Rassegna Internazionale dell’Acqua-La “Chiena”: Le Porte dell’Arte, Le Porte dell’Acqua (una situazione per uscire dall’isolamento artistico-culturale, tra occupazione, riflessione, provocazione, trasgressione, recupero, ricerca e continuità)
Angelo Riviello Moscato, aprile 2004
Riveduto e corretto nel 2007
Mi viene da dire, come dichiarò una volta, Achille Bonito Oliva, debuttando in un convegno sul tema (mi pare)“Arte Contemporanea nel bacino del Mediterraneo”, al Museo d’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato, del 1988: “...io sono il fautore e il teorico della Transavanguardia...”. Chiaramente, se non avesse avuto gli sponsor, riferimenti precisi e stima profonda nel mondo dell’arte in qualità di “critico militare”, come amava definirsi, e come alleati, soprattutto gli artisti, suoi collaboratori, bravi ad esprimere e a rendere visibile, soprattutto attraverso il recupero di una manualità come la pittura, la sua teoria, il suo pensiero, la sua idea progettuale (alcuni dicono la sua scommessa), sarebbe stata per lui, solo una teoria...un desiderio represso…da realizzare...un’utopia...una scommessa né persa e né vinta: una scommessa mancata! Anche lui non sarebbe passato alla Storia, ma alla Geografia (tanto per citare una sua provocatoria, ironica e felice dichiarazione, rivolta a quei critici d’arte, che non allineandosi con lui, forse vittime di una gelosia nei suoi confronti, fino a renderli “impotenti”, non sapevano fare altro che “criticarlo”, in modo patetico, senza la forza e l’”inventiva” di differenziarsi creando un progetto alternativo). Grazie alla sua genialità, intelligenza, intraprendenza e convinzione, però, che gli sponsor, i riferimenti precisi nel mondo del sistema dell’arte e gli artisti, che collaborarono, vinsero la scommessa, con un ritorno di immagine all’insegna di un successo globale clamoroso, conquistando finanche gli Stati Uniti d’America (trasformandosi da Transavanguardia Nazionale a Internazionale), che fino ad allora, dagli anni 50 in poi, con l’Action Painting, e poi negli anni 70 con la Minimal Art, la Land Art (o Arte Ecologica), l’ Arte Concettuale, ma sopratutto con la Pop Art negli anni 60 (grazie al ricco collezionismo privato statunitense nei confronti di una ricerca artistica di punta, nata dalle radici delle avanguardie storiche europee, rappresentate da una buona parte di una prima ondata di artisti che per sfuggire alla 1^ guerra mondiale e poi alla persecuzione nazista, prima della 2^ guerra mondiale, dopo essere stati definiti “degenerati” dal regime hitleriano, si rifugiarono negli U.S.A, tanto da trasferire la denominazione di capitale dell’arte contemporanea, dalla mitica Parigi a New York), esercitavano anche nel mondo dell’arte, una politica di “imperialismo culturale”, e l’Europa, riusciva solo ad esprimere singole personalità, come Lucio Fontana, Alberto Burri, Jean Fautrier, Antoni Tapies, Jean Dubuffet, Francis Bacon, Yves Klein, Piero Manzoni, Joseph Beuys, fino a Pino Pascali e a Gino De Dominicis (che aveva paura dell’aereo per recarsi a New York) etc., e alcuni movimenti come l’Arte Cinetica, il Nuovo Realismo di Pierre Restany e la Pop Art Romana detta anche la “Pop Art del Vicolo” negli anni 60 e L’Arte Povera negli anni 70 di Germano Celant, che ebbe la sua consacrazione agli antichi Arsenali di Amalfi, nel 1968, da parte di due giovani collezionisti salernitani, Marcello e Lia Rumma, che all’epoca sponsorizzarono altre significative mostre, a cura di Renato Barilli, Filiberto Menna, Alberto Boatto, Angelo Trimarco e lo stesso Celant.
La “Chiena”...il recupero. Un recupero etnico-ecologico e affettivo. Il recupero di una memoria individuale e collettiva in loco, da far conoscere fuori dalle “quattro mura di casa”, da far riconoscere come Bene universale, come patrimonio dell’umanità. Il recupero di una identità antropologica, storica ed ecologica, subito dopo il tragico sisma del 23 novembre 1980, in cui si pensava a tutto, tranne che salvaguardare noi stessi, il nostro passato, per un nostro futuro attraverso i nostri beni, per produrre positività...per produrre ricchezza, scardinando i luoghi comuni e le inconsapevoli rassegnazioni, fuori dalla consuetudine, fuori dal non usuale...provocando, a volte anche con durezza, il potere vigente. La Creatività contemporanea, al servizio di un evento di antica origine da spettacolarizzare con l’Arte, in una città del Sud Italia...in un territorio, quello dell'entroterra salernitano, ricco di Storia e di Segni, dimenticato da troppi lunghi anni, che chiedeva aiuto...che aveva bisogno di rinascere a nuova vita.
