martedì 24 luglio 2018

Amarcord 10 Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi

Amarcord 10
Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie
di Giancarlo Politi
per intervenire, controbattere o esprimere una propria opinione scrivere a
giancarlo@flashartonline.com


Giancarlo Politi e Helena Kontova, a casa di Ben Vautier. 1977 
Fluxus
Tutti (quasi) sanno cosa è Fluxus. Perché sotto il nome e l’egida di Fluxus sono passate molte cose, talvolta le più svariate e lontane dallo spirito vero di Fluxus. In realtà si tratta di un movimento artistico trasgressivo ma anche ludico che imperversò nel mondo dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’70. Ufficialmente il fondatore è stato George Maciunas, nel 1961, ma suoi precedenti si possono rintracciare già in John Cage negli anni ’50 con la sua musica indeterminata e se vogliamo essere degli storici pignoli, addirittura nel gruppo Anti Arte, del 1916, fondato da Marcel Duchamp con Francis Picabia e Man Ray. Dalle loro idee si è sviluppato tutto il filone dell’arte contemporanea che poi andrà sotto il nome di New Dada, cioè Fluxus, Happening, Nouveau Realisme, Performance art, Body Art, ecc. In Italia Fluxus ha avuto molteplici facce, spesso goliardiche e soprattutto tardive. Il solo conoscitore e studioso serio che abbiamo in Italia, oltre a Germano Celant, è Gianni Emilio Simonetti, lui stesso protagonista di alcuni eventi storici di Fluxus. Come anche Giuseppe Chiari. Io, insieme a Gino Di Maggio, fummo tra i primissimi (non osiamo dire i primi) in Italia, ad interessarci di Fluxus. Fu a New York, forse nel 1971, allorché con Gino Di Maggio ci mettemmo alla ricerca delle radici e dei reduci di Fluxus. Decidemmo anche di ristampare (pochi lo sanno) la rivista CCV tre, organo ufficiale di Fluxus e diretto da Georges Maciunas e Georges Brecht di cui uscirono solo dieci numeri (le rare copie in giro per l’Italia sono Edizioni Flash Art): per questo decidemmo di incontrare Georges Maciunas.
 
Georges Maciunas, l’igienista paranoico
George Maciunas era un igienista paranoico. Prima di farmi entrare in casa mi faceva togliere le scarpe e appendere la mia giacca all’ingresso. Se avesse potuto mi avrebbe fatto denudare e spruzzarmi con l’acido solforico. In realtà era molto gentile e premuroso anche se un po’ maniacale. Mi offrì subito un frullato di banana con rosso di uovo. E credo zucchero di canna perché buonissimo e dolcissimo. Io pensavo trattarsi di un aperitivo ma poiché mi trattenni a lungo perché stavamo parlando della ristampa della storica rivista Fluxus, CCV tre, per cena mi offrì il medesimo frullato. Io ero giovane e abituato a tutte le ginnastiche alimentari che andavano dal digiuno assoluto all’invitante ginocchio di manzo, piatto fisso con Alviani a Colonia, per cui non mi spaventai, anzi questa nuova esperienza igienista mi affascinava. Ma il bello arrivò il giorno dopo, quando Maciunas mi invitò a dormire da lui (pare che fosse una prassi tra gli artisti Fluxus ospitarsi, perché poi avvenne la stessa cosa con Georges Brecht a Colonia e Ben Vautier a Nizza). Per risparmiare sull’albergo accettai senza immaginare che lui viveva esclusivamente di frullato di banana, zucchero di canna e tuorlo d’uovo. A pensarci può essere divertente ma a viverla, questa dieta diventa una mania disgustosa. Lui sosteneva che era una perfetta dieta anticancro, da cui era ossessionato. Io accettai volentieri l’ospitalità ma ogni tanto chiedevo di uscire a fumare una sigaretta. Per lui il fumo della sigaretta era gas nervino, per cui non si opponeva mai. Ma appena uscito mi precipitavo in una bancarella e mi facevo due würstel con tanta, tanta mostarda come antitesi alla dieta anticancro del fondatore di Fluxus e soprattutto il disgustoso sapore dello zabaione con banana. Per il resto tutto filò liscio e lui mi parlava dettagliatamente dei famosi festival Fluxus che stava organizzando in Germania ma sognando anche la creazione di numerosi negozietti denominati Fluxhall, che aveva già creato a New York e dove vendeva magliette, cappellini, bicchieri e tazze sempre Fluxus, oltre a numerosi multipli di Ben Vautier, dello stesso Maciunas e di tutti gli artisti del gruppo, ben felici di sbizzarrirsi in multipli e calembours. Georges sognava una catena di Fluxhall in tutto il mondo e me ne parlava con occhi umidi di commozione.

Flash Art ristampa CCV tre, l’organo ufficiale di Fluxus
Georges Maciunas, il padre di Fluxus, l’igienista maniacale e integerrimo, mori di cancro qualche anno dopo il nostro incontro, in un ospedale di Boston. Da New York io e Gino Di Maggio ci portammo dietro molte idee e infatuazioni Fluxus. Io ristampai per le edizioni di Flash Art la loro rivista CCV tre in ventimila copie con la certezza di arricchirmi, pensando che tutti si sarebbero precipitati ad acquistare una rivista storica introvabile. Invece ne avrò vendute cento copie in tutto il mondo, con una perdita copiosa sulla stampa  e distribuzione. Per fortuna intervenne Gino Di Maggio a salvarmi. Il quale invece riportò da New York le idee e i contatti per alcune stagioni di mostre dedicate a Fluxus. E debbo dire che le sole mostre di qualità su Fluxus in Italia (nel mondo?) furono quelle della galleria Multipla di Gino Di Maggio, in Piazza Martini a Milano. Straordinarie furono le mostre di Wolf Vostell, con una piscina permanente dove galleggiavano i famosi televisori con i consueti “ disastri”; la mostra con sculture in marmo di Carrara di George Brecht (dove mai potervano permettersi il marmo gli artisti Fluxus, abituati alle nozze con i fichi), bellisime mostre di Giuseppe Chiari e Ben Vautier. Tutto o quasi il resto che avvenne in Italia, sotto l’ombrello Fluxus fu una goliardata che finiva sempre in grandi cene en plain air.

Francesco Conz, una vita per Fluxus

Il famoso collezionista Francesco Conz, di Cittadella e poi di Asolo, sino ad allora piccolo fabbricante  di mobili in Veneto, conobbe Fluxus grazie ad un nostro viaggio in macchina insieme (io, lui, Di Maggio e forse Bonito Oliva) a Berlino nel 1972. dove assistemmo ad una Straordinaria performance di Ben Vautier e dove incontrò anche Wolf Vostell e credo Gunther Brus. Da quel momento Francesco Conz divenne uno straordinario profeta e divulgatore di Fluxus, punto di riferimento costante del gruppo, creando una enorme collezione (anche di cose inutili) passando in molti casi dalla genialaità alla maniacalità. 
A me ha sempre impressionato il decisionismo austro ungarico di Francesco: in un colpo chiude o vende la sua piccola fabbrica di mobili, abbandona moglie e figli per diventare l’apostolo e il profeta di Fluxus. E di Fluxus diventa il grande padre e per lui tutto diventa Fluxus, specialmente la sua vita, dedicata, senza riposo e senza limitazioni a questo movimento e a tutti i suoi componenti, specialmente più deboli. 
Anche io vivevo intensamente l’esperienza Fluxus, attraverso l’amicizia proficua con Ben Vautier, Robert Filliou, Wolf Vostell e sopratutto George Brecht, il vero grande artista Fluxus, il solo erede di Marcel Duchamp. Con lui, ospite a casa sua a Colonia, si parlava tanto e di tutto, mentre in genere lui sempre molto parco, molto english. In lui (né in Vostell) l’arte non si è mai ridotta a puro gioco ma ad una drammaticità esistenziale che ne caratterizzò i contenuti.
Georges Brecht mi raccontava di lui e mi disse che era un chimico e aveva lavorato presso la Johnson & Johnson negli Usa dove aveva ideato il Tampax che presto divenne famoso nel mondo. Non ho mai capito se fosse vero o una battuta Fluxus. Ma lui ne parlava con grande serietà assumendosi il merito di questa scoperta che ha modificato in parte la vita delle donne.


