro. Ma questa accelerazione che ci ha fatto perdere il senso di orientamento non mi piace. E io ora, ogni tanto, come Malabrocca e Carollo, mi fermo. A volte nascondendomi alla vita, altre volte arretrando di qualche passo, molto sovente mettendomi di lato, dietro una tenda per far passare gli altri, come quando aspiravo ad essere un campione di ciclismo ma non ero portato alla volata finale. Ma la velocità che io tanto amavo da giovane, ora mi fa paura. E anche io, come Virilio, a mia figlia Gea e a suo marito Cristiano, predico la lentezza. Ma sino ad ora parole al vento.
Un altro esempio di lentezza. Il bambino che svuota il mare con una conchiglia
Cercando di fare ordine nel caos dei miei libri, per cercarne alcuni da portarmi in viaggio, mi sono imbattuto in un libriccino della Piccola Biblioteca di Adelphi, L’impronta dell’editore, di Roberto Calasso.
Calasso è, sin dai primordi, direttore editoriale di Adelphi, la nota e sofisticata casa editrice milanese, fondata da Luciano Foà, Roberto Olivetti e Bobi Bazlen.
Bobi Bazlen, sconosciuto ai più, era un raffinato intellettuale triestino, trasferitosi presto a Milano e che sembra abbia influenzato, nel secolo scorso. l’ambiente letterario nazionale più di chiunque altro.
Io ne ignoravo l’esistenza e dunque la sua influenza culturale molto sottotraccia, sino a che Leo Castelli, diciamo negli anni ’90, me ne parlò come di un amico d’infanzia, con cui corteggiavano le ragazze e giocavano a tennis, nella dolce vita della Trieste Felix degli anni 30. E io che avrei voluto tanto conoscerlo, ma Leo mi disse che era scomparso nel 1965, a 63 anni.
Leo mi confessò che Bobi Bazlen, per me perfetto sconosciuto, è stata la persona che maggiormente aveva influenzato la sua vita. Anche dal punto di vista artistico. Io lì per lì pensai che fosse il solito intellettuale di provincia secchione e colto e un po’ vitellone, con un romanzo o libro di poesie nel cassetto. Un po’ vitellone forse lo sarà anche stato, a sentire i racconti di Leo, in cui trascorrevano la loro vita tra la spiaggia e campi da tennis e gli immancabili bar alla moda, in compagnia delle più leggiadre fanciulle della Trieste bene. Quella Trieste che stava vivendo gli ultimi sprazzi di gloria come capitale asburgica. E Leo Castelli e Roberto (Bobi) Bazlen furono due inguaribili dongiovanni. Leo soprattutto, visto che dopo alcuni matrimoni e molti innamoramenti, sposò, l’ultima moglie a 88 anni.
Nelle mie peregrinazioni intellettuali persi le coordinate di Bobi Bazlen. Questo nome mi appariva e spariva, come un’araba fenice.
Mi è riapparso invece, come figura magnetica, direi maieutica, leggendo questo libriccino di memorie, L’impronta dell’Editore, di Roberto Calasso. E ora lo vedo, ma riconosciuto da tutti, come l’intellettuale che ha maggiormente influenzato la cultura letteraria italiana del dopoguerra (suoi nemici furono i vernacolari Pasolini e Moravia: ma non mi sorprende, visto che Bazlen era un grande ammiratore della letteratura viennese e mitteleuropea ed era freddo con gli scrittori italiani). Senza aver mai scritto un libro in vita, né articoli sui giornali. Ma intellettuale a tutto tondo, a Trieste fu lui a far pubblicare La coscienza di Zeno, di Italo Svevo e frequentò James Joyce mentre scriveva i primi capitoli dell'Ulisse. Fece conoscere in Italia le opere di Sigmund Freud, da lui tradotte, Nitsche, Franz Kafka e Robert Musil. Ma anche Alfred Kubin, Rilke, Hofmannsthal, Joseph Roth. Per farla breve, tutti i grandi narratori del dopoguerra, furono portati in Italia, attraverso i vai editori, da Bobi Bazlen.
