mercoledì 21 novembre 2018

Storie d'Acqua - Storia del luogo - Le opere “resuscitate” al MEAAC, Museo Campagna (Museo della Chiena)

Storie d'Acqua - Storia del luogo 


Il terremoto del 23 novembre 1980, nel suo 38° anniversario, che colpì a morte anche la nostra città, ci piace ricordarlo così. Quanti bei nomi,dai più umili dei cittadini dei vari quartieri, a un folto gruppo di intellettuali e di artisti venuti da ogni parte d'Italia...che si rimboccarono le maniche per ricostruire attraverso l'arte e la cultura la Città/Territorio di Campagna, la Civitas che fu anche di Giordano Bruno (dove celebrò la prima messa nella Chiesa di San Bartolomeo), di Caramuel (che innalzò la Cattedrale di Santa Maria della Pace nel 1600, su due antiche Chiese ubicate sul fiume Tenza, in piena peste che decimò non poco la popolazione), Giulio Cesare Capaccio (il primo storico-archeologo che iniziò gli scavi a Paestum nel 600), Melchiorre Guerriero (un pezzo da novanta nella Curia Vescovile romana), Giulo Romano (che la ridisegnò urbanisticamente tra il 1518 e il 1520), e tanti altri: 


Le opere “resuscitate” al MEAAC, Museo Campagna-Museo della Chiena (Museo di Etno-Antropologia e d'Arte Contemporanea-Centro Arte Giordano Bruno, dal 1982-85), “sopravvissute” a diverse “intemperie”, al degrado, all'ignoranza, alla burocrazia, ai furti continui, e al trasferimento (forzoso) all'ultimo piano dell'ex Convento dei Frati Domenicani (senza guardiania, senza custodi, in assenza del Cosiglio Direttivo dell'Associazione Giordano Bruno, e/o della Direzione Artistica) -

Da sinistra a destra: Patrizia Marchi (1985), Giovannastella Lanocita (1985),
Angelo Riviello (1986/87), Donato Vitiello (1985)
Dopo 24 anni, finalmente all’ultimo piano del Luogo della Memoria (Museo di Etno-Antropologia e d’Arte Contemporanea-Luogo della Memoria dei cittadini ospitanti: un Museo Vivo) iniziano a uscire dall’ombra e dalla polvere dei depositi, gli oggetti d’uso quotidiano, attrezzi di lavoro dei cittadini artigiani di Campagna e dintorni, e le opere degli artisti realizzate durante i residences nei laboratori site specific, nell’ambito della “Rassegna dell’Acqua –‘A Chiena”, dal 1985 al 1994. Insieme agli oggetti e alle opere, si stanno coordinando anche alcuni docu-video e una registrazione audio, realizzati negli anni 80.
N.B. Si spera che la bozza di allestimento in atto, a cura di Angelo Riviello (per quanto riguarda un testo di presentazione, i nomi degli artisti e l'ordine cronologico delle opere realizzate nelle residenze con i laboratori, ai tempi in qualità di coordinatore artistico responsabile, dal 1985 al 1994) e Mario Velella (per l'allestimento tecnico delle opere), in un gioco di squadra, con la collaborazione determinante di Giacomina Velella, Vito D'Agostino e Adriana Maggio, coordinato dall’Associazione Giordano Bruno, con l'aiuto degli allievi del Liceo Linguistico Pedagogico "T. Confalonieri" (progetto "Alternanza-Scuola-Lavoro") quanto prima possa trasformarsi in una mostra-evento aperta al pubblico. Al momento è solo un modo per rifare un inventario, spolverare e far respirare oggetti e opere, restaurare quelle danneggiate, e misurare lo spazio di quell’ultimo piano dell’ex Convento dei Frati Domenicani, che è rimasto a disposizione del Museo “Padre”, cioè quello storico, originale, che contiene la storia di tutte le storie: mondo contadino e artigianale; i cittadini ebrei ospiti internati; la memoria dei cittadini campagnesi ospitanti; l’asilo nido degli anni 60; la presenza di Giordano Bruno; gli artisti ospiti invitati, tra il 1985 e il 1994, l’Arte Contemporanea; l’Acqua elemento universale, un museo che nel presente guarda al passato e ridisegna un futuro).
In queste foto, potete ammirare alcune opere di quegli anni, iniziando dal 1985 e un particolare della Sala dedicata a Giordano Bruno (il 1985, l’anno storico iniziale del recupero e salvaguardia della "Chiena" in disuso, con destinazione diversa, da un'idea progettuale individuale e sperimentale del 1982, alla messa a fuoco collettiva del "Progetto Chiena" 85, in progress, con centinaia di adesioni nel tempo di artisti di ogni parte d'Italia e del mondo), quando l’Arte guardando lontano, con umiltà, andò a recuperare un evento di cui, sia l’Amministrazione Comunale che una buona parte dei comuni cittadini si vergognavano, mentre quei "quattro giovani" che presero l’iniziativa venivano “derisi”). Un evento oggi, che richiama nel periodo tra luglio e agosto, migliaia di turisti.
































martedì 20 novembre 2018

Amarcord 22 - Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie

Amarcord 22

Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie

di Giancarlo Politi
per intervenire, controbattere o esprimere una propria opinione scrivere a

Giancarlo Politi, Linea Umbra. Antologia di poesia contemporanea, Beniamino Carucci Editore, Roma 1961
Linea Umbra
Prima di abbandonare la poesia, per dedicarmi solo all’arte, ho avuto il tempo e la presunzione di pubblicare due antologie di poesia, che all’epoca furono ritenute interessanti. Poesia Umbra Contemporanea, di cui non ho più nemmeno una copia (e che cerco disperatamente: chi ne avesse notizia si faccia vivo) e soprattutto Linea Umbra, che ebbe un insperato successo tra gli addetti ai lavori.