Georges Brecht, il vero erede di Duchamp

Georges era un accanito lettore di Sanantonio, un giallo (noir) francese di Frederic Dard, di grande successo internazionale del momento e di cui mi trasmise la passione che mi ha accompagnato per decenni aiutandomi a vincere l’insonnia. Sino a quando non ho scoperto SAS di Gerard de Villière, sempre francese, a cui debbo la mia salvezza dagli incubi notturni. Altro grande artista, che io ritengo più importante di Piero Manzoni (il cui lavoro è basato su una idea? Forse due) è Ben Vautier, abbondantemente sottovalutato. Ma Ben è stato un artista geniale che l’indifferenza e la stupidità hanno ridotto ad un clown. Ma Ben, soprattutto agli inizi, è stato uno stupefacente sperimentatore, più originale e complesso di Yves Klein. Ma questa è la vita. Anzi la Storia. In quegli anni 70 (1977/78/79) io e Helena eravamo spesso a Nizza, che in estate diventava una vivace arena di dibattito culturale. Ogni sera sulla collina di Nizza, da Ben, accorrevano artisti, critici, collezionisti. Ben era un grande animatore di dibattiti sui temi di attualità più roventi. Veniva sempre anche Leo Castelli che possedeva una modesta casetta sulla Costa Azzurra (la sua sola proprietà, teneva a puntualizzare), poco distante da Ben. Di cui era amico ed estimatore e di cui realizzò una o due mostre a New York. Erano di casa anche Louis Cane e Bernar Venet, oltre a tutti gli artisti residenti o arrivati sulla Costa Azzurra, da Arman a Viallat, dal gallerista Sapone al fotografo Ferrero. Da Berlino arrivava anche Dorothea Jannone e suo marito Dieter Roth.
 
Una sera a cena da Ben Vautier 
La nostra frequentazione con Ben e sua moglie Annie era assidua. Spesso ci chiedevano di restare a pranzo e una volta ci vollero loro ospiti. Gentilissimi e disponibili ma un po’ hippy. In casa avevano un grosso cane, Abrà, con le orecchie cadenti e la lingua sempre penzoloni, che spalmava la bava ovunque. Ben e Annie, come tutti gli amanti dei cani, lo accarezzavano e lo abbracciavano come un figlio,  impregnandosi di bava di Abrà. E ridendo felicemente. Le loro mani, con cui manipolavano la pasta e altro cibo, erano bianche di bava. Io e Helena non so come abbiamo fatto a resistere una notte, tra l'altro con l’odore di piscio dei gatti che ci narcotizzava. La mattina, appena fatto giorno, siamo scappati a respirare l’aria buona della Corniche. Ma la sera tornavamo felicemente da Ben per i dibattiti e per giocare a Ping pong, di cui ai tempi ero un appassionato cultore. Robert Filliou, che abitava a pochi chilometri, era un personaggio molto ironico, per lui non esisteva alcuna soglia tra realtà e fantasia. Era simpatico ma anche inquietante parlare con una persona in cui l’ironia si era appropriata della realtà. Non capivi mai cosa volesse dire. Ripeteva spesso: Je suis un con (idiota), j’aime les cons. Anche se era un linguaggio tipico fluxus, non ho mai saputo cosa volesse comunicarmi. Wolf Vostell si portava dentro la tragedia del Terzo Reich. E viveva in famiglia e nel lavoro una drammaticità primordiale. La tragedia e il disastro incombevano sempre  nella sua opera. Ma sul lavoro esprimeva tutte le sue energie, per questo è morto giovane. Per lui non esisteva la pausa o il riposo o la gioia di vivere. Debbo lavorare mi diceva, quando morirà voglio prendere io il posto di Beuys. Beuys di undici anni più anziano di lui, era la sua ossessione. Famoso e riverito, l’artista nazionale, faceva impazzire Vostell che si sentiva più bravo ma poco riconosciuto nel suo paese. Per questo, per il suo odio al passato recente tedesco, fondò un suo Museo in Spagna, a Malpartida de Caceres, che non so dove sia, forse una balena bianca nel deserto, ma che mi sarebbe piaciuto visitare. E sposò pure una donna spagnola, Mercedes, devota all’uomo tedesco e alla sua arte come una ancella romana. A partire dagli anni ’80, gradualmente il momento di euforia di Fluxus si appannò e sul movimento calò un cono d’ombra, con qualche sprazzo rivitalizzante isolato e a volte amatoriale. Ci sarò un’anima illuminata (in Italia e fuori), un nuovo Germano Celant, che vorrà riprendere in mano questa matassa da sbrogliare e rileggere Fluxus nella luce giusta? Me lo auguro, perché sarebbe un vero genocidio che un movimento così radicale e per molti versi originale, non resti solo una goliardata. 
Contributi
Giacinto di Pietrantonio
Ciao Giancarlo,
Io ricordo che in quell'occasione, o la volta successiva, andammo a casa di Jeff Koons, dove ci parlò della sua dieta e aprendo il frigorifero ci mostrò tutta una serie di succhi frullati e una tabella della dieta che doveva seguire, proprio perché stava lavorando all'opera con Cicciolina. Rimanemmo un'ora con lui e ci parlò già allora del lavoro Made in Heaven che stava facendo con Cicciolina, ci mostrò anche delle fotografie.
Ti ricordi che alle pareti del suo appartamento aveva un grande e bellissimo quadro di Martin Kippenberger? 
Poi ci mandò gentilmente via, perché arrivava il suo trainer.
Giacinto

Caro Giacinto, grazie per il tuo contributo e per la tua memoria sottile e complementare alla mia. Ricordo le diete vomitevoli di Jeff, la sua grande determinazione nel sottoporsi a quelle discipline ferree pur di apparire nell’opera con Cicciolina in forma, bello e potente come una divinità greca. E credo ci riuscì. Non ricordo invece il Kippenberger a cui accenni. Lo ricorda però benissimo Helena. Strani scherzi della memoria. Caro Giacinto, all’epoca avremmo dovuto effettuare più viaggi insieme. Ne avremmo guadagnato entrambi. Anche per i miei Amarcord. Perché a parte un viaggio a Colonia (ma perché? Chi incontrammo?) in cuccetta con Corrado Levi, non ricordo altri viaggi con te all’estero. Invece qualcuno interessante a Roma.


Gianluigi Colin
Carissimo Giancarlo, sei un grandissimo. Siano davvero felici di leggerti: le tue parole ci conducono con ironia e felicità nella scoperta di meravigliose storie dell’arte contemporanea. Grazie alle tue parole le tue avventure diventano le nostre e quindi… grazie! Un bacione a Helena. Brigitte e Gianluigi

Caro Gianluigi, con il trascorrere degli anni gli incontri e le storie si ammantano di polvere ma anche di fascino. A riscoprirli hanno un sapore diverso da come li hai vissuti. Con il rimpianto a volte di non averli assaporati abbastanza. 
 