Un argomento questo che rientrava di pertinenza, nella poetica di un artista, che come me lavorava ("strafottendosene", a quei tempi, del mercato dell’arte e del “segno” personale e soggettivo che rincorrevano i luoghi deputati dell’arte di mezzo mondo) utilizzando ogni mezzo artistico, in modo interdisciplinare, dalla fotografia al cinema, dalla pittura all’installazione scultorea e sculto-architettura, all’ambientazione e all’arte comportamentale, come conseguenza di un’idea e di un contenuto, fin dal 1975 sulla Memoria...sulle Radici…e sulla Realtà. Poetica testimoniata da una collettiva tenuta nel 1976 al Palazzo della Permanente di Milano, con un lavoro peculiare, dove esposi la pagella scolastica con foto ricordo di classe (1975-76), dal titolo “Operazione Mnemonica Passiva” e due mostre personali tenute a Salerno, alla Galleria Taide, la prima nel 1978 (dal titolo “Affetti”) e la seconda nel 1981 (dal titolo “godardiano”,“Due o Tre Angoli di Casa” ), a parte le frequentazioni assidue nella Galleria di Luciano Inga-Pin a Milano (la Galleria, che organizzò la prima personale italiana di Marina Abramovic), dal 1975 al 1978 (e poi saltuariamente negli anni 80), che in minima parte conosceva il mio lavoro (dove conobbi anche Mimmo Paladino, parlando di amici in comune di Salerno), dove poi più tardi, lo stesso Luciano, mi invitò a “dipingere”. Avrei potuto anche farlo, ritornando sul segno dei miei 18 e 19 anni, ma con molta eleganza “rifiutai”, rivendicando una mia indipendenza artistica e creativa. Oggi come oggi, dopo aver pagato lo “scotto” del “rifiuto”, non so se ho fatto bene o se ho fatto male, a dire “no” a Luciano Inga Pin, che io consideravo e considero anche un amico. Fatto sta, che ho continuato, in modo costante, come tanti altri artisti “dissidenti” nei confronti del sistema mercantile dell’arte, tra mille difficoltà e mille dubbi, a svolgere con dignità e creatività, un mio lavoro in Italia (e non al Polo Nord), anche nell’interesse della Comunità, in provincia di Salerno, in cui sono nato.
Nei film, grazie anche alla conoscenza del regista, teorico e poeta Raffaele Perrotta e del film-maker (operatore poi di Vittorio De Seta) Federico Bruno (collocandosi nella ricerca tra un Cinema Indipendente-ex Underground e un Cinema d’Artista), fra gli altri (girati tra il 1975 e il 1976, con montaggio diretto in macchina e con pochi spiccioli, ricavati dalla vendita “in bicicletta” dei libri Einaudi a rate, a Milano), nel 1977, d’estate, in vacanza a Campagna, girai un film Super 8 sui bagni al fiume Atri “Il Sciumare”, e d’inverno“ Il Maiale” sull’uccisione di detti animali. Un anno dopo, nel 1978, un regista di Cinecittà, Ermanno Olmi gira il film “L’Albero degli Zoccoli”, ambientato nel mondo contadino della bassa bergamasca, dove l’uccisione di un maiale avveniva in modo molto simile, a quello dell’entroterra salernitano (strana coincidenza). Il recupero di una propria radice: autobiografica, intimistica, storica, antropologica e culturale, mediante i ricordi personali e attraverso i luoghi, monumenti, usi e costumi, pre e post sisma...iniziando dall’infanzia post bellica, negli anni 50.
Nel 1991, sul palcoscenico del teatrino di Piazza Teatro, della Città di Campagna, nell’ambito della 7^ Rassegna dell’Acqua (9° anno di recupero della Chiena), abbinata quell’anno, in via sperimentale (per un’ennesima assenza di fondi) al 7^ Festival Teatro Ragazzi di Carmine Battipede, presentai una Performance dal titolo “magrittiano”, “Intervallo: Questo non è un Asino”. Un Omaggio a quattro Asini veri, tra la gioia dei bambini, di quel mondo antropologico contadino scomparso, che interpretavano loro stessi, con voci di attori fuori campo, che ponevano degli interrogativi al pubblico, coinvolgendoli nel coro delle voci a recitare, alla stessa tregua di un rosario, la loro definizione di “Asini”, presa dal vocabolario Palazzi, della lingua italiana. Qualcuno...della classe dirigente dominante, e presente (come partito, il maggior inquisito di tangentopoli) in ogni Ente pubblico, provinciale, regionale e nazionale, tentò di fare una querela nei miei confronti. Ma ahimé! Mancavano gli estremi: si parlava solo di "Asini"...di semplici, umili e onesti asini, in via di estinzione nell'uso di animali da soma, nel mondo contadino, ormai oggi, quasi definitivamente scomparso.
