giovedì 30 aprile 2020

Germano Celant è morto. Il teorico dell'Arte Povera, che nel 1967/68 tentò di rivoluzionare il mondo

Da "il Manifesto"
Edizione 30 aprile 2020
Daniela Lancioni

Nell’impresa epica di Germano Celant

Scomparse. Se ne va a 80 anni il curatore e critico dell’Arte Povera. Aveva lavorato per l’arte italiana come per quella internazionale in mille modi diversi, ma accomunati da una logica e da una coerenza che non è possibile non vedere nella filigrana della sua carriera



«Prima viene l’uomo poi il sistema, anticamente era così. Oggi è la società a produrre e l’uomo a consumare», questo è l’incipit del testo Arte Povera. Appunti per una guerriglia del 1967, tra i più celebri della critica d’arte italiana del secondo Novecento. Il suo autore, Germano Celant è morto ieri all’età di ottant’anni, vittima del Covid-19.
IL GIOVANE che alla vigilia del Sessantotto si schierava contro il sistema, termine diffuso in quegli anni per indicare l’organizzazione imposta dal potere ai fini della sua conservazione, è stato uno dei più autorevoli protagonisti del sistema internazionale dell’arte. Curatore del Guggenheim di New York (1989-2008), direttore artistico della Fondazione Prada (dal 1995 sino ad oggi), firma de L’Espresso e di molte riviste specializzate, curatore della Biennale di Venezia (1997) e di un’enorme quantità di mostre sparse sui diversi continenti e con artisti di tutto il mondo, autore anche di pubblicazioni numerose e cosmopolite.
Il sistema dell’arte che collega tra loro istituzioni prestigiose è l’espressione di un potere e in quanto tale deprecabile o è l’esercizio di un giudizio che contribuisce a garantire la qualità della cultura? La biografia di Celant potrebbe fornire dati interessanti per tentare di dare una risposta a questa domanda. Con più facilità, e credo senza il pericolo di smentite, la stessa biografia svela i tratti di un’impresa epica. Grandiosa, infatti, quasi commovente, è stata la sua capacità di valorizzare il territorio italiano, gremito di artisti ma privo di quella economia che negli ultimi cinquant’anni ha acquistato un’importanza decisiva. Non è anche questo contraddire il sistema?
Celant ha lavorato per l’arte italiana come per quella internazionale in mille modi diversi, ma accomunati da una logica e da una coerenza che non è possibile non vedere nella filigrana della sua carriera. Questo sì, forse, smentisce i suoi propositi giovanili di «guerriglia».
GENOVESE, formazione da storico dell’arte e allievo prediletto di Eugenio Battisti che gli insegnò a dilatare il suo campo di indagine e lo chiamò a collaborare a Marcatré rivista eccezionalmente aperta a discipline diverse. Negli anni in cui la società dei consumi impose agli artisti di creare immagini incisive e mordenti, da giovane critico militante creò l’Arte Povera, un capolavoro di comunicazione, fondata su idee in grado di cogliere, in una vista di insieme, il lavoro di artisti di natura diversa, tutti destinati a rivelarsi, su scala globale, tra i migliori del secondo Novecento: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Mario Merz, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio, Emilio Prini, Mario e Marisa Merz.  Capì l’importanza di dialogare con le grandi figure della critica internazionale e con loro inventò una nuova professione, quella del curatore, amico degli artisti, perennemente in viaggio, il cui lavoro, oltre che nella scrittura critica, trova l’espressione più compiuta nella realizzazione di mostre, le istituzioni democratiche dove la cultura contemporanea incontra i suoi destinatari.
n.b. Ad Amalfi, agli Antichi Arsenali, nel 1968, con "Arte Povera + Azioni Povere", aderirono Pietro Lista, e i giovanissimi Carmine Limatola (detto Ableo), e Ugo Marano, mostra voluta da Marcello e Lia Rumma.
NEL 1971 dichiarò sciolta la compagine dell’Arte Povera, che gruppo, effettivamente, non era mai stato e si impegnò in un lavoro di raccolta e di archiviazione rivolto alle più recenti forme d’arte il cui carattere prevalentemente processuale o effimero rendeva l’operazione particolarmente importante e necessaria. Fondò «Ida», Information, Documentation, Archive, il cui acronimo è forse un omaggio alla sua compagna dell’epoca, Ida Gianelli, che costituisce il primo nucleo di un archivio prezioso i cui giacimenti hanno dato nel tempo molti importanti prodotti editoriali, come la raccolta di fonti Precronistoria (ispirato dal lavoro della critica americana Lucy Lippard) o Off Media dedicato alle forme d’arte incarnate nei media non tradizionali.
A partire dagli anni Ottanta, rispose all’interesse diffuso verso il passato, storicizzando la sua Arte Povera con una serie di mostre e di libri a trama prevalentemente documentaria e descrittiva. Curò grandi mostre monografiche, da Jim Dine a Louise Nevelson, da Claes Oldenburg a Dennis Oppenheim, molte dedicate agli artisti delle generazioni più giovani, fino alla più recente e commovente mostra di Jannis Kounellis da poco scomparso. Nelle monografie gradualmente sperimentò un modo di accostarsi agli autori riservando attenzione al dato biografico, mentre costante e radicata si è rivelata la prassi di contestualizzarne il lavoro. Esemplare in questo senso il catalogo della mostra Identité Italienne del 1981, dove in luogo del testo critico e delle tavole delle opere dei diciotto artisti chiamati a rappresentare l’arte italiana al Centre Pompidou, si trovano 645 pagine di cronologia riferita a un ampio spettro di vicende culturali e politiche italiane e ai macro avvenimenti mondiali.
IL CAPITOLO più recente della sua biografia professionale lo ha visto proporsi come storico delle mostre d’arte e come curatore in grado di rievocarle. Lo ha fatto inizialmente con When Attitudes Become Forme la mitica rassegna curata da Harald Szeemann nel 1969. Il percorso di Celant si chiude così con una mossa magistrale, un capolavoro di strategia culturale approntato, forse, con la consapevolezza che critica, storia e giudizio non sono separabili: Celant capostipite dei curatori ne è diventato lo storico.