Antonella Laganà
Grazie !

Leggo i suoi ricordi come se avessi fame o sete…e lei mi desse acqua e pane.
Chi oggi fa vivere la vera Arte come lei?
Oggi è solo un business che inganna sia operatori ingenui illudendoli, che fruitori, che di fronte a questo scempio...non credono piu'nell' Arte.
Grazie ancora di questo suo messaggio che riesce a ricondurre sui veri binari della creazione testimoniando il percorso dei pochi ma veri artisti che hanno saputo infiammare il palcoscenico del mondo.
Caramente, Antonella Lagana'

Antonella, non esageriamo!  Grazie alla mia età sono solo un compagno di viaggio di molte persone e tanti eventi. Che cerco di ricordare attraverso ciò che è rimasto nella mia memoria. 

Luisa Laureati
Come spesso i vecchi ho molti rimpianti, anche se penso di aver avuto una vita al di sopra dei meriti. Ora leggendo  questo Amarcord 9 a Salve nel pizzo estremo del Salento mi chiedo con appunto rimpianti, ma io dove stavo, allora? Se avessi voglia mi piacerebbe trovarti. Luisa Laureati


Cara Luisa, goditi il tuo bellissimo Salento che conosco poco. Ma di cui sento parlare tanto. Io sono in Versilia per alcuni giorni in attesa di sfuggire questa calura e questa luce accecante, rifugiandomi a Praga. Dove l’aria sembra di altura e la temperatura mite. E non c’è bisogno di portare gli occhiali da sole. Dove regna un ordine tedesco amministrato da una mentalità mitteleuropea. A piccole dosi, meglio del caos italiano. Trovarmi? Facile. Milano. Dove sono quasi sempre ad eccezione di due tre soggiorni di relax a Praga. E tra poco spero in una settimana rigeneratrice con il metodo Kneipp, alla Clinica Palatini, a Salzano. Che consiglio a tutti quelli che vogliono stare meglio. I miei numerosi viaggi a New York, Los Angeles, Parigi, Londra, Colonia, sono sostituiti dagli Amarcord. Far viaggiare la fantasia è meno faticoso che far viaggiare un individuo, talvolta stanco. 
 
Angelo Mosca
Giancarlo 
È finita...prima che te lo dice qualcun'altro.
Quel mondo lì non c'è più.
Nessuno ha ancora capito quello che verrà ma quella cosa lì non c'è più.
Con affetto
Angelo

Angelo, è vero, o così sembra, quel mondo non c’è più.  Ma non ci sono più nemmeno i nostri

venti anni. E se il buio che ci circonda fosse colpa dell’età? Quando ero giovane, con 
l’avvento di Fontana, Manzoni, ma anche Dorazio, sembrava che il mondo andasse verso 
l’Apocalisse; così almeno predicava Guttuso e tutto il P.C.I. Ma noi abbiamo acceso altre 
speranze che ci hanno fatto vivere. Chissà che i ventenni di oggi non creino nuovi ideali. 
Io invece sono sconvolto dalla notizia della Organizzazione Mondiale della Sanità che il 
prosciutto, il parmigiano e l’olio di oliva sono dannosi per la salute come le sigarette. Cioè 
cancerogeni. Anche le ultime certezze ci sono state negate. L’ultima certezza che ci resta è
la cocaina? Da oltre cento anni è stato il rifugio di artisti, intellettuali, maitre à penser. 
Significa qualcosa questo?

Simone Berti
Molto molto belli questi Amarcord, in perfetto stile Politiano.
Anche per Flash Art, grazie Giancarlo Politi.
Simone Berti 

Grazie a te Simone Berti


Silvana Turzio
Non solo si leggono d’un fiato e con grande godimento, ma questi lingotti  di ricordi  sono entrati nelle poche cose dell’attesa quotidiana. Ora mi accorgo che guardo l’elenco delle mail aspettando il prossimo. Piccoli e densi testi che ci restituiscono l’energia, la curiosità e il coraggio di quegli anni. E grazie grazie grazie di mandarci questi gioielli.  A quando il libro? 
Silvana Turzio

Cara Silvana, 
Amarcord esce il martedì. Ma presto dovrà andare in vacanza. Tornerò alla fine di agosto. 
Il libro? Dopo averlo scritto. Non posso pubblicare un libro di venti pagine. 


Walter Morando
Egregio Giancarlo Politi seguo il suo Amarcord con curiosità invio due miei lavori, rottame lamiere di nave in demolizione, ceramiche gres e alcune opere del sito: http://web.tiscali.it/waltermorando Buon lavoro  
Walter Morando


Caro Morando, questo spazio è riservato ad Amarcord e suoi dintorni. Non sono qui per giudicare i lavori dei lettori. Come critico d’arte mi reputo un pensionato.

C.P.
Caro Politi,
penso che per l'amico Igino Materazzi, sarebbe un bel regalo dedicargli un Amarcord. Abbiamo fatto un incontro in Toscana per spiegare la sua visione della 'collezione' passando da Lucio Amelio a Eliano Fantuzzi a Shirin Neshat... oppure la rocambolesca vicenda di una delle tre scritte dell'opera "Bar" di Maurizio Cattelan. Lui si definisce collezionista atipico.
Cordialità
C. P.


Caro amico, conosco Igino Materazzi dalla fine anni ‘70, quando lui frequentava la galleria di Ugo Ferranti a Roma e vi acquistava le opere a rate. Poi un paio di volte, fra un treno e l’altro, lui è passato in redazione a salutarmi. E ogni volta che ci incontriamo sono sorrisi e abbracci. Ma le nostre frequentazioni sono state sempre occasionali. Non avrei sufficienti informazioni o aneddoti su di lui. 
Amarcord nasce da un rapporto speciale con un artista, critico, collezionista, gallerista. Una scintilla negativa o positiva, ma che lascia un piccolo segno. E ti assicuro che gli Amarcord affiorano da soli, non nascono da una volontà. Più spesso da un tic. E sono più o meno efficaci a seconda dei personaggi evocati. Il mio interlocutore assente è fondamentale per la buona riuscita.


Marcello Jori
Caro Giancarlo, 
il tuo pezzo su Koons è assolutamente eccitante. Che esperienze epocali tu e Helena avete vissuto... davvero fortunati. Vi abbraccio. 
Marcello Jori


Caro Marcello, grazie. Ma quando scriverò su di te, i lettori e le lettrici entreranno in fibrillazione. Altro che Koons! Quanti personaggi e momenti seminali attraverso te torneranno in vita. Andrea Pazienza, Francesca Alinovi.... e il Saatchi italiano, Giancarlo Tonelli.... e altri e altre! Ne vedremo delle belle. Molto belle.

Mauro Corbani
Caro Giancarlo dei tuoi ”Amarcord” questo su Koons (il 9°) è il più strabiliante…penso apra finestre sconosciute (conoscenza che ci voleva vivaddio) su questo eclettico personaggio invidiatissimo per il suo successo planetario. Wow…che storia la vita e l’ascesa di Jeff Koons. Grazie! Oltre che godibile direi immensamente “nutriente”…un abbraccio…ai prossimi tuoi “ricordi rivelatori”! Cordialmente Mauro.