Mantenendo intatti i contenuti, in modo intuitivo e creativo, con convinzione e decisione, operai un trasferimento e uno sconfinamento al di fuori delle dimensioni limitate dell’opera canonica (sia essa pittura, fotografia o film), per invadere lo spazio fisico-sociale della città, tanto da ricordare, per alcuni versi quell’Arte Ecologica degli anni 70, di Walter De Maria, Christo, Richard Long, etc.detta anche Land Art o Earth Art (di cui sopra), che consci della lezione di Fontana (con il suo Spazialismo) di un decennio prima, dallo spazio fisico circostante della tela, sconfinarono, estendendosi nello spazio del territorio. Fu, anche per me, un gesto naturale operare al di fuori dei luoghi deputati dell’arte. Tutto l’opposto di ciò che succedeva allora nel mondo dell’arte, che si chiudeva in se stesso, nei luoghi chiusi: luoghi del sistema mercantile. Operare nella realtà, con l’invenzione di altri luoghi: luoghi aperti, con l’esigenza e nel tentativo di coinvolgere e di avvicinare il pubblico all’arte contemporanea, di renderlo partecipe di un’esperienza, di “...far riflettere sul rapporto tra uomo e natura...”, per dirla con Gillo Dorfles, pensando in questo caso, al recupero della Chiena, come ad un Happening degli Happenings, e non solo, ma anche (tra la Chiena e il Museo), come luogo di ricerca, di riflessione, di discussione, di incontri, di laboratori, di sperimentazioni e di “invenzioni”. Scaturì un Progetto.Soddisfacente moralmente per l’uomo artista, ma un Progetto “monco”, “incompiuto”, nei suoi investimenti per uno sviluppo economico, per l’uomo cittadino, per la Comunità, per ignoranza altrui, sopratutto degli Enti Pubblici non adeguati ai tempi, invasi solo, all’epoca, dai “politichini” della partitocrazia, che rappresentavano la negazione assoluta di qualsiasi sviluppo umano e civile, artistico e culturale, sociale ed economico. Incapaci di cogliere le novità, legate al patrimonio preesistente, e di incentivarle per garantire una continuità. Ero molto lontano, in quegli anni, come documentato anche da un mio articolo pubblicato sulla pagina nazionale de "L'Umanità - Speciale Arte", del 30 settembre 1983, dagli obiettivi “integralisti” della Transavanguardia, come erano lontani gli artisti (nei vari linguaggi multipli e interdisciplinari, fra arte visiva, performances, happenings, fotografia, installazioni, laboratorio, teatro, danza, musica, poesia...), che di lì a poco, avrebbero aderito, nella sua espansione, all’idea progettuale, invadendo letteralmente la Città di Campagna, dal 1985 al 1994: Francesco Bonazzi, Anna Malapelle e Fausto De Marinis da Verona; Salvatore Anelli e Franco Flaccavento da Cosenza; Sergio Pavone, Antonio Porcelli, Beppe Schiavetta e altri, da Genova; Gaetano Nicola Cuccaro e Arcangelo Moles, da Potenza; Emilio Morandi, da Bergamo; Raffaella Formenti , da Brescia; Nicola Frangione, da Monza; Rosanna Veronesi, Vincenzo Pezzella, Paolo Barlusconi e altri, da Milano; Alessandro Mautone, Donato Vitiello, Patrizia Marchi, Giovanna Stella La Nocita, da Praiano; Angela Hart O’Brien (irlandese), da Firenze; Birgitt M.Shola Starp e Gutte Norrild di Copenaghen; Gisela Robert, di Monaco di Baviera; Barbla & Peter Fraefel da Biel Svizzera; Godwin Ekard, di Vienna; Aitor Romano e Josè Bravo di Caracas; Maria Wojcik di Wroclaw (Polonia); Giovanni & Renata Strada, da Ravenna; Alfonso Filieri, Elisabetta Gut, Gisella Meo,Gloria Persiani, Riccardo Bergamini & Anna Zeppieri, Emilio Leofreddi, Massimo Liberti, Marco Fioramanti, Vincenzo Cozzi e altri, da Roma; Lucia Buono, Ilaria Bona e altri, da Bari; Fulgor C. Silvi, dalle Marche; Camillo Capolongo, Enrico Viggiano, Mariano Mastrolonardo, Nizzo De Curtis, Giuseppe Desiato, Giulia Piscitelli, Pasquale Cassandro Lorenzo Scotto Di Luzio e altri, da Napoli; Arturo Casanova e altri, da Caserta; Pina Fiori, da Macerata; Riziero Giunti, Cristiana Moldi Ravenna e altri, da Venezia; Giovanni Canton, Antonio Baglivo, Gerardo Palmieri, Mirella Monaco, e altri, da Salerno; Vito D’Ambrosio, Gelsomino Fezza, Antonio Corsaro, Pompeo Ganelli, Antonio Luongo (detto Antoniuccio), Nino Aiello, Daniele Gibboni e altri, da Campagna; Giorgio Gallotta, Vittorio Scarpa, Pasquale Anzalone, Antonio Pierro, da Eboli; Eva Rachele Grassi e Angelo Ermanno Senatore (nomadi), da