Il mio interesse per la poesia fu molto precoce. E' molto strano perché a casa mia non esistevano libri, forse nemmeno Pinocchio e io sino alla seconda o terza elementare non sapevo cosa fosse la poesia. Ma ero divorato dal desiderio di leggere e dalle curiosità.
La mia cultura di bambino confinato nella campagna umbra dipendeva dal mio barbiere, Pippetto, presso il quale, oltre a ritirare per Natale piccoli calendari lussuriosi e profumati, guardavo Il Corriere dei Piccoli e mio padre La Domenica del Corriere (forse le uniche pubblicazioni che riceveva); insieme a Sogno e Grand’Hotel, di cui un po’ più tardi, divoravo i fotoromanzi e le storie d’amore di vita vissuta dei lettori e a cui cercai invano di collaborare con alcuni racconti di amori infranti, mai accettati. Il negozio di Pippetto, con le sue sedie sgangherate mentre aspettavi il turno per i capelli, era la mia biblioteca, il Centro Culturale del paese, la mia prima università. Leggevo anche mentre mi rapava (la sua specialità) e anzi, speravo che il taglio non finisse mai perché volevo arrivare alla fine del giornale. Per me, che avevo appena incominciato a leggere, il Corriere dei Piccoli era un Vangelo. Leggevo e rileggevo il Corrierino (come lo chiamavamo) più volte durante la settimana, ma leggevo tutto, anche ciò che non capivo. Un romanzo appassionante a puntate mi coinvolse fortemente. Era la storia di un povero ragazzo, mi pare si chiamasse Franco, che attraverso la bicicletta cercava il riscatto dalla sua vita di miseria. Ricordo ancora l’emozione della sua corsa per la vita, che, vincendo, gli avrebbe permesso di ricevere in premio una vera bicicletta da corsa (correva con una normale bici di fortuna prestata mi pare dal prete): quando era in vista del traguardo credeva di essere il primo, ma scorse un ciclista davanti a sé, anche se lui credeva di essere stato in testa dall'inizio alla fine. E malgrado una volata emozionante, che mi accaparrò tutti i sensi e anche l'anima, non riuscì a raggiungere, per pochi metri, colui che lo precedeva, un signorino ben vestito e strafottente e con una vera bici da corsa, mentre la folla applaudiva lui, il povero ragazzo, chiamandolo Motorino, per la velocità con cui faceva girare le gambe e le ruote della bici. Ma Motorino non riuscì per pochi metri a raggiungere il rivale già portato in trionfo dai suoi amici. La delusione di Motorino e la mia furono crudeli. Io piansi a lungo per la sconfitta del mio eroe, quasi per una settimana. Ma nella puntata successiva ci fu una sorpresa: la giuria aveva scoperto che il ragazzo cattivo e ricco non aveva percorso tutto il tracciato della corsa, ma aiutato da amici compiacenti, ne aveva tagliato una parte. E con mia immensa gioia la vittoria fu assegnata al mio eroe Motorino. La storia forse alludeva vagamente a quella di Gino Bartali e alle sue origine poverissime ma all’epoca famoso ciclista, oppure al suo grande rivale, Fausto Coppi, che da giovanissimo, a Castellania, consegnava il pane in bicicletta percorrendo chilometri e chilometri a forte velocità.

Fonti del Clitunno

A otto anni scoprii la poesia
Sul Corriere dei Piccoli mi facevano sgranare gli occhi anche le famose avventure del signor Bonaventura, in cui alla fine di ogni storia, per una ragione o l’altra, arrivava un benefattore che lo gratificava con un milione di lire. Una cifra da capogiro. Ma fui preso anche dalle storie di Bibì e Bibò, oltre che da Arcibaldo e Petronilla. A quei tempi scoprii anche il grande Jacovitti, ma non ricordo bene se sul Corriere dei Piccoli o sulVittorioso, che ogni tanto mi passava per le mani. E poi c’era la Domenica del Corriere, che leggeva mio padre ma che io prontamente rilevavo per godermi le tavole di Walter Molino che in ogni numero, attraverso la copertina, ci raccontava la storia della settimana. Sempre storie gloriose o strappalacrime ma che io bevevo come acqua di fonte. A sei, sette anni, ero assetato di curiosità e di novità. In inverno, mentre nevicava, dalla finestra della mia modesta casa, guardavo i passerotti avvicinarsi alla finestra in cerca di cibo e talvolta (raramente) cadevano nella trappola che avevo preparato per loro sul davanzale della finestra (nei negozi allora erano molto in voga le trappole per uccelli e per topi). Mi destavano pena ma desideravo catturarli, mentre io ero al caldo e leggevo Il Corriere dei Piccoli. Un piacere incontenibile il mio, tra la pietà per i poveri uccellini e la crudeltà innata dei bambini di catturarli per poi cuocerli al focolare su uno spiedino. La pietà e il piacere insieme sono due sensazioni straordinarie.