 
Michelangelo Modica
Buongiorno
come seguito all’articolo riguardo Jeff Koons posso dirle che lo scopo dell’arte non è di piacere a tutti ma di esprimere il proprio mondo interiore come hanno fatto Proust, Cezanne, Beethoven, Leopardi, Chardin e tanti altri che lei conosce sicuramente ma non certo Jeff Koons forse anche lui esprime il suo mondo interiore ma è quello che c’ è sotto la cintura ...sono un pittore e storico dell‘arte. cordialmente
Michelangelo Modica

 
Complimenti al pittore e storico dell’arte Michelangelo Modica. Sentiremo certamente parlare di lui. Le sue idee non possono perdersi nel vuoto.
 
Giuseppe Veneziano
Caro Giancarlo, ho sempre pensato di essere un privilegiato ad avere pranzato o cenato spesso con te, proprio perché ho avuto la possibilità di ascoltare direttamente dalla tua voce i tuoi Amarcord. A quanti mi dicevano: come fai ad andare d’accordo con lui? Rispondevo che era bello stare con te anche solo per ascoltare i tuoi racconti e aneddoti che riguardavano artisti conosciuti personalmente. Questo lo ritenevo un ottimo motivo per mantenere, da parte mia, la nostra amicizia. Chi ha passione per l’arte è avido di conoscere aspetti privati della vita degli artisti, a volte servono più di un saggio ben scritto per comprendere molti aspetti del loro lavoro. Adesso che stai rendendo pubblico tutti i tuoi Amarcord sull’arte, ti leggo con piacere e vivo le stesse emozioni nell’ascoltarti dal vero. 
In attesa del tuo prossimo Amarcord, un caro Saluto. Giuseppe Veneziano

Caro Giuseppe, anche a me tutti dicono ma come fai a frequentare Giuseppe Veneziano? E io rispondo che sei intelligente e curioso e il tuo lavoro molto divertente. Hai buoni occhi e orecchi per saper stuzzicare la curiosità di un pubblico abbastanza digiuno di arte ma che ha voglia di conoscerla. E tu sei il cavallo di Troia di questo pubblico. Li aiuti ad approdare sulle sponde dell’arte. E sono felice del tuo successo commerciale. Oggi pochi come te in Italia hanno la fortuna di avere lo studio vuoto. E credimi, non è privilegio da poco. 
 

lunedì 23 luglio 2018

Amarcord 9/10 Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi

Amarcord 9/10
Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie
di Giancarlo Politi
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Giancarlo Politi ed Helena Kontova presso lo studio di Jeff Koons (1997)
Jeff Koons
Ho incontrato Jeff Koons nel 1986, a New York, in occasione della sua mostra da Ileana Sonnabend. La mostra non mi piacque; anzi, fu un pugno allo stomaco (purtroppo, talvolta, con l’arte che mi colpisce, in negativo o in positivo, ho reazioni fisiche, di dolore o di piacere). Con me c’era ovviamente Helena, ma anche Giacinto di Pietrantonio, che invece apprezzò subito la mostra e cercò di spiegarmela. Io, poco convinto, tornai a vederla tre volte. E Ileana, ma soprattutto Antonio, il suo braccio destro, rimasero stupiti da tanta frequentazione. Gradualmente questi oggetti kitsch iniziarono a entrare in me. Incominciai a capire il cinismo sentimentale di Koons, il suo desiderio di piacere a tutti, ma proprio a tutti, grazie a messaggi e immagini popolari. Lui sapeva – da grande esperto naturale di marketing – che la gente è attratta da ciò che conosce o frequenta. Sapeva che, per entrare nella coscienza del mondo, doveva essere semplice, anche rischiando il kitsch – e qualche processo legale, essendosi lui appropriato di immagini popolari solo apparentemente anonime e che spesso vedevi in tutte le bancarelle di souvenir.

La International with Monument

Prima della mostra alla Sonnabend, avevo visto – ma allora mi passarono inosservate – alcune opere di Koons alla International with Monument, una galleria meteora che cambiò il volto di New York. International with Monument era un’emanazione dell’East Village, nel senso che raccolse tutto il meglio di quella scena, che si stava invece sgonfiando. Aprì nel 1984 ad opera di tre artisti: Kent Klamen, Meyer Vaisman e sua moglie Elizabeth Koury.
Grazie a Vaisman – pare la vera testa della galleria – in questo luogo nacque la Neo Geo, il movimento che comprendeva Ashley Bickerton, Jeff Koons, Peter Halley, Richard Prince e lo stesso Vaisman. La galleria era autofinanziata, ma Leo Castelli mi confessò che numerose gallerie importanti, tra cui lui e la Sonnabend, contribuivano al finanziamento, considerando International with Monument come un loro vivaio. «Meno costoso che esporre artisti sbagliati» mi disse una volta Castelli. Pensate un po’ quale professionalità e lungimiranza girava per New York a quell’epoca! (Chiedete a dieci gallerie italiane di finanziare una giovane e promettente galleria del Bel Paese da cui poi attingere gli artisti… Si metterebbero a ridere. Loro vogliono essere i veri scopritori degli artisti, i protagonisti dello jus primae noctis.) Ma tornerò presto su questo momento storico: troppi ricordi, alcuni intensi e con personaggi quasi dimenticati per non cercare di recuperarli. Come l’eccentrico ma intelligentissimo Colin de Land, o sua moglie, Pat Hearn (che invitò Helena ad organizzare un bellissimo panel per Flash Art con Koons, Haim Steinback, Peter Nagy, Sherrie Levine, Peter Halley e Philip Taaffe nella sua galleria, diventata la più snob dell’East Village).

Jeff a capo del marketing del MoMA

In questo mio viaggio a New York mi ossessionava sempre di più la figura di Koons al punto che mi aveva tolto il sonno. Chiesi allora a Ileana di conoscerlo e Jeff fu lietissimo di invitarci a cena (c’era con noi anche Christopher Wool, sempre in silenzio e che diventò, poco dopo, anche lui una star dell’arte). Allora scoprimmo un personaggio straordinario, intelligente come nessun altro, con una sensibilità verso la cultura contemporanea eccezionale. Koons veniva da Chicago e subito, per sopravvivere, era approdato a Wall Street come broker (non chiedetemi come abbia fatto un giovane che arriva a New York a diventare broker: mi spiace non averglielo mai chiesto. Ma Jeff ha delle qualità naturali sorprendenti). Lavorava in silenzio, ma era non felice di Wall Street. Si presentò, allora, al MoMA offrendosi come direttore marketing: «Vi faccio decuplicare gli introiti se mi offrite la possibilità di coordinare il vostro marketing. Non chiedo un salario, ma una percentuale sulle nuove entrate generate da me». Affascinati dall’idea e conoscendo alcuni risultati ottenuti da Jeff altrove, il MoMA lo mise alla prova e lui ne rivoluzionò il marketing: location a pagamento per eventi speciali, matrimoni a costi altissimi nel giardino delle sculture, merchandising di alta qualità realizzato con la collaborazione di artisti e designer emergenti e distribuito ovunque, serate speciali per collezionisti e ospiti VIP, cene ad altissimo costo per gli invitati che volevamo incontrare l’artista o la star, ecc. Oggi queste cose fanno ridere, ma all’epoca per la più famosa istituzione museale del mondo, con i suoi ritmi e i suoi conformismi, fu una vera rivoluzione. Pochi lo sanno ma la rinascita del MoMA fu soprattutto opera di Jeff Koons. E Jeff Koons, con le sue innovative idee di marketing, guadagnò i suoi primi milioni di dollari.