Roma, Parigi e da Salerno; Alfonso F. Mangone (nomade), da Cosenza, Firenze, Amsterdam, Berlino e da Altavilla; Angelo Riviello (il sottoscritto, nomade), da Roma, Zurigo, Positano, Copenaghen, Milano, Barcellona e da Campagna, etc. Due generazioni di artisti, nati tra il 1935 e il 1950 e tra il 1951 e il 1970. Non avevo e non avevamo speranza altrove, dove imperava solo un Mostrismo di Pittura tout court, per tutto l'arco degli anni 80, di un esercito di gregari (fra cui artisti anche bravi, miei amici, che furono "bruciati" dal cinismo del sistema mercantile dell'arte), con l’alta sovrintendenza e supervisione, dove a prevalere più forte era un’unica idea (e giustamente, per alcuni versi), di Achille Bonito Oliva (che stimo e rispetto e che reputo come uno dei più grandi critici d'arte dell'intero pianeta) e dei suoi “alleati”. Depresso e “incazzato”, registrando con dignità questo humus di dissidenza, mi sentii in dovere di rilassarmi, di divertirmi e di continuare la mia ricerca, tra pubblico e privato e di mettermi a disposizione della mia Città...la Città che ha registrato la mia nascita, dove mi "rifugiai", per non sentirmi “inutile” e “disoccupato” e per giunta senza un sussidio, per continuare una ricerca (il contrario di ciò che avveniva e avviene nel resto dell'Europa civile, di nazioni presenti, che conosciamo molto bene, nei confronti dei loro figli, per i quali creano opportunità, e vengono aiutati nelle loro ricerche), in un’Italia (dei poteri forti), che incapace di guardare, di ascoltare e di recepire, nella sua tanto decantata “democrazia”, “civiltà” e “libertà”, nell’abbraccio ipocrita dell’inno di Mameli, altre voci...di figli traditi...diverse dal coro, che non venivano ricambiati nel loro affetto (anche se "irrequieti" per smuovere i luoghi comuni) anche nell’interesse e nei confronti della "madre patria", capace, quando, se e quando si ricorda, di rendere omaggio, a questo o a quel dato artista, solo dopo la morte. Un altro luogo comune di cui, pare si vada fieri, nel nostro “bel paese”. E oggi le cose pare che vadano peggio...con la cultura del vuoto e il “berlusconismo” che avanza.
La “Chiena” (per ritornare nel nostro specifico), che ha sempre organizzato il Comune di Campagna, nel periodo estivo, fino a pochi anni prima del sisma del 1980, era un mezzo economico, naturale ed ecologico per pulire il corso principale della città: il salotto dei campagnesi. Si affiggeva un’ordinanza amministrativa, in cui il sindaco ordinava e avvisava la cittadinanza della pulizia del corso. La delibera storica che ufficializzava la Chiena (di antica origine imprecisata), è del 1889 (come rilevato da una ricerca di Mario Onesti, da un libro di Storia locale di Raffaele D’Ambrosio). Al tempo stesso, il sindaco dava incarico al banditore di avvisare ulteriormente tutto il resto della popolazione sita nei numerosi quartieri alti e bassi, del centro storico e antico della città. In quel 1889, fu restaurato il canale che captava le acque del fiume Tenza e finanche la pavimentazione del corso Umberto, per meglio far scivolare l’acqua, su progetto dell’ingegnere Antonino Pastore. Si spera in una ripresa da parte del Comune, o di un delegato come la Pro Loco, di riutilizzare la “Chiena”, nel modo tradizionale, e cioè, per pulire le strade del centro storico, anche per differenziarla, dal suo nuovo uso, che scaturì dal 1982 al 1985, elevata, dal sottoscritto, ad “Opera d’Arte”, come intervento sul territorio, partendo dalle proprie radici, da una propria esperienza di vita e di formazione artistico-culturale e dal proprio "essere" artista nella realtà del presente, guardando al passato e progettando un possibile futuro, in modo propositivo e spesso "provocatorio" per smuovere le coscienze e quel falso moralismo e ipocrisia che nega qualsiasi forma di emancipazione e di progresso civile, culturale e artistico, regalando così alla propria comunità, la gioia di riappropriarsi di un evento, finito negli anni 70 nel dimenticatoio, fino a pochi anni prima del terremoto del 23-11-1980.Tutto questo, con la collaborazione di numerosi artisti, provenienti da ogni parte d’Italia. senza i quali era impossibile, nel concreto, effettuare, sia il recupero e sia la trasformazione dell’evento in una nuova entità culturale, artistica e spettacolare.