Ma forse di Bazlen parlerò in modo meno episodico in altra occasione, dedicandogli un breve Amarcord. Qui invece mi preme sottolineare l'attitudine di Roberto Calasso, altro intellettuale di grande spessore, scrittore e saggista, che sta dedicando la sua vita alla cultura e alla casa editrice Adelphi. E mi ha fatto sorridere questo suo libriccino in cui, anche lui, teorizza la lentezza, riferendosi ad Aldo Manuzio, il leggendario stampatore veneziano che tra l’altro inventò il carattere corsivo, da allora chiamato Italic. Ma se il grande Manuzio aveva le sue buone ragioni per essere lento (tutti i caratteri dovevano essere inseriti, uno alla volta, a mano, nella forma che componeva la pagina; una volta stampata la pagina, si dovevano recuperare i caratteri per comporre la pagina successiva) Roberto Calasso penso usufruisca oggi di una tecnologia più evoluta. Eppure lui parla insistentemente di lentezza e di libro unico, avversando ovviamente tutti gli autori bestseller e i grandi romanzi di successo popolare. La sua grande ossessione è ovviamente la rete, che con i miliardi di pagine di informazioni, ridicolizza l’idea della Biblioteca Universale, suo sogno, con solo qualche milione pagine. Comunque consiglio a tutti coloro che hanno un minimo interesse per l'editoria di leggersi questa chicca, anche se l’autore, molto snob ed elitario, ce la mette tutta per respingere il lettore (come fa con i suoi romanzi, forse bellissimi ma illeggibili: io mi sono fermato dopo quaranta pagine, spossato dai riferimenti mitologici troppo sofisticati per me), usando un linguaggio aulico ma obsoleto (ecfrasi per dire descrizione di un’opera, dichter per poeta).
Grande intellettuale Roberto Calasso, silenzioso e coltissimo, di una cultura letteraria e filosofica veramente universale, ma di una specie in via di estinzione, se già non estinta. Nessuno può fermare la (in)cultura di massa e il dominio selvaggio di Google e Wikipedia. Non esisterà più l'editore che vorrebbe pubblicare un libro unico per un solo lettore o per una piccola cerchia (anche se Adelphi ha pubblicato libri di grande successo, a partire dal popolare George Simenon, che Galasso ha sdoganato dalla letteratura noir). Forse tra breve non esisterà più l’editore. E qui vi parla un ex.
Ma io ho capito (anche se in ritardo) che un’era finiva e così ho passato la mano.
Invece il commovente Roberto Galasso, con lil suo amore per Aldo Manuzio e sue teorie delle lotte impari, mi ricorda il fanciullo di Sant’Agostino che con una conchiglia voleva riversare l’acqua del mare in una buca.
Quei meravigliosi anni ‘80
Non riesco a seguire chi continua a sostenere che la nostra decadenza sia iniziata negli anni ’80. Invece per noi furono anni bellissimi, di grande fervore, con l’illusione di un benessere interminabile per tutti. Erano i tempi dell’ottimismo reaganiano e di Margherita Thatcher, che mi fecero ipotizzare una giovinezza eterna in un mondo di benessere generalizzato. Almeno così io leggevo quegli anni. E attorno a me vedevo solo euforia, grande creatività, fiducia nel futuro e ricchezza (o benessere) per tutti. Ma forse ero cieco? O stupido? Eppure con Helena vivevo tra Milano, Londra e New York, cioè nei centri sensibili della creatività e dell'economia, a contatto con gli artisti emergenti (Jeff Koons, Peter Halley, Sherrie Levine, Robert Longo, David Salle, Eric Fischer, Julian Schnabel, Jean Michel Basquiat, Keith Haring) e Charles Saatchi che correva da una galleria all’altra inseguito da orde di collezionisti per spiarne gli acquisti ed imitarlo. E frequentando i galleristi protagonisti del tempo: Leo Castelli, Ileana Sonnabend, Marian Goodman, Mary Boone (povera, ora credo in prigione per evasione fiscale), Barbara Gladstone, Metro Pictures, Jeffrey Deitch, Tony Shafrazi, Pat Hearn, Colin de Land ecc. E critici come Robert Pincus-Witten, Paul Taylor, Peter Schjeldahl, Donald Kuspitt, Douglas Crimp e Rosalind Krauss. Insomma il meglio della creatività, del mercato e della teoria non proprio effimera. E con tutti questi personaggi si guardava al futuro con grande serenità e ottimismo, governato dal benessere generale e dalla bellezza dell’arte nuova vista come un Nuovo Rinascimento. E in Italia? E a Roma, allora la città più frizzante del paese? Stesso entusiasmo, con una Transavanguardia che aveva monopolizzato e trascinato tutti ed euforizzato l’atmosfera romana. Artisti bravi e belli che si preparavano ad affrontare l’immortalità con la sicurezza e la sfrontatezza di un giovane Mario Schifano. E ad immortalare questo momento (purtroppo effimero), a cui seguì una forte depressione, ci pensò Carlo Maria Mariani, grande pittore con animo rinascimentale e che non si adattò mai (ed ha avuto ragione lui) ai capricci dei nostri tempi.