Jeff e la sua grande autostima

Anche da quasi sconosciuto, Jeff aveva un’alta considerazione di sé. Ricordo che poco tempo dopo quel primo incontro, nel 1987, a Madrid, in occasione di una mostra curata da Dan Cameron (“Art and Its Double”, al CaixaForum) a cui lui era stato invitato, durante la cena, Jeff di fronte a me e accanto Paul Maenz che mi parlava con (troppo?) fervore di Julian Schnabel, lo vedemmo alzarsi in piedi e come un forsennato gridare: «Basta con Julian Schnabel! Il più grande artista sono io! Julian non è nessuno!» Restammo tutti ammutoliti e pensammo che fosse l’esternazione di un pazzo o di un artista frustrato – o di un ubriaco. Invece Jeff sapeva già di essere Koons. Anche se noi poi ci convincemmo che Jeff aveva bevuto troppo (e infatti era alticcio) e io e Paul finimmo per apprezzare il suo coraggio e la sua autoconvinzione. Al punto che Paul gli chiese scusa, affermando che mai di fronte ad un artista si dovrebbe parlare di un altro artista.

Perché non sono diventato ricco

Ma torniamo a New York. Mentre io cercavo di digerire la cena offertaci da Jeff e il colpo allo stomaco ricevuto, lui ci invitò nel suo appartamento, perché non possedeva (lui disse che all’epoca non ne aveva bisogno) uno studio. L’appartamento che sembrava uno studio dentistico. Sopra un tavolo vidi un suo treno in acciaio inossidabile, della serie Luxury and Degradation (1986). Gli chiesi se me lo poteva vendere, sperando io in un prezzo da amico. «Giancarlo», disse lui, «sarei felice se tu comperassi quest’opera. Il suo prezzo? Ecco la fattura del fonditore. Ti chiedo solo di pagarmi le spese.» La fattura era di quarantacinque mila dollari e in quel momento non li possedevo. Ancora rimpiango la mia mancanza di coraggio e la mia poca dimestichezza con il mercato (soprattutto allora) – anche se in quegli anni con quarantacinque mila dollari si potevano acquistare due bilocali in via Farini. Ringraziai Jeff e gli dissi che in quel momento non disponevo di quella cifra. «Peccato», disse lui, «mi sarebbe piaciuto se tu fossi diventato un mio collezionista». E anche a me dispiacque molto. Allora non lo immaginavo, ma persi l’opportunità di diventare ricco. Nel 2014, infatti, quel trenino è stato battuto all’asta per 33.8 milioni di dollari. «Sono molto bravo negli affari», ho pensato, tra me e me, dopo quella vendita.
Comunque, con Jeff fraternizzammo e diventammo amici. In un mio viaggio successivo lo chiamai per incontrarlo. «Mi spiace, Giancarlo, ma in questo momento sono con il mio trainer». Poi mi confessò che era lo stesso trainer di Madonna. Era il periodo in cui doveva farsi fotografare nudo mentre faceva l’amore con Cicciolina e realizzare le famose opere della serie Made in Heaven esposte poi alla Biennale di Venezia nel 1990. Si stava preparando attraverso una dieta particolare e con un tipo di ginnastica speciale. E ottenne risultati sorprendenti, a vedere le opere – sotto tutti i punti di vista. (Eppure il Viagra entrò in uso solo nel 1998!) La sua professionalità comunque è sconcertante, sotto tutti i punti di vista. Mi ricorda quella del calciatore Ronaldo.

Io sono il solo artista eterno

Jeff si compiaceva di dirmi che era l’unico artista eterno, perché le sue opere erano garantite per un perfetto stato di conservazione, per diecimila anni. «Quale altro artista può durare diecimila anni?» mi diceva. I suoi fornitori erano i migliori in assoluto, gli stessi che costruivano le capsule spaziali. E per le opere in legno ricorreva a una ditta dell’Alto Adige, la migliore del mondo, secondo lui.
Quando gli proposi un’intervista venne espressamente da New York a Milano e vi restò un paio di giorni perché non volle trascurare nulla. Insieme riguardammo anche la trascrizione, che per lui andava benissimo. E resta, anche a suo dire, una delle sue migliori interviste mai rilasciate.
Io e Helena lo abbiamo incontrato recentemente a Firenze, e lui davanti a tutti e accanto al sindaco Nardella ha detto: «Flash Art è la rivista che ha contribuito maggiormente al mio successo» – ribadendo l’affermazione subito dopo in un’intervista con Sergio Risaliti. Quale altro artista avrebbe detto questo? Tutti pronti – artisti, critici e collaboratori – a nascondere le tracce, come fanno i gatti con le loro feci…
Quando era a Milano per l’intervista e si apprestava a sposare Ilona Staller, nel salutarmi, mi disse, guardandomi seriamente fisso negli occhi (e facendomi anche un po’ di paura): «Giancarlo, Ilona è l’ultima vergine». Non ho mai capito cosa intendesse, perché me lo disse in modo estremamente serio e senza alcuna ironia, quasi con rabbia. Non osai approfondire l’argomento – che, a ripensarlo, mi incuriosisce ancora: perché certamente Jeff assegnava alla frase un significato metaforico, che io non ho mai scoperto.

Contributi

Maria Gloria Bicocchi
Adoro i tuoi “Amarcord”! Somigliano ai miei!
Un abbraccio,
Maria Gloria 

Perché non mi mandi i tuoi? A me piace leggere le storie di vita vissuta.

Cristiana Cristofori
Buongiorno Giancarlo,
Mentre leggevo il suo articolo di “Amarcord” su Pio Monti mi sembrava di stare lì con voi! Ho conosciuto e veduto Pio in più occasioni, sempre con la sua auto da piazzista ricolma di opere nel bagagliaio. Abito a Foligno, ho lavorato per quattro anni all’ospedale di Spoleto dove lui passava a smerciare le sue cose ed io, che ho molto interesse per la materia, venivo spesso chiamata ad assistere alle accese trattative, che mi riportavano alla mente quelle a cui assistevo da bambina al seguito di mio padre che faceva il commerciante di bestiame. Trovo esista un’incredibile affinità tra questi due tipi di commercio e mi fa sorridere il pensiero che mio padre sarebbe stato, suo malgrado, un bravissimo mercante d’arte!
Un caro saluto,
Cristiana Cristofori

Cara Cristiana, da poeta (immenso e precocissimo) a mercante d’armi: Arthur Rimbaud. E da mercante d’arte il passo è ancora più breve, anzi, forse una predestinazione. Immagino i nostri grandi galleristi internazionali e italiani (non faccio il nome per evitare querele) in Siria o in Libia a trattare con i signori della guerra per vendere un SAM o un missile terra aria. Molto più facile che vendere un Simeti o uno Scanavino.
Pio Monti sarebbe stato un perfetto trafficante d’armi. Lo conosco da quando faceva il rappresentante di commercio nella provincia di Macerata e scambiava con il bottegaio un pacchetto di lame da barba per un salame. Pur di far girare il lavoro. Figurati quale carriera avrebbe fatto sui fronti di guerra. Due carri armati contro un missile terra-aria, un kalashnikov contro due fucili d’assalto. E a qualche illuminato signore della guerra, un De Dominicis per un missile antibalistico.