La Chiena, infatti, dopo il sisma del 1980, rischiava di scomparire definitivamente, a parte l’emergenza nel caos della ricostruzione e della "speculazione in atto", ma anche perché ci si vergognava, nell’arretratezza, di pulire il corso principale della città, con la Chiena, nei confronti dei paesi viciniori, adeguatisi alle conquiste del “progresso civile”, come Eboli e Battipaglia, che per lavare le strade usavano i camion “gettiacqua” con la spazzola…mentre una volta, senza fiumi, per loro era duro, e guardavano con invidia Campagna, che con disinvoltura, si permetteva il lusso di lavare le proprie strade con un fiume…
La Chiena elevata e trasformata in Opera d'Arte del 1985, che si fece conoscere a livello nazionale, non fu solo il particolare di un recupero, per nobilitarla, ridandole dignità, iniziato nel 1982, con la donazione di una Fontana (ridimensionata a causa della infelice costruzione ex novo degli Uffici Postali avvenuta tra il 1992 e il 93) rimasta incompiuta (la “Fontana della Chiena”, 1982-94 da ubicare nella Piazza Guerriero, degradata e ferita a morte già dagli anni 60, con l’abbattimento del Sedile di San Bernardino da Siena ), che doveva rientrare in una Mostra, nel 1984, di idee progettuali per una Rassegna Laboratorio di Scultura (un Cantiere a cura di Angelo Trimarco, di quella Scuola di Critica d'Arte di Salerno...la stessa Scuola di Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Antonio d'Avossa e altri ), la cui donazione fu accettata dal Comune di Campagna, solo nel 1994, "forzando" l'autore a compiere tale gesto, senza promuovere la Rassegna Laboratorio legata alla Chiena, le cui opere restavano in donazione, dislocate nella loro ubicazione in vari punti della città), che rientrando in un progetto molto più ampio, rappresentava un tassello importante, insieme alla proposta di un Museo d’Arte Contemporanea (Ex Convento dei Frati Domenicani), alla proposta di un Ostello per studiosi e studenti (Ex Complesso Conventuale degli Osservanti-Chiesa della Concezione) e alla salvaguardia dell’assetto Storico-Urbanistico-Architettonico della Città di Campagna, ma fu anche una situazione artistica. Una situazione “povera ma bella”, molto significativa, il frammento di una piccola realtà italiana, che per certi versi ha anticipato di circa vent’anni ciò che si dibatte oggi nelle esperienze artistiche, tra il nord e il sud del Paese, sia nella "spettacolarizzazione" dell'arte, nei vari aspetti comportamentali, che con i laboratori in sito, dove le “Periferie diventano il Centro”, come nel caso della Certosa di Padula (al sud), o nel caso dell’Ex Ospedale Soave di Codogno (al nord), nella pratica di una domanda, da parte di Enti pubblici e privati, nella normale prassi quotidiana dei circuiti dell’arte.
In parole povere, gli artisti e alcuni gruppi avveduti di intellettuali, già in quegli anni, avevano compreso il fallimento della politica nazionale, nei tentativi industriali sul territorio meridionale, agendo con il loro intuito e iniziando in forte anticipo sui tempi, in una fase, già per loro, post-industriale. La politica, poi, come al solito, arrivando in ritardo su quest’aspetto fallimentare, senza fare nessun “mea culpa” (accerchiata com’era dai giudici di “mani pulite”), è solo negli anni 90, che timidamente inizia a parlare di “Fabbrica del Turismo” per il Mezzogiorno. Grande merito, spetta all’attuale Presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, con la nascita di ben due Musei d’arte contemporanea (il PAN e il MADRE), che in questa tematica, da Sindaco della capitale partenopea, e poi come Presidente della Regione, per primo, ha saputo ridare a Napoli il volto della cultura e dell’arte, facendo tornare il turismo (di qualità, a mio avviso) dopo trent’anni di assenza, gettando le basi per tante realtà del sud e dell’intero meridione d’Italia. L’unica sua pecca, è quella di rivolgersi solo e sempre agli stessi critici e curatori, senza favorire un’alternanza, e di non aver risolto, in 15 anni, il problema della monnezza e delle discariche, addossando la responsabilità ai piccoli comuni campani e alle popolazioni.