L’opera che qui riproponiamo è una sorta di rivisitazione in chiave moderna della Scuola di Atene, di Raffaello, dove Platone, Aristotele, Euclide, Eraclito, vengono sostituiti dai protagonisti dell’arte romana e italiana di allora: al centro, nelle vesti del Grande Maestro, Carlo Maria Mariani. E giù, tutti i personaggi delle vita artistica, culturale e un po’ mondana del tempo: Gino De Dominicis, Gian Enzo Sperone, Mario Diacono, Giorgio Franchetti, Cy Twombly, Mario Merz, Giulio Paolini, ecc.
Uno spaccato straordinario di tempi apparentemente felici, in cui si stava progettando il futuro, ma che oggi sono indicati come gli inizi della nostra depressione. Ma chissà perché? Non l’ho mai capito.
Contributi
ATTENZIONE: Questo Amarcord esce senza i vostri preziosi Contributi. I vari spostamenti e l’uso maldestro del computer e di iPhone li hanno fatti scomparire. Pregherei i lettori di rimandarli e magari di aggiungerne. |
Progetto "Chiena"-Arte Pubblica in Italia dal 1982-85, nel recupero e nella trasformazione della Chiena del fiume Tenza, da utilizzo sociale ad opera d’arte, le cui acque vengono deviate, nel centro storico della Città di Campagna. Da un'idea progettuale di Angelo Riviello. Organizzata da SPAZIO UTOPIA CONTEMPORARY ART: Associazione Culturale no profit. N.B. Si diffidano gli imitatori. Ai giornalisti si chiede, di citare le fonti di informazione, per rispetto intellettuale
domenica 16 giugno 2019
Amarcord 29 - Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi - Paul Virilio e Luigi Malabrocca
Amarcord 28 - Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi
per intervenire, controbattere o esprimere una propria opinione scrivere a
giancarlo@flashartonline.com
giancarlo@flashartonline.com
Una inaspettata scoperta su Yves Klein
Cari amici, sono appena rientrato dalla clinica Capitanio (grazie dr. Augusto Palermo) per un check up di routine molto accurato. Tutto abbastanza in ordine in rapporto all’età. Mi hanno però suggerito di ripassare per un ulteriore controllo quando avrò compiuto i 100 anni. Vediamo se avrò tempo. Anche se non ho nessuna intenzione di battere il record di Gillo Dorfles (107 anni). Dopo una certa età credo sia troppo faticoso vivere. Mentre Gillo, dopo i 100 anni lo vedevo talvolta volteggiare sopra le panchine del parco, come esercizio ginnico quotidiano. Cosa per me impossibile anche a 20 anni. Ma lui è stato unico. Anche più forte di Leo Castelli (entrambi di Trieste ed amici d’infanzia) che pure a 90 anni era bello vispo e lucidissimo.