Maurizio Vitiello
Carissimo Giancarlo,
Seguo con grandissima attenzione i tuoi “Amarcord”, perché sono impastati di meraviglia, di segreti inediti, di pensieri avveduti e rendono l’arte dimensione febbricitante, viatico necessario, sale della vita. Grazie.
Sono ad Ardea, andrò a vedere il Museo Manzú,
Maurizio Vitiello

Franco Lista
Egregio Giancarlo Politi,
Questi pezzi di memoria sono preziosi e bellissimi, affiorano dal passato come una sorta di correlazione di quello che intendevano Hobbes e Vico sul rapporto tra memoria e fantasia. Il rimando, in proposito, va alle straordinarie e penetranti riflessioni del grande Paolo Rossi. Siamo tutti in attesa del prossimo “Amarcord” scritto di getto e con rara efficacia.
Grazie e a presto,
Franco Lista

Caro Franco, non ho mai pensato a Hobbes e Vico. Paolo Rossi, Pablito, il grande goleador? Forse. Ma io racconto semplicemente ciò che mi riaffiora alla memoria di sessant’anni di vita vissuta con l’arte. Con amore e passione

Elena Ceratti
Gentilissimo,
Aspetto sempre con grande interesse i suoi preziosi “Amarcord”, veri gioielli sul mondo dell’arte.
Appartengo a quel mondo della fotografia che solo di recente si è cominciato a considerare arte ed avere la possibilità di “viaggiare” con lei mi piace e mi diverte.
La prego di continuare: leggerla è una delizia. Grazie,
Elena Ceratti

Paolo Iacchetti
Caro Giancarlo, 
leggo anch’io, come tante persone a cui li invii, i tuoi ricordi. Con molto interesse, un interesse emotivo anche.
La prosa mi porta con umanità scabra, diretta e chiara nei contrasti, a percorrere, anzi a ripercorrere storie ed eventi di cui ho saputo, alcuni ho vissuto, in questi anni passati ricchi, ma soprattutto ricchi di trasformazioni sociali. 
L’umanità della tua testimonianza personale sfronda e, come una lampada di Diogene, evidenzia al tratto l’umano dei desideri che, forti, percorrono l’arte. Testimonianza particolare e preziosa. Grazie,
Paolo

Semplici testimonianze e ricordi di chi ha vissuto a lungo con l’arte. Ma non è necessario arrivare alla mia età per raccontare episodi folgoranti ma già dimenticati.

Dario Brevi
Carissimo Giancarlo,
ti ringrazio per questo “Amarcord” dove ricordi anche Inga-Pin per me e per il mio lavoro, è stato e resta l’unico gallerista con cui parlare e discutere profondamente del lavoro. Come Nuovi Futuristi abbiamo naturalmente ricordato Luciano in tutte le ultime mostre che abbiamo fatto. Proprio a Milano, assieme a Renato Barilli, lanciammo l’idea di fare una mostra che ricordasse Luciano e tutto il suo lavoro fondamentale per l’arte di Milano e non solo.
Grazie ancora e buona serata,
Dario Brevi

Alessandro Stucchi
Giancarlo, i tuoi “Amarcord” sono sempre un meraviglioso trampolino per tuffarsi.… e sognare.
A presto e grazie,
Alessandro Stucchi

E (con questo caldo) il naufragar m’è dolce in questo mare. Ma d’inverno cosa faremo?
 