Forse in seconda elementare (che io frequentai in ritardo, a otto anni a causa della guerra) scoprii la poesia. Cioè capii cosa era una poesia. Una sorta di preghiera con la rima. La nostra maestra, Nunziatina, fascista sino al midollo ma bravissima come nessun'altra, ci lesse Alle Fonti del Clitumno, di Giosuè Carducci, forse la poesia più famosa (e bella) delle Odi Barbare del nostro primo Premio Nobel per la Poesia. Il fiume Clitumno (oggi Clitunno) scorreva a cento metri dalla mia casa ed era il teatro di tutte le mie avventure adolescenziali. Dalla pesca dei gamberi ai primi tentativi di nuoto in un’acqua gelida da cui forse sono nati i miei reumatismi. Le Fonti del Clitunno, allora oasi di bellezza incontaminata erano a due passi da casa mia e per questo forse la maestra ci lesse la poesia che il Carducci scrisse durante una permanenza a Spoleto (in vicinanza dalle Fonti) come commissario d’esame.

Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte
nume Clitumno! Sento in cuor l’antica
patria e aleggiarmi su l’accesa fronte
gl’itali iddii.

Cari amici, voi non ci crederete ma a me, ascoltando quei versi, mi entrò una luce nel cuore. Niente a che vedere con il noioso Pater Noster che tutte le mattine ero costretto a recitare in chiesa con don Gino. La vera poesia era questa, non quella preghiera. 

e corri, corri, corri! con la scure
corri e co’ dardi, con la clava e l’asta!
corri! minaccia gl’itali penati
Ànnibal diro. 

A quel richiamo mi sentii un antico umbro, pronto a lasciare l’aratro e correre per gettare l’olio bollente su Annibale sotto le mura di Spoleto. Inutile dire che il giorno dopo avevo scritto una poesia sul Clitunno, dagli echi eroici e ovvi richiami carducciani. Di cui sino a qualche anno fa ricordavo ancora alcuni versi ma che ora ho dimenticato. Beata selettività della senescenza che ti porta a dimenticare ciò che non devi ricordare!

Helena Kontova alle Fonti del Clitunno, 1980.

La maestra Nunziatina mi aveva inseminato di poesia

Ma con quei versi e la lettura declamatoria della nostra maestra Nunziatina, era avvenuta in me l’inseminazione della poesia. E iniziai a scribacchiare poesie in rima baciata o alternata (avevo imparato anche questo) in endecasillabi un po’ stiracchiati. Non molto dopo scoprii Giacomo Leopardi di cui andavo a recitare, urlando, talvolta sotto la pioggia scrosciante, l’Infinito, su un cocuzzolo a strapiombo su una cava di pietra accanto alla mia casa. Un giorno mio padre mi pregò di smettere, perché un suo collega di lavoro gli aveva chiesto se Giancarlo non fosse diventato pazzo: mi aveva visto in cima ad una cava, da solo, a gridare parole incomprensibili al vento.
Da quel giorno le mie declamazioni dell’Infinito leopardiano furono più pacate e intime, senza urla e gesticolazioni teatrali. Ma intanto la mia conoscenza della poesia cresceva. Grazie ai libriccini super economici della BUR, che arrivavano anche a Foligno, scoprii Baudelaire, Rimbaud, Verlaine. E poi subito dopo, ma già avevo 15-16 anni, Ezra Pound, il meraviglioso pazzo, il Dante Alighieri dei nostri tempi, che ha rivoluzionato la poesia contemporanea. Lui e Thomas S. Eliot sono stati i miei due grandi riferimenti. Ma contemporaneamente non avevo trascurato i poeti italiani: il grande Ungaretti, il mitico Montale e Quasimodo, Saba, il crepuscolare Corazzini che mi affascinava particolarmente (e credo che abbia anche imitato nel mio poetare giovanile), insieme al suo maestro Guido Gozzano….
A scuola? Così, così. Durante le lezioni sottobanco, insieme alla merenda, tenevo un libro di poesie che ogni tanto sbirciavo, facendo finta di ascoltare l'insegnante. Ma quella mia curiosità diventò quasi morbosa e cominciai a leggere tutto ciò che potevo. Alla Biblioteca Comunale di Foligno, quando spesso marinavo la scuola, leggevo tutti i poeti possibili, italiani e stranieri. Compresi i grandi poeti greci. E passo dopo passo incominciai a diventare un piccolo esperto. Della poesia italiana contemporanea conoscevo quasi tutto ciò che veniva pubblicato. Divoravo ovviamente i Poeti dello Specchio di Mondadori, la collana più prestigiosa ma iniziai a scoprire anche gli editori e autori minori, sino a diventare un vero conoscitore della Poesia Italiana Contemporanea. Al punto che, nel maggio del 1956, scrissi una cartolina a Mike Bongiorno per partecipare alla sua popolare trasmissione Lascia o Raddoppia. Una semplice cartolina scritta anche maldestramente. Più per gioco e per vantarmi con i miei amici che per reale convinzione di poter partecipare. Invece, pochi giorni dopo mi arrivò un telegramma da Mike Bongiorno che mi invitava a Milano, per una sorta di esame di ammissione. Ho già raccontato più volte che nella sala di attesa per gli esami incontrai John Cage, Filiberto Menna e Sergio Dangelo; il primo si presentava come esperto di funghi e il secondo come esperto dell’Impressionismo. Dangelo mi pare sul Jazz. Tra gli esaminatori c’era Umberto Eco, che si congratulò con me, abbracciandomi, per l’ottima conoscenza che dimostrai della poesia italiana. Un giovane dimesso, con vestiti inadeguati che arriva dalla lontana campagna umbra, fa sempre tenerezza. E poteva essere una attrazione per il pubblico. Dopo questa esperienza emozionante me ne tornai in Umbria, in attesa di essere chiamato. Ma trascorrevano le settimane e non seppi più nulla. Al punto che quasi dimenticai la vicenda e nell’agosto del 1956, andai qualche giorno al mare a Ostia con i miei cugini. Mio zio Matteo, fervente militante comunista (doveva vendere ogni domenica 20 copie dell’Unità: e se non riusciva, doveva comprarsele lui. Tempi di fede e dedizione eroiche), in spiaggia leggeva Paese Sera, quotidiano non ufficiale del PCI (ottima testata che nei tempi migliori arrivò a pubblicare anche sei edizioni giornaliere, praticamente una ogni due ore: per me è ancora un mistero ma anche un miracolo dell’informazione di allora). Un giorno, tra un bagno e l’altro, nella pagina della cultura che guardavo avidamente, lessi i nomi dei concorrenti di Lascia o Raddoppia della settimana successiva. E leggendo il mio nome, caddi quasi svenuto sulla sabbia bollente, perché molto ferrosa. Mi precipitai a casa, a Trevi, dove nel frattempo era arrivato il telegramma di chiamata. Nuovamente a Milano, sempre affacciato al finestrino per non perdermi alcun dettaglio del paesaggio, incominciai a partecipare, con buon successo a Lascia o Raddoppia.