il mio consueto Amarcord questa volta viene sostituito da un importante documento che mi ha fatto pervenire l’artista Franco Troiani da Spoleto. Si tratta di alcune suppliche appassionate di Yves Klein a Santa Rita da Cascia. Io ero a conoscenza dell’ex voto di Klein a Santa Rita (me ne parlò a suo tempo l’amico Restany, sapendo che io ero umbro) e per questo, tornandomi curiosamente alla memoria l’episodio, ho chiesto informazioni più precise ad un conoscitore del territorio come Troiani. Ignoravo però che insieme all’ex voto, Yves Klein avesse lasciato alcune incredibili suppliche a Santa Rita, affinché lo aiutasse a costruire ciò che lui chiamava la Grande Bellezza, cioè il suo lavoro. Suppliche che fanno luce sulla figura e l’opera ma anche sull’esaltazione mistica e artistica di Yves Klein meglio di qualsiasi testo critico. Anche se lo scritto di Pierre Restany contribuisce in modo esemplare a far rivivere la leggendaria vicenda di questo leggendario artista.
Comunque non avrei mai immaginato che Yves Klein, peraltro credo di famiglia di origine ebraica, almeno dal nome, fosse così profondamente religioso (direi in preda al fanatismo) e devoto ad una santa, mia conterranea e così lontana dalla Francia. Suppliche che mi ricordano la religiosità un po’ folle di Jacopone da Todi quando si rotolava nudo, cosparso di grasso e di penne di gallina, invocando Dio. Personalmente non ho mai sentito nessun artista, rivolgersi a Dio in modo così appassionato, per migliorare il proprio lavoro di artista. Da giovanissimo, speranzoso ciclista esordiente, mi arrampicavo ogni tanto con la mia bellissima bici da corsa Guerra, sui tornanti che da Spoleto portano a Norcia e Cascia. Era il mio allenamento abituale per la montagna. E talvolta, all’arrivo, per ristorarmi entravo a riposarmi nel fresco della Basilica di Santa Rita. Dove mi aspettava una parete piena di ex voto, talvolta inquietanti. E dentro un’urna di vetro il corpo mummificato di Santa Rita che mi faceva un po’ paura. Ora sto partendo per Praga. Al ritorno, prima di Art Basel, spero di poter inviare un mio vero Amarcord. Ho due o tre ricordi curiosi (uno su Alessandro Contini Bonaccossi, il più grande mercante e collezionista di arte antica del mondo e di ogni tempo -insieme a Joseph Duveen, inglese-, diventandone anche grande conoscitore, lui con il solo titolo di studio di terza media e sua moglie altra grande esperta, con la seconda elementare, ma talmente brava da fare invidia a Bernard Berenson, e con una collezione che andava da Piero della Francesca a Botticelli, Tiziano, Antonello da Messina, Velazquez, Sassetta, Bernini, ecc. (migliaia di opere) e che ha alimentato gli Uffizi e i grandi musei americani. Io arrivai a conoscere alcuni dettagli di questa straordinaria storia, tramite Italo Calvino e la sua amante Elsa De’ Giorgi, all’epoca mia amica. Un altro Amarcord sarà su Charles Saatchi, il primo e insuperato tirannico guru dell’arte contemporanea, il padre del moderno collezionismo miliardario. Ma vi racconterò cose curiose anche su Leo Castelli, la leggenda dell’arte contemporanea, che ha cambiato l’approccio con l’arte, con il mercato e con i collezionisti e di cui fui abituale frequentatore in tutti i miei viaggi a New York) ma debbo raccogliere alcuni elementi e immagini per renderli più completi. E purtroppo io riesco a lavorare solo qui, nella mia casa di Milano. Le brutte abitudini non si perdono mai. E ogni partenza per me è un esilio. Spero che nella settimana precedente ad Art Basel abbia abbastanza lucidità per raccogliere le idee, che a volte mi costano molta fatica. Ma da qui ai 100 anni come mi hanno assicurato, ne avremo di tempo.
G.P.
PS. Altro grande devoto a Santa Rita da Cascia fu lo scrittore Dino Buzzati (di seguito il suo ex voto), grande amico e sostenitore di Yves Klein, di cui talvolta fu anche collaboratore. Uno squarcio inedito sulla vita di uno scrittore e giornalista insuperato.