Nel 1985, mentre Lucio Amelio, come risposta al terremoto (e a tutta una politica mancata a favore di un territorio), pensava (e giustamente) alla mostra “Terrae Motus” (una collezione che finalmente oggi, ha trovato la sua sistemazione definitiva nella Villa Reale dei Borbone, di Caserta), invitando artisti in auge del momento e alcuni “mostri sacri” (oggi in gran parte storicizzati e datati), integrando anche artisti napoletani (import-export) della sua scuderia (dimenticandosi di altri artisti non solo campani, -come il sottoscritto che Amelio aveva conosciuto nel 1979 - che si prefiggevano gli stessi obiettivi…bastava guardare all’arte a 360° e a soli 80 Km. di distanza da Napoli, subito dopo Salerno, a Campagna, che lui ben conosceva), dopo i primi esperimenti (1982-83-84), a seguito del dissesto stradale di un’insula interamente abbattuta, partì la prima edizione della “Nuova Chiena” che ebbe un eco di risonanza nazionale (il quotidiano “Reporter” riportò l’evento in prima pagina): la scommessa di un “sognatore” accompagnato dalla collaborazione di altri “sognatori” (Antonio Corsaro, Vito D’Ambrosio, Gelsomino Fezza, Maria Rosaria Polisciano, Liberata Cerrone, Vito e Bruno D’Agostino, Vito Maggio, Mario Velella, e altri), sembrava vinta! Si realizzò un grosso Happening, creativo (e ri-creativo) dell’Acqua, a più mani. Una Piena d’Acqua: il fiume Tenza deviato lungo le strade della Città di Campagna. Una Piena d’Arte: un evento pensato innanzitutto come Opera d’Arte in movimento, sul territorio, con interventi nell'intervento, in cui avveniva di tutto, in piena libertà creativa, con ogni sorta di medium, anche il più povero e improvvisato, dati gli scarsi finanziamenti. Fu un’autentica rivoluzione estetico-poetica e comportamentale, di artisti che si divertirono come bambini. Fu una Festa, in cui fu data la possibilità di esprimersi, anche a vecchi e genuini artisti locali e a chi, giovane e ingenuo, voleva avvicinarsi al mondo dell'arte. Se si fosse realizzata a New York, gli americani l'avrebbero battezzata (forse banalmente) come "Water Art". Ci fu una situazione di “resistenza”, che differenziandosi dalle esperienze estetiche della cultura dominante in auge in quel momento, non solo in Italia, diede ampio sfogo alla libertà creativa ed espressiva. Artisti provenienti da ogni parte d’Italia, anche stranieri (alcuni in vacanza a Paestum, compreso una coppia di giornalisti danesi) che occuparono l’ex Convento dei Domenicani, per farlo diventare un Museo d’Arte Contemporanea, dentro e fuori le mura (con la complicità scettica dell’Amministrazione Comunale). Artisti che in gran parte, non si riconoscevano nel movimento coatto (di tutto rispetto) della Transavanguardia, e/o in altre correnti similari più deboli, del Post Modern, la cui “novità” era la “non novità”, nel suo eclettismo e disimpegno politico, con un ritorno alla manualità, alla decorazione, all’uso del colore, con riferimenti all’arte e ad artisti del passato, nella ricerca di punta, elegantemente “imposta” dal sistema dell’arte. Artisti “disubbidienti” e viaggiatori, quelli che approdarono a Campagna, che scelsero la città come “rifugio”, e che hanno lasciato le loro opere al Convento di Giordano Bruno di San Bartolomeo, un Libro/Catalogo (curato e coordinato graficamente, finanche nelle didascalie, dal sottoscritto, ad eccezione del simbolo del Museo, ricavato da un bassorilievo della Cattedrale, e ridisegnato, sempre dal sottoscritto, nella sua essenzialità geometrica, ma usato nella sua ripetitività, come elemento decorativo da Gelsomino D’Ambrosio nella copertina di Angelo Riviello) e un segno nella coscienza e nella memoria, individuale e collettiva, dell’intera Comunità Campagnese. Artisti (dei quali, alcuni deceduti) che aspettano ancora una lettera di ringraziamenti dal Comune di Campagna e una mostra omaggio (l’occasione del ventennale, del 2005, penso che sia il momento giusto per farlo) e da tutte le Associazioni culturali, in primis dall’Associazione Giordano Bruno che ha gestito il Museo per tanti anni e, soprattutto dalla Pro Loco, che dal 1996, ha ereditato e gestito le acque della Chiena, campando di rendita, nel vuoto di una progettualità, senza riconoscere, per limiti umani, la fonte dei contenuti nel Progetto originario, di chi è stato ed è sempre attivo nella ricerca artistica e culturale del presente (è il suo "mestiere"), che in una parentesi particolare della propria vita, si è messo a disposizione della comunità campagnese.