Giancarlo Politi in partenza per Milano, mentre stringe la mano a Claudio Verna, con accanto i suoi genitori

Lascia o Raddoppia mi aveva reso famoso
Giovanissimo assaporo i primi risvolti della celebrità. Da Upim un giorno entro per comperare qualcosa o solo per vedere come era fatto un grande magazzino e vengo assalito dalle commesse che mi chiedono l’autografo e qualcuna si avvicina troppo a me, intimidendomi, al punto che io scappai come un fuggiasco. Senza acquistare nulla e senza rilasciare alcun autografo, che allora non sapevo nemmeno cosa fosse. In trasmissione me la cavavo egregiamente ed ero diventato in poco tempo un piccolo personaggio televisivo. Al punto che l’Osservatore Romano mi dedicò un grande articolo in prima pagina ma anche il Corriere della Sera e soprattutto Il Corriere di Informazione, che mi seguiva ovunque, per carpirmi non so quale segreto, dove abitavo, quali ristoranti frequentavo e dove avevo comperato una oscena giacca con cui mi presentavo in TV. Da muratore scrisse un giornalista (e io che ne andavo così orgoglioso!). Non voglio ripetermi, perché ho già parlato di questa esperienza. Ma la mia giovane età, la provenienza proletaria, la mia ottima conoscenza della poesia contemporanea, mi resero popolare presso i poeti famosi e sconosciuti. Conobbi qui a Milano Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, che mi guardavano trattandomi come un animale dello zoo. Però erano gentili. Dopo aver letto una mia poesia in TV, per gentile concessione di Mike Bongiorno (Per chi sei morto o Signore) ho ricevuto migliaia di richieste della stessa da parte di malati negli ospedali che avevano assistito alla trasmissione. Ma anche un telegramma da parte di un Mondadori (Alberto? Bruno?), che mi invitava a spedirgli le poesie per una immediata pubblicazione nella collana mitica de Lo Specchio. Per fortuna che avevo già abbastanza autocritica e non risposi nemmeno. In questi giorni, grazie all'amico Claudio Verna, che ha conservato il mio libro Linea Umbra e alcune mie poesie di quegli anni che abbiamo trascorso insieme a Foligno, ho riletto quella famosa poesia che aveva avuto tanto successo. Ebbene, mi sono vergognato. Al punto che in vista di una eventuale pubblicazione di una breve raccolta (spero non postuma) di alcune poesie giovanili, l’ho subito eliminata dalla selezione. A rileggere alcune cose (per fortuna non tutte) che ho scritto a quell’età, mi vergogno della mia supponenza. Ma anche di chi mi prendeva sul serio.