mercoledì 11 luglio 2018

Amarcord 9 Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi

Amarcord 9
Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie


di Giancarlo Politi

per intervenire, controbattere o esprimere una propria opinione scrivere a



Pio Monti e Josef Albers. Fotografia di Giancarlo Politi.
Il primo viaggio a New York con Pio Monti
Se ripenso al mio primo viaggio a New York mi scappa da ridere. Lo desideravo da sempre, forse da ragazzino, quando mio padre, non so come, mi regalò una giacca di pelle (o similpelle?) come quelle dei piloti dei caccia anglo americani (almeno così mi sembrava). Ricordo che, come Alberto Sordi ne Il Vigile, mi guardavo orgoglioso allo specchio e mi sentivo un vero pilota. Immaginavo già l’invidia dei miei coetanei con quella giacca americana e io volavo già sopra le nuvole. Non so perché ma il mito dell’America, per la mia generazione, era fatale. Forse per le interminabili file di camion degli aiuti del Piano Marshall con sacchi di grano che tanto piacquero anche a Burri e che vedevo sfilare davanti alla mia casa, sulla via Flaminia, a Trevi.
Portai quella giacca con molto orgoglio anche se mi pare che ai miei compagni passò inosservata come se non la portassi. E questo fu per me una delusione cocente, eppure io mi sentivo realmente come Sordi nella sua divisa da vigile.
Il mio desiderio di conoscere l’America (e in particolare New York), aumentava con l’età: verso i 17 anni mio padre che faceva il camionista e si recava spesso ad Albano, nelle vicinanze di Roma, dove mi lasciava sul raccordo anulare in prossimità della via Flaminia (e mi riprendeva la sera nel medesimo posto). Poi io un po’in autostop e un po’a piedi riuscivo ad arrivare a Roma, in via Veneto, proprio davanti all’ambasciata americana, dove c’era una bellissima biblioteca dell’USIS (United States Information Service). Pare fosse un’idea della CIA per promuovere una certa immagine dell’America e informare gli italiani sulla sua cultura. Ma sinceramente era una promozione ben fatta. In particolare c’era una rivista di cultura e arte dove vidi per la prima volta un grande contenuto sull’Espressionismo astratto americano, Rothko, Franz Kline, de Kooning, Pollock, che poi rividi nel 1958 alla Galleria Nazionale, nella splendida mostra organizzata da Palma Bucarelli, che alcuni anni dopo espose anche Burri e Manzoni procurando proteste parlamentari sedate da Giulio Andreotti, pare grande ammiratore della bellissima Palma Bucarelli. Dunque già dall’età di 15 anni vivevo con il mito di New York, che però restava un sogno. Invece il mio sogno si concretizzò alcuni anni dopo, nel 1967, grazie all’incontro di Boxe per il titolo mondiale tra Benvenuti e Griffith e alla generosità del mio amico Pio Monti che mi offrì il viaggio. Da Macerata, gli iscritti dell’Aci avevano organizzato un viaggio Roma New York di una settimana, per assistere al match mondiale Benvenuti Griffith, al Madison Square Garden. Costo, mi pare, 170 mila lire (oggi 85 euro), volo e hotel compreso (e forse biglietto per il match, ma che noi ignorammo). Allora non esistevano i voli low cost e questa occasione offertami da un amico mi parve una manna del cielo. Quando atterrammo a New York, mi pare al vecchio aeroporto Fiorello La Guardia, io camminavo a 50 cm da terra (appena atterrato, di nascosto, baciai il suolo americano). Attorno a me presero corpo i fantasmi di Geronimo, di Buffalo Bill, Pecos Bill, il Piccolo Sceriffo, ma soprattutto di Tex Willer che allora usciva in formato orizzontale a strisce. Ma anche l’emozione di mettere i piedi sulla terra dei poeti che amavo, (Walt Whitman, Ezra Pound, T.S. Eliot, Edgar Allan Poe), e di Jackson Pollock, che mi aveva già frastornato in Italia.
Il Cowboy che fuma a Times Square
Un autobus ci portò all’Hotel Piccadilly, proprio sull’angolo con Times Square, con l’immensa immagine pubblicitaria del cowboy dalla cui bocca usciva il fumo della sigaretta Camel. Non potrò mai descrivere quelle emozioni. L’hotel mi sembrò una reggia faraonica, il più bell’albergo del mondo, con i suoi 30-40 o forse 50 piani, immenso e popolato da un via vai colorato e chiassoso, con edicola (Newsstand) aperta 24/24 che vendeva i giornali ma anche generi vari (aspirine, chewing gum, biscotti, panini, cioccolate, ombrelli, cartoline, ecc.). Insomma molto più del Paradiso Terrestre e di quanto avessi appreso dai miei fumetti. Io, in una stanza al ventottesimo piano con Pio Monti, nel cuore di Manhattan, in un letto grande come non avevo mai visto e accanto il fumatore della Camel con il suo grande cappello da cow boy che mi sembrava sempre più Tex Willer. E dalle cartine stabilimmo che il MoMA sulla 52ma era raggiungibile a piedi e così molte gallerie che allora erano attorno al MoMA. Senza nemmeno una doccia e senza aprire le valigie, io e Pio Monti ci precipitammo a visitare Pace Gallery, Sydney Janis, Leo Castelli, Marlborough. Pio che aveva rapporti con Carla Panicali di Marlborough di Roma, volle subito visitare la casa madre di New York. La mostra era una collettiva da cui Pio, come un cane da tartufi, individuò un bel Rothko che decise sarebbe stato suo. Iniziò subito le trattative con il direttore della galleria, che mi pare chiedesse venti mila dollari per quel dipinto, forse 70x100. Ma l’opera era bella e appetibile. Pio Monti, parlando in italiano e l’altro in inglese si accordarono appunto per 20 mila dollari, tirò fuori dalla tasca 100 dollari e li lasciò come caparra, chiedendo che l’opera gli venisse spedita alla Marlborough di Roma. Io, rosso dalla vergogna, guardavo la mostra e facevo finta di non conoscere quell’italiano che voleva comperare un Rothko con 100 dollari. Con mia grande sorpresa i due si strinsero la mano e l’affare sembrava concluso – questo un’ora dopo essere arrivati a New York. Guardammo altre gallerie, in attesa di poter andare l’indomani al MoMA. Tornammo in albergo, per poi mangiare in una bancarella: credo würstel con birra. Ma tutto era estremamente buono e straordinario, l’adrenalina rappresenta una spinta inarrestabile. L’hotel mi appariva lussuoso (mentre quando l’ho rivisto negli anni successivi mi apparve ciò che era, cioè una topaia). La sera a New York mi parve fresca e gradevole, le mille luci di Broadway mi facevano girare la testa e sentire al centro dell’universo. Fu una settimana indimenticabile: visitammo anche la vedova di Ad Reinhardt (Pio voleva comperare un’opera) ma lei, bellissima e ieratica (dopo la morte di Reinherdt divenne la donna dell’Espressionismo astratto newyorchese, compito che esperiva con una grande classe e fierezza sapendo di essere l’amante della Storia), ci rinviò a qualche galleria. Al MoMA io fui preso dalla sindrome di Stendhal, con veri capogiri e mancanza di respiro: le sale dei futuristi italiani che non avevo mai visto in Italia, la Metafisica, il Cubismo, ma soprattutto, nuovo per me, le sale degli espressionisti astratti americani e della Pop Art. Amici, voi non sapete cosa significhi veramente la sindrome di Stendhal da uno che arriva a New York da Trevi. Tutto era bello, fantastico, incredibile ma che ti faceva restare senza fiato. Ma veramente. Anche il cibo (sempre würstel) mi parve ottimo. Inutile dirvi che visitammo tutte le gallerie possibili, anche i numerosi buchetti che stavano nascendo, io per curiosità innata, Pio per cercare qualche artista nuovo.
Albers prendeva la comunione prima di iniziare ogni quadro
Un giorno Pio mi disse che si doveva andare a New Haven, nel Connecticut (a un’ora di treno) a visitare Josef Albers. Pio, senza alcun appuntamento ma avendo saputo che Albers era religiosissimo, sino al punto di fare la comunione prima di iniziare un nuovo quadro, perché ci disse lui stesso che la comunione lo aiutava a ottenere un’opera santa e perfetta. Parole sue, dette davanti a me e Pio Monti, aprile 1967, pronunciate da uno dei più grandi pittori del secolo: Pio che sulla porta si era presentato con un mazzo di fiori per Annie Albers, tirò fuori dalla tasca una bottiglietta con l’etichetta di Acqua Santa benedetta dal Pontefice Paolo VI. Albers si commosse al punto che quasi cadde per terra; poi baciò le mani di Pio, il cui nome gli ricordava Padre Pio di cui il Maestro era devoto. Peccato che la bottiglietta era stata riempita con l’acqua del rubinetto all’Hotel Piccadilly. 
Inutile dire che Josef Albers in quella circostanza (ma anche successivamente) fu molto generoso con Pio Monti che acquistò, mi pare tre quadri, a prezzi veramente modici. In seguito organizzò a Macerata una bellissima mostra di Albers con opere scelte di cui il maestro del quadrato fu molto contento.
Forse dovrò dedicare un altro Amarcord ai miei viaggi incredibili con Pio Monti.
Al ritorno in Italia (io mi portai dietro ricordi, documenti e idee con cui vissi di rendita con Flash Art per alcuni anni: e così avvenne anche in seguito. Un viaggio a New York a comperare idee che erano avanti di cinque anni rispetto all’Europa).
Pio Monti corse dalla Galleria Marlborough e da Carla Panicali a consegnare un assegno postdatato di una settimana per ritirare il Rothko che mise sul bagagliaio della macchina cercando di andare a venderlo al Nord, come diceva lui. Non so dove andò a cercare di vendere il Rothko, ma ricordo, che me lo vidi arrivare a Brescia, dove io in quel momento mi trovavo, disperato perché non aveva venduto l’opera e l’assegno scoperto gli stava scadendo. Gli presentai un illuminato collezionista bresciano, Antonio Spada, che anche su mia intercessione, gli comperò il Rothko, ma al prezzo a cui Pio l’aveva acquistato. Il quale per non mandare in protesto l’assegno, fu felice di cederglielo. Questo e mille altre cose era Pio Monti, di cui gli appassionati d’arte sanno poco. Come di tanti altri protagonisti dell’arte, dimenticati anche da Wikipedia. 

PS. NON SIAMO SU SCHERZI A PARTE
Vorrei precisare una volta per tutte che ciò che racconto sono episodi reali, di vita vissuta in prima persona. Non invento nulla. Semmai trascuro o dimentico qualche dettaglio. Per questo faccio nomi e cognomi di persone incontrate, per eventuali riscontri, anche se molti personaggi incontrati sono ormai scomparsi. In ogni caso vi assicuro che non siamo su “Scherzi a parte”.



Contributi
Paolo Manazza
Bellissimo Giancarlo!!
Le tue fatiche, nel rammentare e disporre in un pezzo i viaggi della tua memoria, rappresentano dei piccoli diamanti.
Per quello che conto, a nome di tutti gli artisti e amanti dell’arte, ti ringrazio.
A presto
Paolo

Grazie Paolo. Con Amarcord vorrei riguardare l’arte che ho vissuto, da un’altra angolazione, quella che i critici paludati guarderebbero schifati. Ma l’arte è fatta di personaggi mistici come Albers, che si comunicava prima di iniziare un’opera e di personaggi maledetti, saberranti, drogati, ma unici. E tutti affascinanti anche se talvolta inquietanti. Penso a Francis Bacon, a Jean Michel Basquiat, o a Rimbaud e Verlaine. L’arte fatta da uomini, non solo da santi. E io con questo Amarcord voglio essere il voyeur dell’arte.
Ma non un dissacratore come alcuni penseranno, bensì un appassionato a tutto tondo. In cui benedizione e maledizione a volte sono una faccia della stessa medaglia.