Il Catalogo che divenne subito storia

Fotografia dall’archivio di Lia Rumma pubblicata su Flash Art:
da sinistra, Tommaso Trini, Achille Bonito Oliva,
Germano Celant,Filiberto Menna, Marcello Rumma
.“Arte Povera + Azioni Povere,” Amalfi, Italia (1968)

Conceptual Art, Arte Povera, Land Art
Da Rivista Studio
30 aprile, 2020

Definendo il movimento dell’Arte Povera (prima con la celebre mostra alla Galleria La Bertesca di Genova, poi con i suoi scritti, come il fondamentale Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970) a partire dal 1964 accompagnò verso la fama internazionale artisti come Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali, “esportando” l’arte italiana in tutto il mondo. Nel 2016, Flash Art aveva ripubblicato “Arte Povera”, un testo uscito nel 1967 sul numero 5 della rivista: si può leggere qui. Nel 1977 iniziò a collaborare con il Guggenheim di New York, di cui è poi diventato curatore, organizzando mostre memorabili (qui, ad esempio, si può consulare il catalogo di Italian Metamorphosis 1943-1968, allestita prima al Guggenheim, nel 1994, poi alla Triennale di Milano). Nel 1997 Celant ha curato la 47esima Biennale d’Arte di Venezia dal titolo Future, Present, and Past