Giancarlo Politi in pausa, a Trevi con amici, tra una puntata e l'altra di Lascia o Raddoppia
Ma per tornare a quell’età e dopo Lascia o Raddoppia, inizia la mia vita normale, di un giovane che stava diventando adulto. Decido subito di pubblicare una antologia della Poesia Umbra Contemporanea, includendo un certo numero di poeti umbri e dopo che uno di questi si era offerto di pagare i costi di stampa del libro. Sull’onda di questo successo (per lo meno regionale e tra i miei amici) cerco di volare più alto. Allora cosa invento? La Linea Umbra, ipotizzando una linea della poesia italiana che partendo da Francesco di Assisi e Jacopone da Todi arrivava sino a noi. Ma la mia fantasia andò oltre.
Ero un Indiana Jones ante litteram
Dopo aver studiato la primissima espressione di italiano volgare, cioè la Carta di Capua del 960 (Sao ko kelle terre, ecc.), nei sotterranei della chiesa di Bovara che frequentavo, insieme a decine di scheletri di monaci (pare) trovo alcuni manoscritti, per lo più contratti notarili. Ne scopro alcuni anteriori al 960. Eureka, grido. Ecco dove nasce la la lingua italiana. In realtà si trattava di un latino maccheronico che nulla aveva a che vedere né con il latino né con un possibile volgare italiano. Ma tant’è. Per me era una scoperta epica. Anche se un po’ subdola. La Linea Umbra, partendo dagli antichi umbri e passando attraverso gli etruschi, poteva rappresentare la linea utopica da cui nacque la lingua e la poesia italiana, attraverso San Francesco e Jacopone, che nacquero alcuni anni prima di Dante Alighieri e del Dolce Stil Novo. La mia supponenza mi porta ad individuare anche una Linea Umbra nella poesia italiana contemporanea, attraverso il perugino Sandro Penna, per proseguire con l’etrusco Vincenzo Cardarelli, il marchigiano Luigi Bartolini (grande poeta sconosciuto) e il fiorentino Mario Luzi. Era un gioco a cui credetti fermamente e sinceramente. Mi ero immedesimato nel ruolo del filologo che scopre inediti straordinari. Un Indiana Jones ante litteram. Il libro esce con un coraggioso editore di Roma, Beniamino Carucci, di cui ho parlato a proposito di Pier Paolo Pasolini. Fu infatti a casa sua, in occasione di una presentazione ad alcuni amici del libro fresco di stampa, che incontrai Pier Paolo Pasolini, che, malgrado la sua distanza, dimostrò di apprezzare il libro (lui, con le suePoesie a Casarsa, apprezzava il regionalismo letterario). Forse perché avevo l’aria di un proletario. Il libro fu presentato anche in una delle famose cene di Flora Volpini, nota scrittrice e anfitrione abilissimo, chiamate Incontro Con l’Autore. Lei invitava a casa sua, in una cena a pagamento (quasi pari ai 50 Euro di oggi) circa 300 persone, tra scrittori, intellettuali, nobilastri, prelati, palazzinari, presentando un libro con l’autore presente. Ogni intervenuto, dopo cena, riceveva una copia firmata del libro (che la Flora Volpini si faceva regalare dall’Editore; ed era una gara fra editori a poter partecipare agli Incontri con l’Autore, considerata una manifestazione culturale di grande richiamo e visibilità). Alle serate, compresa quella dedicata a me, partecipava sempre Giulio Andreotti, di cui Flora Volpini era molto amica (e pare che attraverso Andreotti lei percepisse laute assegnazione per meriti culturali). Linea Umbra, ideato da questo giovane Indiana Jones di Trevi, ebbe il suo bell'eco tra gli addetti ai lavori. Ma un giorno, con una sorpresa che mi fece cadere dalle nuvole, perché totalmente inaspettato, vedo un articolo sulla intera terza pagina de Il Tempo, allora quotidiano autorevole di Roma, a firma, nientepopodiomenoche, di Enrico Falqui, il profeta e il guru della giovane poesia italiana. Un articolo molto positivo che apprezzava la mia idea e il mio coraggio. Io non camminavo per terra, ma aleggiavo a un metro di altezza. A seguito di questo articolo fui invitato a presentare il libro in una popolare trasmissione televisiva, Uomini e Libri, di Luigi Silori. Insomma, la mia idea di Linea Umbra stava decollando. Anche se poi, dopo alcuni anni, come tutte le cose, si arenò. Perché io avevo deciso sì, di continuare con la poesia, ma in modo privato e occuparmi invece professionalmente di arte, che nel frattempo stavo coltivando. Le mie poesie (per fortuna) restarono nel cassetto e dimenticate. Mentre iniziò la mia cinquantennale avventura nell’arte. Di cui riprenderemo a parlare nella prossima puntata. 
PS. Credo che questi miei Amarcord siano un po’ troppo lunghi e magari potrebbero annoiare. Dal prossimo numero vi prometto scritti più brevi e veloci. Ma purtroppo sempre un po’ autobiografici. Perché i miei Amarcord sono squarci di vita vissuta. Anche se a volte sembrano un romanzo d’appendice.
Contributi
Giovanna Pecci: non appartengo a un'eminente famiglia ebraica
Gentile Giancarlo,
leggo sempre con grande diletto i suoi Amarcord.
Sono Giovanna Pecci, il Museo Pecci è dedicato a mio padre.
Le scrivo per alcune precisazioni in merito all’Amarcord 21 che ricorda la nascita del Museo.
Non sapevo di appartenere ad una eminente famiglia ebraica, le posso assicurare che così non è e non mi spiego da dove provenga questa informazione. Non sapevo neppure che l’idea iniziale fosse dell’amato e stimato Amnon Barzel a cui tanto deve il Museo. Ero una ragazza molto giovane allora, e pur presente in alcune fasi della ideazione e realizzazione del Museo, ho dimenticato tanti episodi ed alcune circostanze; per questo sono felice di aver letto proprio in questi giorni il libro di recentissima pubblicazione della Dott Maria Teresa Bettarinii “Il Centro Pecci- Costruire un’idea” Gli Ori, Pistoia, che ripercorre in modo preciso e puntuale tutta la vera storia vista dalla persona incaricata dal Comune di Prato di seguirne ogni aspetto. La invito caldamente alla lettura, è scritto in modo molto piacevole.
Mi preme soltanto mettere fine ad una polemica che ricordo di avere sentito anche io in passato, citando proprio dal suddetto libro la testimonianza di chi era presente alla seduta del Consiglio Comunale del 18 marzo 1982 in cui si dibatteva sulla donazione del Cavaliere Enrico Pecci, mio nonno:
“ Gli interventi del Sindaco Landini e del Vicesindaco Magnolfi avevano assicurato che non c’era alcun “risvolto”: erano rispettati i vincoli previsti dal piano regolatore, il progetto aveva avuto il parere positivo di tutta la commissione edilizia, e Pecci avrebbe potuto costruire gli edifici anche senza la donazione.” pag. 30. Il 22 novembre alle 18 il libro sarà presentato al Centro Pecci, spero di incontrarla.
Cordiali saluti, Giovanna Pecci.