Marva Griffin Wilshire
Carissimo Giancarlo, leggo sempre i tuoi Amarcord. Ma il nr.5 l’ho riletto tante volte perché conoscevo Dino Gavina e mi ha fatto enorme piacere quello che hai scritto su di lui. Sono molto amica di Silvia, sua figlia, che è molto felice della tua Newsletter. Come stai? Non ti vedo da tanto, dai tempi di Rita e Giorgio Upiglio. Spero di incontrarti presto.
Grazie, mucias gracias. Salutoni Marva

Annalisa Scillitani
Quando uscirà il libro? perché uscirà vero, uno splendido libro che metterà insieme questa affascinante storia dell’arte contemporanea attraverso i ricordi di un grande TESTIMONE e PROTAGONISTA? 
Saluti Cari, Devoti, Distinti, Appassionati, Cordiali, Formali, Affascinati, Grati.
Scelga Lei. annalisa scillitani bibliotecaria e lettrice

Cara Annalisa, spero che il libro uscirà. Anzi ne sono certo. Così mi hanno assicurato Gea e Cristiano. Ma prima mi faccia finire di scriverlo. Per il momento siamo a otto. Dunque il libro può aspettare. Ne scrivo uno alla settimana. Intanto tutti gli Amarcord sono raccolti sul web nel sito: www.flashartonline.it
Non è già quasi un libro? Grazie dell’attenzione. 

Ruggero Maggi
Caro Giancarlo,
mi ha fatto molto piacere leggere il tuo Amarcord su GAC, di cui ero molto amico anch’io.
Lo conoscevo dagli anni Settanta ed abbiamo condiviso molte esperienze tra cui un viaggio in Belgio, dove il “mattatore” era naturalmente Guglielmo con la sua autostoricizzazione. A quella manifestazione io contribuii con un centinaio di maschere raffiguranti GAC che vennero indossate al suo arrivo all’aeroporto di Bruxelles da altrettanti suoi... cloni!
L’anno scorso a Venezia, oltre a Padiglione Tibet, a Palazzo Zenobio ho organizzato anche la prima Biennale di Mail Art il cui ospite d’onore è stato proprio GAC con parte del materiale del mio archivio ed il supporto video e documentazione del figlio Piero.
Tra questi materiali ti informo che ho presentato anche le buste con interventi vari del carteggio intercorso tra te e GAC.
Mentre ti scrivo sta affiorando anche a me un amarcord che riguarda te quando, nel lontano 1976, venni a trovarti alla sede di allora di Flash Art per conoscerti e per accordarci per una pubblicità che poi ho fatto sulle tue testate: Flash Art International e Heute Kunst.
ti abbraccio, un caro saluto.
Ruggero

Antonio Carbone
Caro Giancarlo,
in questa bellissima ed istruttiva tua narrazione, di cui ti sono immensamente grato, forse manca ancora un cadeau: come è nata l’idea e poi la sua realizzazione della rivista Flash Art, e in particolare i suoi primi anni di vita???
Grazie per renderci partecipe dei tuoi ricordi, delle testimonianze sull’arte moderna italiana e internazionale dal dopoguerra ad oggi,
Un saluto. Antonio Carbone.

Antonio, dammi un po’ di tempo. Tutto affiorerà in superficie. Tutto ciò che mi appartiene e ricorderò. Saprai anche come e quando e dove e perché nacque Flash Art.

Giampaolo di Cocco
Gentile Signor Giancarlo Politi, leggo con vero diletto i suoi Amarcord, sono scritti con gusto e rendono con una naturale evidenza la vitalità degli episodi che racconta. Mi chiamo Giampaolo di Cocco, sono artista tra Firenze e Berlino, forse anche a causa del mio nome che molti ritengono, sia pure a torto, meridional-mafioso mi trovo ad essere molto isolato. Non posso certo vantare le sue numerose e importanti conoscenze, tuttavia sono stato amico di Gillo Dorfles dal 1982 fino a quando è venuto a mancare, così anche di Omar Calabrese e di Giuseppe Pontiggia, tutti grandi uomini e grandi amici che hanno l’unico torto di non esserci più. Così a 71 anni errabondo in solitudine tra la mia casa di Firenze e una grande ex fattoria che ho comprato nel Brandenburgo adattandola a studio- show room senza trovare grandi occasioni di lavoro. Non posso pagarle una prima classe come Cavellini ma se volesse venire a Berlino potrei offrirle un viaggio aereo tipo Ryan Air che se prenotato per tempo costa il giusto, oltre naturalmente l’ospitalità in fattoria. Nella mia modestia credo di aver prodotto un lavoro interessante soprattutto nel rapporto arte-architettura e credo che ancora non lo abbia capito nessuno, dato anche che non è facilissimo, per cui ho bisogno di una mano; sono convinto di avere svolto una attività utile alla vivibilità delle nostre città dovrei convincere però di questo fatto politici ed operatori in modo da poter continuare. Se vuole può dare una occhiata al sito www.giampaolodicocco.com non è un gran che ed è un po’ vecchiotto, da guardare soprattutto le “installations”, ho però sistemato in giro per l'Italia e non solo varie installazioni permanenti che vale la pena di osservare dal vero. Conto insomma sulla sua curiosità e sulla sua capacità di interpretazione e spero di averla interessata, almeno un po' e che la famosa mano magari me la possa dare lei.
Un caro saluto, grazie per i gustosissimi Amarcord, Giampaolo di Cocco.

Caro amico, non sono ricco, ma un viaggio a Berlino potrei permettermelo. Senza troppi sacrifici. L’equivalente di un pranzo da Rigolo qui a Milano. Purtroppo viaggio sempre di meno, (solo la Versilia, Praga e poco altro). Non mi occupo più di Flash Art e spesso mi piace ricordare. Forse un pensionato dell’arte che vive di ricordi?

Pietro Sergio Mauri
Gentile Giancarlo Politi,
non ci conosciamo personalmente, io  conosco la sua notorietà.
Grazie per il gradito ricevimento delle Sue “Amarcord”, sembra viverLe insieme ed offre il clima culturale e personale di tempi artisticamente vivaci.
Con stima e viva cordialità  pietro sergio mauri

Giancarlo Nucci
Gentile Giancarlo Politi, ti ringrazio per i tuoi preziosi testi storici che completano un mosaico della dimensione arte.
Seguo con molta attenzione il tuo percorso e conosco la tua presenza dagli anni Settanta. Ti ho incontrato durante alcune mostre tipo Palazzo del ghiaccio Milano, ma non sono mai riuscito ad incontrarti per uno scambio di idee. Intanto grazie per il seguito che dai alle tue relazioni con il mondo dell’arte. Non ho ricevuto il numero 6, ti ringrazio in anticipo, attendo tuo invio. Con stima per il tuo impegno.
Giancarlo Nucci pittore

Potrà trovare tutti gli Amarcord su www.flashartonline.it. Grazie.

Maribea
Grazie
I suoi ricordi, i suoi pezzi di storia sono così veri che mi commuovono... sono una bellissima lettura
Maribea

Vittorio Pannone
STAI RIATTIVANDO LA VITA.

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