Dal 1995 al 2014 Celant è stato Direttore artistico di Fondazione Prada e dal 2015 Soprintendente artistico e scientifico. Durante questi anni ha concepito e curato più di quaranta progetti espositivi, dalla personale di Michael Heizer nel 1996 alla retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis nel 2019, un omaggio all’amico di una vita morto a Roma nel 2017.
Le parole dei Presidenti di Fondazione Prada, Patrizio Bertelli e Miuccia Prada: «Siamo molto addolorati per la perdita di un amico e compagno di viaggio. Germano Celant è stato una delle figure centrali di quel processo di apprendimento e ricerca che l’arte ha rappresentato per noi fin dall’inizio della fondazione. Le tante esperienze e gli intensi scambi che abbiamo condiviso con lui in questi anni hanno contribuito a farci ripensare il significato della cultura nel nostro presente. La curiosità intellettuale, il rispetto per il lavoro degli artisti, la serietà della sua pratica curatoriale sono insegnamenti che riteniamo essenziali per noi e le generazioni più giovani».

Da Positano News
del 29 aprile, 2020
Rubrica Cultura
a cura di Maurizio Vitiello


Milano. Ospedale “San Raffaele”. Il Coronavirus uccide il critico d’arte Germano Celant.


Articolo di Maurizio Vitiello – Colpito dal Coronavirus, scompare Germano Celant, grande critico d’arte e serio curatore.
Germano Celant lanciò l’“Arte Povera” e fece conoscere in Italia la “Conceptual Art” americana.
Conosciuto nel mondo, lascia un vuoto.
E’ morto a 80anni uno dei maggiori storici dell’arte contemporanea italiana.
Nacque a Genova nel 1940.
Era, da tempo, all’Ospedale “San Raffaele” di Milano, ricoverato tra i contagiati dal Covid-19.
Nel 1967 aveva coniato la definizione di “Arte Povera” per designare un gruppo di artisti italiani la cui opera era caratterizzata dall’uso di materiale di recupero.

Erano Alighieri Boetti, Luciano Fabio, Janis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini, esposti nella prima mostra alla Galleria “La Bertesca” di Genova, tutti destinati a riscuotere un grande successo a livello internazionale.
Germano Celant, noto per essere il fondatore dell’”Arte Povera”, movimento artistico che corroborava la riappropriazione del rapporto Uomo-Natura, sull’immanenza, sull’importanza del gesto artistico, riuscì con questa frontiera artistica a opporsi a un’arte consumista.
Alla fine degli anni Sessanta aveva animato, incanalato e guidato il movimento dell’“Arte Povera”, diventato un rilevante fenomeno artistico in Italia nella seconda metà del Novecento.
Ha lavorato con gli artisti americani, diventando uno dei maggiori esperti della scena californiana, attiva e prolifica.
Negli anni Novanta cavalcava l’onda del successo critico ed era tra i più noti e stimati curatori del mondo; fu, anche, nominato direttore della 47^ edizione de “La Biennale di Venezia”.
Attualmente, era lo stimatissimo curatore della “Fondazione Prada” e della “Fondazione Emilio Vedova”.
Nel 2015, aveva, saggiamente, collaborato con Expo per l’area Food in Art.
Altre importanti rassegne furono da lui realizzate al Centre “Georges Pompidou”, a Londra e a Venezia, al Palazzo Grassi.
Ha curato la retrospettiva di Jannis Kounellis a Venezia e quella su Vedova a Palazzo Reale a Milano.
Ha scritto per oltre cinquanta pubblicazioni, tra cataloghi, approfondimenti sul lavoro di singoli artisti o interessanti, preziosi e calibrati scritti teorici come Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970 e etc. … .
Diventò senior curator al Guggenheim, dove, nel 1994, realizzò “Italian Metamorphosis 1943-1968”, nel tentativo di avvicinare l’arte italiana alla cultura americana; proprio in quell’occasione lo sentii al telefono e mi colpì la sua voglia di allacciare migliori rapporti tra Europa e America.
Certamente, senza di lui gli artisti dell’”Arte Povera” non sarebbero emersi e non sarebbero stati conosciuti a livello internazionale e, forse, non sarebbero mai esistiti.
Era atteso per il 1° aprile a Peschici, sul Gargano, per ritirare il riconoscimento «Le donne nell’arte» per il suo contributo svolto in nome di Prada ….

Maurizio Vitiello

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