E se invece io e lei fossimo di origine ebraica? Chi lo sa?
Cara Giovanna, purtroppo il giorno 22 sarò a Roma, al Maxxi, dunque non potrò essere a Prato. Spero mi racconterà lei stessa la serata. La politica, a posteriori, come la storia, tende ad indorare i propri misfatti. Ma le assicuro che suo nonno Enrico non regalò nulla. I benefici delle concessioni che ottenne superarono di gran lunga i costi del Museo (almeno questi furono i calcoli del tempo: anche dello stesso Barzel. E credo ci furono pure delle polemiche sui media). Comunque non toglie nulla ai meriti di suo nonno. Tanto di cappello. Io conobbi Enrico Pecci, me lo presentò Barzel, e fui testimone del suo forte impegno in prima persona per la realizzazione del Pecci. Tutti i grandi musei americani (e molti nel mondo), sono nati da benefit da parte del paese nei confronti dei mecenati. Non conosco mecenati che abbiano realizzato qualcosa in cambio del nulla. E senza mecenati arricchitisi ulteriormente con le donazioni, il mondo sarebbe un deserto.
Lei non appartiene ad una eminente famiglia ebraica? Le credo, anche se mi sembra strano. Suo nonno Enrico era circondato dalle autorevoli famiglie ebraiche di Firenze e forse Prato. Sono loro che hanno convinto suo nonno. Non vorrei sbagliare, ma sia Barzel che Dani Karavan mi parlarono di Enrico Pecci come di un esponente dell’ebraismo locale. Molti amici israeliani sostengono che il mio nome sia assolutamente di origine ebraica. Tutto può essere, ma i miei trisavoli, tra cui pare anche un prete, nonni e babbo, hanno sgobbato quasi come schiavi. E io non mi ritrovo la intelligenza lucida e talvolta luciferina (detto con molta simpatia) della tradizione ebraica. E negli affari sono un fallimento. E questo non fa parte della tradizione ebraica. Ma forse anche sì. Dunque perché non di origine ebraica, senza saperlo, la sua e mia famiglia, anche se agli antipodi?

Loredana Parmesani
Caro Giancarlo,
Amnon Barzel è stato un grande. Grande nel pensare un museo e realizzarlo, grande nella sua visione critica e grande anche come persona. Lo ricordo con affetto e stima e, devo dire, mi manca. Mi manca il suo entusiasmo e la sua forza, la volontà e la caparbietà. Mi piacerebbe tanto rivederlo. Tu sai come poterlo contattare? Un abbraccio e grazie. Penso ci vedremo presto. Loredana


Amnon Barzel, svanito nel nulla?
Loredana, di Amnon Barzel si sono perse le tracce. Il mio “ corrispondente” da Israele, l’incomparabile Nicola Trezzi, che vive a Tel Aviv, mi diceva che Amnon in questo momento dovrebbe essere a Parigi. Ma non sappiamo di più. Speravo che con il mio Amarcord in qualche modo si sarebbe fatto vivo. Invece nulla.


Franco Giuli
Caro Giancarlo,
ottima e originale la tua Amarcord, si legge con molta curiosità e interesse tornando a volte a ritroso in ricordi lontani, sfumati dal tempo.
Ricordo con molto piacere quando nella prima metà degli anni 60 da Fabriano passavo da te a Trevi per farti vedere il mio lavoro che poi hai scritto nel 1966 un bel testo per la mia personale alla galleria Fanesi di Ancona. Alcune volte passavo a Trevi per recarci poi a Roma. Una volta abbiamo dormito in un piccolo albergo che da via Nazionale porta al Quirinale. Ricordo anche i giorni che ci vedevamo (anche con un pranzetto preparato a casa da Vittoria) quando hai curato la più bella mostra che il Premio Salvi a Sassoferrato abbia realizzato. Purtroppo certi periodi, i ricordi e le amicizie si perdono nel tempo macinate dal feroce ritmo della vita di tutti i giorni. Con un abbraccio. Franco Giuli