Nel 1984, intanto a Milano, un gruppo di artisti, fra i quali Stefano Arienti, anch’essi dissidenti nei confronti della Transavanguardia e della Pittura Colta, e di altre correnti similari come Magico Primario, i Nuovi Nuovi, etc., occupavano (senza la complicità dell’Amministrazione Comunale) l’Ex Fabbrica della Brown Boveri, nel Quartiere Isola, a Via De Castillia (ultimo mio domicilio di Milano, con abitazione e studio al n.20 - 3° piano 1^ porta a destra), per farne un Museo d’Arte Contemporanea (Casa Museo Laboratorio). Due anni prima stavano per occupare l’ex fabbrica, due artisti campani: il sottoscritto e Vincenzo Pezzella, che già abitavano in una casa occupata del Comune di Milano, in Corso Garibaldi 89, nel condominio con l'ex fabbrica di Gelati occupata da Luciano Fabro, Hidetoshi Nagasawa, e agli inizi, da Antonio Trotta, Pino Spagnulo e altri, e dove venivano spesso a renderci visita Antonio M.Faggiano e due giovani artisti di Benevento, appena sbarcati a Milano, Arcangelo (Esposito) e Pompeo Bocchini, conterranei ed ex allievi di Mimmo Paladino. L’intento non riuscì. Gli artisti furono sfrattati e l’ex Fabbrica fu abbattuta (ci stanno riprovando oggi, nella Stecca Artigiani, nella stessa città e nella stessa strada, anch’essa destinata all’abbattimento, per un progetto-telenovela, lungo di vent’anni, e non manca Stefano Arienti, insieme ad altri, come Gabriele Di Matteo, Grazia Toderi, Mario Airò, Loris Cecchini, Bert Theis, etc.). A differenza degli artisti che raggiunsero Campagna, il cui intento riuscì. Decollò la Nuova Chiena, e l’Ex Convento dei Domenicani di Giordano Bruno (Casa Museo Laboratorio) fu recuperato, salvandolo così dall’abbandono e dall’incuria del tempo (anche se più tardi, malgrado il vincolo della Soprintendenza ai B.A.A.A.S., fu abbattuto l’Ex Complesso Conventuale degli Osservanti-Chiesa della Concezione: un grave atto, da “estremisti dell’ignoranza”, degno di quegli stessi Talebani, “estremisti islamici afghani”, che hanno abbattuto nel 2001 i Buddha giganti di Bamiyan, testimonianza alta del patrimonio storico-culturale pre-islamico!). Altri fermenti, con altre occupazioni, di ex fabbriche e pastifici, ci furono a Roma, mi pare, al Quartiere San Lorenzo...ma queste furono solo occupazioni, per rivendicare allo Stato, il diritto ad avere almeno uno Studio…un Atelier, un luogo “gratuito”, per fare ricerca e lavorare da parte degli artisti.
Ironia della sorte: l’impresa “non riuscita”degli artisti di Milano, fu riportata da molte riviste specializzate, e soprattutto da un’autorevole rivista d’arte contemporanea, che nel giro di pochi mesi, fece il giro del mondo…scrivendo così una “piccola pagina significativa” nella Cronaca dell’Arte. L’impresa “riuscita” degli artisti “rifugiati” a Campagna, a seguito dello “Tzunami” della Transavanguardia, fu riportata nella stampa normale di molti quotidiani, di riviste culturali generiche e di periodici, che nel giro di pochi giorni, fece il giro d’Italia… non fu registrata nella Cronaca dell’Arte.
Mancarono all’appuntamento le riviste autorevoli specializzate, da parte di critici che si dicevano e si dicono attenti alle novità, o più semplicemente, alle diversità, ad eccezione (nei diversi ruoli di approccio) di Rino Mele, Antonio Castaldi, Antonio Bottiglieri, Alfonso Tafuri, Massimo Bignardi, Erminia Pellecchia, Carla Errico, Maurizio Vitiello, Angelo Trimarco, Simona Barucco, Vittoria Biasi, Aldo Elefante (agli inizi della carriera come curatore), Sabino Manganelli, Pino Simonetti, Cristina Tafuri, Antonio d’Avossa, degli scrittori d’arte come Alan Frenkiel, Ferruccio Massimi, di grafici (e non solo) come Gelsomino D'Ambrosio (famosa la sua Scheda "Campagna" del 1985 con riedizione nel 1996) e altri…e non per ultimo la presenza di James Putnam (ex curatore del British Museum di Londra), nel mese di maggio 2006, portato da Alan Frenkiel, suo collaboratore, su richiesta del sotrtoscritto. Per disinformazione? Non credo...un intellettuale, e in questo caso un critico d’arte intraprendente, attento e curioso, legge i giornali, altrimenti è un semplice cronista...basta dichiararlo! Per debolezza dialettica nei confronti di un vincente e sempre più emergente, incontrastato e carismatico Bonito Oliva? E’ probabile. O per essere più “cattivi”, per omissione culturale? O per pigrizia? Anche questo è probabile! Oppure, per l’isolamento in cui versava (e versa) la città di Campagna...”sconosciuto” paese...o meglio “invisibile” paese (finanche nel nome…confondendo Campagna con la campagna…perciò che insisto con i miei conterranei, con il nome, storicamente più corretto: Città di Campagna, da Civitas Campaniae dell’entroterra salernitano (come suggerito e fatto osservare in latino, dal giovane storico locale, Maurizio Ulino), dove era impossibile che succedesse qualcosa? O per carenze nell’organizzazione, dovute soprattutto all’insufficienza di fondi? O perché mal rappresentata politicamente? E’ probabile che sia stato anche un pò di tutto questo. Una cosa è certa: dove non ci sono investimenti, non ci può essere sviluppo! Dove non c'è competenza e convinzione, non si può convincere il resto del mondo! Eppure i soldi, in quegli anni, non sono mancati alla città di Campagna, e certamente non mancavano alla Provincia di Salerno e alla Regione Campania e al Ministero del Turismo e Spettacolo (attuale Ministero della Cultura):...è mancata la sensibilità, la lungimiranza e l'umiltà a saper ascoltare e ad accogliere progetti, per colmare un vuoto, lasciato dalla cosiddetta “politica”. I soldi, all'epoca, elargiti con "estrema generosità" dal Governo Craxi, pare che prendessero altre vie...