Ex-voto di Yves Klein per Santa Rita da Cascia, 1961. |
Yves Klein: L'ex-voto a Santa Rita da Cascia
Alla fine del febbraio 1961, dopo l’apertura della mostra retrospettiva al museo di Krefeld in Germania, l’artista francese Yves Klein si congeda dal direttore del Museo, Dr. Wember, e si reca al monastero di Santa Rita da Cascia in Umbria, in compagnia di Rotraut Uecker, sua futura moglie. Lo scopo di questo viaggio è quello di portare alla Santa un ex-voto che egli affiderà alla religiosa addetta all’ingresso della clausura del convento delle Suore Agostiniane. Le Agostiniane seguono la regola si San Benedetto, «addolcita» quando si occupano della cura dei malati o prestano servizio negli ospedali. Il monastero di Santa Rita da Cascia ha il compito esclusivo della conservazione del santuario e del culto della Santa.
L’ex-voto depositato da Yves Klein nel febbraio 1961 consiste in un contenitore di plastica trasparente di 22x15 cm, suddiviso in vari scomparti. La parte superiore è composta da tre cassetti, contenenti rispettivamente pigmento blu-oltremare (il blu I.B.K.), pigmento rosa (monopink) e oro in foglie (monogold). La parte inferiore contiene per tutta la sua lunghezza tre lingotti d’oro di diverso peso appoggiati su una base di pigmento blu. I lingotti d’oro fino sono il prodotto delle prime quattro vendite di aree di sensibilità pittorica immateriale; Yves Klein vendeva al prezzo dell’oro delle zone di sensibilità, dello spazio allo stato puro, impregnato della sua presenza. La transazione avveniva per mezzo di un assegno. Se l’acquirente era disposto a bruciare integralmente l’assegno, cioè il suo titolo di proprietà, tutto l’oro veniva restituito al cosmo. Nel caso contrario, soltanto una parte dell’oro veniva gettata nella Senna, il resto ritornava momentaneamente a Yves Klein che ne era depositario solo a titolo provvisorio e precario. Le prime quattro cessioni di immateriale hanno avuto luogo a Parigi. Gli acquirenti furono, in ordine cronologico: Peppino Palazzoli (18 Novembre 1959), Jacques Kugel (7 Dicembre 1959), Paride Accetti (7 Dicembre 1959) e Alain Lemée (8 Dicembre 1959). Nel suo ex-voto Yves Klein offre a Santa Rita l’oro di cui era rimasto depositario dopo queste prime cessioni; infatti i tre acquirenti avevano conservato l’assegno-testimonianza e il quarto l’aveva distrutto più tardi, un po’ di tempo dopo la vendita. La parte centrale del contenitore è formato da una larga fessura nella quale è stato deposto un testo manoscritto di Yves Klein su sette foglietti di carta tenuti insieme da un sottilissimo filo di cotone. Il testo è un vero e proprio inno di richiesta di grazie a Santa Rita: dopo averla ringraziata dei suoi precedenti favori, Yves Klein si pone sotto la protezione della Santa e invoca il suo aiuto per assicurare successo, bellezza e immortalità alla sua opera.
Ex Voto di Dino Buzzati per Santa Rita da Cascia, 1972. |
Testo del manoscritto di Yves Klein contenuto nell’ex-voto dedicato a Santa Rita da Cascia (testo integrale; 1961)
- Il BLU, l’ORO, il ROSA, l’IMMATERIALE, il VUOTO, l’architettura dell’aria, l’urbanistica dell’aria, la climatizzazione di grandi spazi geografici per un ritorno a una volto umano nella natura allo stato Edenico della leggenda. I tre lingotti d’oro fino sono il prodotto della vendita delle prime quattro ZONE DI SENSIBILITÀ PITTORICA IMMATERIALE.
- A Dio Padre Onnipotente, in nome del Figlio Gesù Cristo, in nome dello Spirito Santo e della Santa Vergine Maria. Per mezzo di Santa Rita da Cascia, sotto la sua cura e protezione, con tutta la mia infinita riconoscenza. Grazie. Y.K.