L’emarginazione in arte? Vivere in periferia
Caro Franco, ricordo la incomparabile pensione vicino al Quirinale. Era il mio riferimento romano, prima di avere un appartamento. Comoda ed economica, malgrado la bellissima location. E anche alcuni piacevoli viaggi a Roma insieme ricordo. Il Premio Sassoferrato? Ne avrei fatto un gioiellino, una perla nel grossolano panorama artistico italiano. Ma Padre Stefano, e lo capisco, voleva gestire per sé il piccolo giocattolo che aveva creato. E preferiva accontentare i suoi amici marchigiani e non, anzi ché lasciare spazio ai più promettenti artisti italiani del tempo. Felici di poter esporre a Sassoferrato. Come lo furono Marotta e Schifano. Ma che avrebbero messo in ombra il santo frate ideatore del premio.
A te invece complimenti per il tuo lavoro e per la costanza di portarlo avanti, malgrado le difficoltà che hai incontrato vivendo a Fabriano. Una buona galleria, in questo momento di riscoperta degli anni ’60, farebbe la sua fortuna se si occupasse del tuo lavoro. Ma l’emarginazione in arte esiste e come. E’ il vivere in periferia. Dove però avete l’aria buona e una alimentazione sana. E’ già molto, credimi, se penso alla vita di molti artisti sofferenti che vivono a Milano o Roma.

Roberto BolzoniCaro Politi,
Ho letto con molto, molto piacere la Sue parole sul grande E. Pound che ho anche, con altrettanto piacere segnalato alla figlia, altrettanto grande traduttrice ed ottima poetessa, Mary De Rachewiltz. Avendo poi io lavorato a lungo per l'Usis di Roma, mi hanno inorgoglito le Sue parole su un'istituzione il cui ruolo è spesso denigrato a covo di spie... bravo, continui a deliziarci con i Suoi ricordi. Roberto Bolzoni

Pound? Il Dante Alighieri del nostro tempo
Ho conosciuto Ezra Pound, il più grande poeta del secolo scorso, a Spoleto, nel 1964 in occasione della presentazione del suo melodramma Le Testament, su parole di Villon, al Festival dei due Mondi. Parlai a lungo con il grande poeta, ma era già un vecchietto che non aveva più nulla dell’arrogante e impavido giovane fascista che incontrò Mussolini per illustrargli la sua via all’economia perfetta: cioè di non far pagare le tasse agli italiani. E che Mussolini non ascoltò. Ma io non sono in grado di giudicare se la sua teoria di tassare il denaro nel momento della sua emissione sia attendibile o no. Certo però che è affascinante. Niente tasse per tutti e nessuna evasione. Chi non lo vorrebbe. Parliamone a Di Maio e Salvini. E magari anche al ministro Savona. Ma per la sua partecipazione (di Pound) a Radio Londra in cui esortava i militari angloamericani a disertare, nel dopoguerra fu rinchiuso in una gabbia a Pisa e poi internato per tredici anni in un manicomio criminale negli Usa. Chi, dopo tale esperienza non sarebbe impazzito? Invece lui tranquillo. in Piazza del Duomo a Spoleto, mi parlava ancora di poesia. Poco della sua e molto di quella del suo amico e collega Thomas S. Eliot, affermando che La terra desolata (The Waste Land) era la più bella opera del ‘900. Mentre noi sappiamo che i suoi Cantos, da molti sono considerati La Divina Commedia del nostro tempo.

Stefano Pasquini
Grazie Giancarlo per questo Amarcord sul Pecci, di cui non conoscevo le origini per motivi generazionali. Mi pare però che tu abbia dimenticato di menzionare Fabio Cavallucci, che, con tutti i suoi difetti, ha comunque portato 65mila persone a visitare la prima mostra dopo la riapertura: "La fine del mondo". Questi numeri mi sono parsi straordinari, in un momento in cui l'arte contemporanea sembra non interessare più nemmeno gli addetti ai lavori. Grazie ancora per le tue preziose memorie.
Stefano

Oggi più curatori che artisti
Fabio Cavallucci ha fatto un lavoro egregio. Ma come tutti i curatori di oggi, ci ha imposto una sua idea, in questo caso apocalittica, dell’arte. Io avrei preferito vedere tanti bravi artisti di oggi, di cui stiamo perdendo le tracce. A causa proprio dei curatori d’assalto, ormai più numerosi degli artisti. E per vedere qualche bravo artista, dobbiamo andare nelle gallerie private. Ma soprattutto alle Fiere d’arte, in particolare alla Fiera di Basilea, dove lì, veramente incontriamo tutti, bravi e no e possiamo scegliere. E non vederci sempre imposte le cervellotiche scelte altrui. Come nelle Biennali di Venezia, Documenta o Manifesta. E spesso anche nei musei.