Eppure, nel 1987, ci fu anche una presentazione del Libro/Catalogo della "Nuova Chiena" (bilingue, molto eloquente e ricco di immagini, dell'intervento artistico del fiume e degli altri interventi artistici, tra la Città e il Museo) al Palazzo Sant'Agostino della Provincia di Salerno, quasi tutto distribuito nelle sue mille copie (ne rimangono due o tre), di cui il sottoscritto registrò una cassetta audio a "ricordo" (un documento tuttora ben conservato, a distanza di 18 anni), erano presenti, fra le varie presenze e assenze istituzionali, sopratutto della Regione: il Presidente della Provincia, che porta i saluti; il compianto Pasquale Mirra ( sindaco di Campagna), che apre l'incontro; Giuseppe Acone (docente universitario); Marcello Caleo (docente universitario); Andrea De Simone (consigliere provinciale); Antonio Bottiglieri (assessore provinciale alla cultura) e il compianto D'Orazio Corinto (assessore alla cultura del Comune di Campagna), che chiude il dibattito. Fu un incontro inutile? Non credo! E' un piccolo pezzo positivo, di un mosaico, che dando un suo particolare contributo documentario, rinforza la storia di un passato recente, tuttora attuale.
Una situazione artistica, il frammento di una piccola realtà italiana, che chiede attenzione, per una rilettura e un’analisi più attenta di quegli anni 80, che aspetta ancora di essere riconosciuta, almeno, dal mondo dell’arte italiana, a ripartire dalla città di Salerno, passando per Napoli e Roma...per finire a Milano e nelle altre città e capitali europee e internazionali, per un’altra “piccola pagina” da scrivere. Ma per far si che ciò avvenga, c’è bisogno di una scelta politica, fuori dall’usuale, di convinzione e di finanziamenti continui, sempre più cospicui, da parte degli Enti pubblici e privati. Difendere, risanare, incentivare il patrimonio "sopravvissuto" alla ruspa selvaggia, scommettere e investire sulla rinascita del Museo, dei Fucanoli, con l’integrazione di una Rassegna d’Arte invernale, della durata di un mese, e una tre giorni di un Festival di Musica dell’Anima (Etnica, Jazz, Blues, Pop, Rock, e perché no...Contemporanea) e soprattutto della “Chiena” - Rassegna dell’Acqua, affidandone però la cura, a mani competenti, e non a “hobbisti” da “dopolavoro”, i quali dovrebbero solo amministrare e presenziare (e bene anche!), se si vuole uscire fuori dall’isolamento culturale e produrre ricchezza, se si vuol essere ascoltati, con autorevolezza, per prima cosa dall'Ente pubblico Provinciale (basta guardare lo splendido volume fortemente voluto dal Presidente Alfonso Andria, a conclusione del suo mandato, a cui va il nostro plauso, promosso e pubblicato dall'Ente, nelle Edizioni l'Orbicolare 2004, dal titolo "SALERNO fascino di una provincia mediterranea", per rendersi conto di come è stata trattata la Storia di Campagna:...sempre più "città invisibile" e in "castigo dietro la lavagna"). Gli stessi finanziamenti, che in quegli anni 80 non furono stanziati, per far decollare, sia la città/territorio, nel suo aspetto storico-artistico-urbanistico e monumentale, afflitta dalle gravi conseguenze del sisma, e che aveva bisogno di crearsi un futuro, che il nascente Museo, la Nuova “Chiena”, i Nuovi “Fucanoli”, e quella situazione storica di artisti che rappresentarono la punta di un iceberg, per un disgelo lento, fino agli anni 90. Un’eccezione che come quella di Milano, nell’arte, confermò, e conferma, la regola!
Mi piace finire, citando un passaggio finale “premonitore” e “profetico” (sempre attuale) di
Rino Mele, di uno scritto a testimonianza di ciò che fu realizzato in quell’inizio degli anni 80, sia come Casa Museo Laboratorio nascente e sia come esperienza di ridestinazione d’uso della “Chiena”: “..
.Campagna è troppo piccola perché molti altri si accorgono dell’eventuale fallimento del suo spazio simbolico, ma è anche abbastanza grande perché questa piccola impercettibile catastrofe risuoni di eco in eco sommandosi alle valanghe di azioni mancate, peccati di omissione culturale cui è sempre troppo tardi rimediare...”
Angelo Riviello Moscato, 2004.
Note Bibliografiche:
Rino Mele - “Il Convento di Giordano Bruno” - dal Libro/Catalogo “ ‘A Chiena-Kermesse Nazionale d’Arte Contemporanea” - Edizioni Museo Campagna - Campagna 1985/87
Angelo Riviello Moscato - "Intervallo (Interstallo)" - dal Catalogo "Le Porte dell'Arte - Incontri Internazionali d'Arte Contemporanea"- Edizioni Comune della Città di Campagna 1997
Gillo Dorfles - “ Storia delle Arti Visuali” - Edizioni Atlas - Bergamo 2000