- Santa Rita da Cascia, io ti chiedo di intercedere presso Dio Padre Onnipotente perché mi accordi sempre in nome del Figlio Gesù Cristo e in nome dello Spirito Santo e della Santa Vergine Maria, la grazia di animare le mie opere perché esse divengano sempre più belle e inoltre la grazia che io scopra continuamente e regolarmente sempre nuove cose nell’arte ogni volta più belle, anche se purtroppo non sempre sono degno di essere un utensile per costruire e creare la Grande Bellezza. Che tutto ciò che viene da me sia Bello. Così sia. Y.K.
- Sotto la protezione terrestre di Santa Rita da Cascia: la sensibilità pittorica, i monocromi, gli IKB, le sculture-spugna, l’immateriale, le impronte antropometriche statiche, positive, negative e in movimento, i sudari. Le Fontane di Fuoco, d’acqua e di Fuoco, l’architettura dell’aria, l’urbanistica dell’aria, la climatizzazione degli spazi geografici trasformati così in Eden permanenti ritrovati alla superficie del nostro globo, il Vuoto.
- Il teatro del Vuoto – tutte le variazioni particolari ai margini della mia opera – le Cosmogonie - il mio cielo Blu – tutte le mie teorie in generale. Che i miei nemici diventino miei amici e, se ciò è impossibile, che tutto ciò che essi potrebbero tentare di fare contro di me non vada mai a compimento e che io non ne sia mai colpito. Rendi me ed ogni mia opera completamente invulnerabili. Così sia.
- Che tutte le mia opere di Gelsenkirchen siano sempre più belle e sempre più siano riconosciute come tali, e il più presto possibile. Che le Fontane di Fuoco e i muri di Fuoco possano essere da me eseguiti sulla piazza dell’Opera a Gelsenkirchen al più presto. Che la mia mostra di Krefeld sia il più gran successo del secolo e che tutti lo riconoscano.
- Santa Rita da Cascia, Santa dei casi impossibili e disperati, grazie di tutto l’aiuto così grande, decisivo e meraviglioso che mi hai dato finora. Infinitamente grazie. Anche se non ne sono personalmente degno, aiutami ancora e sempre nella mia arte e proteggi tutto ciò che ho creato affinché, nonostante me, sia tutto, sempre, di Grande Bellezza. Y.K.”
Yves Klein e Dino Buzzati durante il rituale di cessione di una "Zone de sensibilité picturale immatérielle" – Parigi, Pont-au-Double, 26 gennaio 1962. |
L’ex-voto anonimo era stato conservato dalle suore nel deposito delle offerte al Santuario. In seguito al terremoto del 1979, che aveva danneggiato la cupola della Basilica e il suo rivestimento affrescato, si rese necessario un restauro, Rosario Scrimieri, l’architetto responsabile dei lavori, incaricò il pittore Armando Marrocco di eseguire una serie di vetrate moderne per il presbiterio della Basilica. L’artista, nel corso del lavoro, ebbe bisogno di oro in foglie e lo richiese al personale del monastero. Le suore portarono l’ex-voto di Yves Klein.
Marrocco ricorda: “Il giorno dell’eccezionale scoperta dell’opera di Klein, esattamente venerdì 21 Dicembre 1979 verso mezzogiorno, mi trovavo nel parlatorio del Monastero di S. Rita, insieme all’arch. Scrimieri, per discutere con la Badessa e le consorelle alcuni problemi riguardanti le vetrate che mi erano state commissionate qualche mese prima. Dato che per il lavoro delle finestre destinate a contenere le vetrate si doveva utilizzare dell’oro in foglie, chiedemmo alla Badessa se per caso ne avessero un po’ da qualche parte. Poco dopo ci venne portato un pacco contenente foglie di oro zecchino ed inoltre dei depliants con dentro una cassetta, apparentemente contenente polveri colorate per il restauro di affreschi. Mentre l’architetto Scrimieri la analizzava attentamente perché sopreso dal contenuto e dalla eccezionale realizzazione del contenitore in perspex, io mi accorsi che ci trovavamo di fronte a una scoperta sensazionale: un’opera di Yves Klein dedicata a S. Rita da Cascia”
Al suo ritorno a Milano, Marrocco mi fece contattare da Guido Le Noci (il gallerista “ispirato” presso il quale il 2 gennaio 1957 ho presentato in prima mondiale l’«époque bleue» di Yves Klein, l’Epoca Blu, i primi IKB). L’incontro avvenne il 19 maggio 1980, e fissammo un appuntamento con le autorità ecclesiastiche per il 18 giugno seguente a Cascia. Ebbi così la possibilità di intrattenermi con la madre Superiora del convento durante una seduta di circa un’ora in parlatorio, di autenticare l’ex-voto, di fare fotografare l’opera e di fotocopiare, il testo con l’assenso dell’ordine gerarchico.