Antonio Carbone
Caro Giancarlo ,
Anche questi ultimi Amarcord sono interessanti, istruttivi e trasudano tutta la tua passione e competenza dell'arte contemporanea .Offrono una visione autentica e soprattutto completa della storia artistica di questi decenni. Non solo quella patinata ed ufficiale. Ciò ovviamente vale ,almeno, per quelle storie e situazioni che ti hanno visto attivamente presente. Giustamente manca il "sentito dire" che spesso distorce la verità. Ma soprattutto apprezzo il linguaggio chiaro, esplicito, colto ma comprensibile. E su questo aspetto, come lettore assiduo di Flash Art, vogli porti la domanda: perché alcuni articoli della tua prestigiosa rivista non sempre rispecchiano questo stile??? A mio modestissimo avviso ne guadagnerebbe in efficacia, la comunicazione artistica. A beneficio di tutti. In attesa del prossimo, cordiali saluti.
Antonio Carbone

Il critichese imperversa ancora
Caro Antonio,
Flash Art nacque per proporre una informazione chiara a tutti sull’arte. Ma fui subito tacciato, dai critici paludati, che esistono ancora, di semplicismo. Così il critichese ebbe il sopravvento anche in Flash Art perché non trovavo nessuno che sapesse (o volesse) scrivere (a parte Piero Gilardi) in modo chiaro e comprensibile. Alcuni, i più intelligenti, mi dicevano: se togli i veli all’arte cade tutta l’impalcatura. Ho preferito non far cadere l’impalcatura.

Manuela Bedeschi
Gentile sig. Politi, ricevo con grande godimento i suoi Amarcord su un indirizzo in estinzione, potrebbe cortesemente prendere nota di questo nuovo? 
manuelabedeschi@bedeschimanuela.com 
Aggiungo i miei personali complimenti ai tanti che riceve sperando che dia seguito in futuro alla raccolta di tutto il materiale in un volume che sarebbe molto bello rileggere. È veramente interessante vivere con i suoi puntuali ricordi tanti incontri che diventano anche nostri grazie al suo raccontare che ha la rara qualità della chiarezza. Cordialità, Manuela Bedeschi

Gaia Dellera Ferrario
Gent.mo Giancarlo,
sono una sua appassionata lettrice, amante, nonchè talvolta praticante, dell'arte.
Sono giorni che rifletto su quanto sia opportuno inviarle questa richiesta e alla fine, in punta di piedi, mi permetto di farlo. Purtroppo ho smarrito, non so come, alcune puntate dei suoi 'amarcord' e mi chiedo se ci fosse modo di riceverli nuovamente. I numeri sono: 7; 9; 10; 12 Li colleziono con il gusto di avere qualcosa di unico da tramandare nel tempo, spero pertanto di non disturbarla eccessivamente con questa mia.
La ringrazio in ogni caso, per la generosità che esprime nel divulgare, senza tanti cerimoniali, queste "chicche" dal valore inestimabile
Cordiali saluti. Gaia Dallera Ferrario

Tutti gli Amarcord su www.flashartonline.it
Dico ancora a lei e a tutti. Tutti gli Amarcord si possono leggere su www.flashartonline.it

Bruno Ceccobelli
Caro Giancarlo, 
grazie dei tuoi ricordi e che mi fa piacere riceverli....
Saluti da Todi. Tuo conterreaneo Bruno Ceccobelli 
P.S. Pittore di campagna, di campagne e di compagni, 
pittore che campa e non si lagna!

Le mie partite di calcio a Todi
Caro Bruno, che invidia la tua tranquilla vita di pittore di campagna, a Todi, città bellissima anche se oggi forse un po’ rumorosa. Ma la tua bravura ha sempre superato monti, campagne e città. Peccato che il mondo dell’arte a volte è così distratto e superficiale. Ma io ti seguo come posso, ammirando (e invidiando) i tuoi baldi giovani sempre vicini ai tuoi progetti e in attesa che ti facciano diventare nonno.
Ho indimenticabili ricordi giovanili di Todi. E delle molteplici estati trascorse a Ponterio, vicino alla stazione, correndo sulle pietre levigate dei ruscelli circostanti e le interminabili partite di pallone nel campo di grano appena falciato. Partite che iniziavano all’alba e terminavano al tramonto. Sudate immani, ma felicità immensa.

Caterina Gualco
Belle anche queste tue comunicazioni estemporanee! Buona Versilia.
Caterina Gualco

Estemporaneo è contemporaneo
Caterina, si è sempre estemporanei, anche quando si pensa di non esserlo. E per me estemporaneo è sinonimo di contemporaneo.

Francesca Cursi e Dino Formaggio
Desideravo ringraziarla per i suoi Amarcord di cui ho ricevuto i seguenti numeri 12/13/14/15/16/17/18/19 manca/20 e desidererei sapere quali mi mancano in tutto. Uscirà un libro che potrei regalare agli amici che poco sanno dell'arte moderna e contemporanea. Quello che mi pare mancante riguarda l'arte del nord est o è prossimo il testo ? Io mi occupo di Arte del 900 da sempre e sono ormai di una certa età. Ero allieva del filosofo Dino Formaggio di cui l'Università statale di Milano ne farà a 10 anni dalla morte una serie di eventi.Il suo Amarcord mi ha spinto a scrivere il Mio Dino (Formaggio) in ricordo ed onore. Grazie con stima e simpatia. Francesca Cursi

Dino Formaggio e gli studi di estetica
Grazie per avermi ricordato il grande Dino Formaggio, di cui sono stato estimatore e lettore curioso. I suoi studi sull’estetica furono per me fondamentali. Se ha scritto qualcosa su di lui me lo mandi che lo leggerò volentieri.

Gianmaria Giorgi
Grazie a te Giancarlo! Sei sempre attento e raffinato. 
Gianmaria Giorgi


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Via Carlo Farini 68, 
20159, Milano 
+39 02 688 7341

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