La devozione di Yves Klein al culto di Santa Rita (culto molto popolare a Nizza, città natale di Y.K.) mi era ben nota: egli vi era stato iniziato da sua zia, Rosa Raymond-Gasperini. Egli mi aveva messo al corrente dei suoi precedenti pellegrinaggi a Cascia: vi si era recato due volte prima del 1961 per pregare la Santa delle cause disperate e supplicarla di aiutarlo nei momenti importanti e critici della sua carriera.
Sono convinto che l’ex-voto non è l’unica offerta di Yves Klein alla Santa, come testimonia una copia del catalogo di Krefeld che le è personalmente dedicato, e che è conservato al monastero. Finora però non si sono trovate tracce di altre opere.
Il testo da poco ritrovato testimonia la profondità e la verità della fede dell’artista, al di là di qualsiasi rituale feticista. L’invocazione a Santa Rita, l’apice della sua pratica spirituale all’interno del rituale dogmatico, del riferimento a Dio Padre, al Figlio Gesù, allo Spirito Santo e alla Vergine Maria: la meditazione sull’Assolutezza dell’Arte, il Vuoto, l’Energia Vitale.
La pubblicazione di questo documento acquista tutto il suo significato in occasione della celebrazione del sesto centenario della nascita della Santa.
Pierre Restany
Iscriviti a:
Post (Atom)
rome ar tweek.artisti
- http://angelo-riviello.blogspot.com/
- http://artco.blogosfere.it/
- http://artforum.com/
- http://coarco.art.free.fr/
- http://galeriedutableau.free.fr/
- http://muzeulflorean.mm.ro/florean_museum/film.php?y=2007&id=400
- http://nightitalia.files.wordpress.com/2008/12/nightitalia-1.pdf
- http://www.1fmediaproject.net/
- http://www.amnesiacarts.com/
- http://www.annarumma.net/
- http://www.artapartofculture.net/
- http://www.arteriamatera.it/
- http://www.artpress.fr/
- http://www.artragallery.com/
- http://www.berlinerpool.de/
- http://www.careof.org/IT/index.html
- http://www.casoriacontemporaryartmuseum.com/
- http://www.dariocarmentano.com/
- http://www.detroitmona.com/
- http://www.emergencyrooms.org/criticalrun/films.html
- http://www.exibart.com/home_new01.asp?IDCategoria=1
- http://www.flashartonline.it/
- http://www.fondazionemorragreco.com/
- http://www.gagosian.com/
- http://www.galleriafonti.it
- http://www.guggenheim.org/
- http://www.irinadanilova.net/
- http://www.kunsthalle-duesseldorf.de/index.php?id=84
- http://www.liarumma.it/
- http://www.lululolo.com/
- http://www.macba.cat/controller.php
- http://www.macro.roma.museum/
- http://www.maxxi.darc.beniculturali.it/
- http://www.movingimage.us/
- http://www.museomadre.it/
- http://www.palazzoartinapoli.net/
- http://www.project59.org/59seconds/
- http://www.ps1.org/
- http://www.saatchi-gallery.co.uk/
- http://www.taschen.com/
- http://www.teknemedia.net/index.html
- http://www.transphotographiques.com/
- http://www.undo.net/it/
- rome ar tweek.artisti
- www.sergiolombardo.it