Ma quale clochard! A chi volete prendere per i fondelli! I clochard semmai, purtroppo spesso, vengono bruciati dai teppisti, ma loro non bruciano mai nulla!
Trovare come capro espiatorio un poveraccio senza fissa dimora, che fra parentesi nega tutto, arrestando il “delinquente” nella Mensa dei derelitti, rappresenta l’epilogo peggiore della vicenda. Così semplicemente si archivia la cosa sottacendo la reazione barbara di una parte della città alla tracotante invasione dell’artemostro, imposta dai barbari padroni della città che conta. Ma la cosa drammatica che emerge da questo resoconto è che non c’erano telecamere puntate sull’artemostro. Il “curatore” tutto concentrato nel farsi selfie davanti l’installazione ha dimenticato, da dilettante quale è, di richiedere le minime garanzie di sorveglianza. Ma c’è qualcuno in Comune che, oltre ad auspicare la ricostruzione imnediata dell’artemostro, pensi a chiedere le dimissioni, o più semplicemente lo licenzi, di un consigliere per l’arte contemporanea, che non solo ha consigliato male ma non ha avuto neanche cura dell’opera, rivelandosi un pessimo “curatore”?”
Aldo Elefante 14/07/2023
Brigataes.Fumo della Venere di Napoli.2023
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"Napoli: la
"Venere degli stracci" vandalizzata e messa al rogo (quanto successo
potrebbe accadere a un'opera di qualsiasi artista, più o meno noto). La Venere,
con i suoi stracci, non è riuscita a reggere "l'ustione del reale",
né ad abitare questo tempo dal cuore spento. Ma l'arte
insegna che Dio non ha solo il volto della bellezza. Egli risiede anche in ciò
che profondamente scuote, in un mucchietto di cenere o persino nella polvere. Ed è proprio
nei silenzi o nei suoi dolori più grandi che l'arte generosamente si dona
riservandoci parole di coraggio e dimostrando, col suo spirito eterno, che
anche "la morte può morire". Così, seppur senza parole... sentiamo il
suo perdono.
Stefania Pieralice 13/07/2023
Salvatore Vargas
L'Opera bruciata, rafforza il concetto,
l'idea, liberandosi della materia si purifica diventando eterna nella sua
essenza
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LA VENERE DEGLI STRACCI ED IL CLOCHARD
"Il movimento dell’Arte Povera nasce,
nella sua concezione, da Germano Celant che la definisce “guerriglia
asistematica”, fondamentalmente è il rifiuto dell’arte tradizionale, delle sue
tecniche e dei materiali per sostituirli con quelli, appunto poveri. E che
cos’è la Venere di Stracci di Michelangelo Pistoletto se non rinnegare l’arte
borghese e di sistema? L’estrema classicità della Venere soffocata da un cumulo
di stracci. Già, gli stracci, l’estrema risorsa per coprirsi di chi non ha
nulla, di chi è un paria della società. Che potenza concettuale in quell’idea
perché, per chi non lo sapesse, l’arte povera è soprattutto un movimento
concettuale e politico. Leggo di tanti che si scandalizzano perché una copia
posizionata a Piazza Municipio sia stata bruciata ma davvero signori pensate
sia questo il nocciolo del problema? Davvero avete sprecato fiumi di parole
perché una copia sistemata in una delle piazze centrali di Napoli è stata data
alle fiamme? Siete sicuri di essere andati oltre la superfice del problema?
Avete criticato quest’opera senza capirla, eppure era così semplice da
comprendere. Vi siete scandalizzati ma non vedo la stessa veemenza verso i
reali problemi della gente comune, sulla povertà che aumenta ogni giorno a
dismisura, sulla difficoltà del vivere della classe popolare, sui morti sul
lavoro, su una deriva guerrafondaia del mondo e della nostra nazione, su un
problema ambientale catastrofico. Una cosa bisogna, però dirla: quando una
installazione come quella diventa monumento ha tradito se stessa, è diventata
“arte di sistema”. Ora, io non sono un fan della distruzione delle opere
d’arte, tutt’altro, d’altra parte io penso che la grande arte appartenga
all’umanità, quindi… Ma, in questo caso, penso che la performance sia stata
superiore alla copia dell’opera stessa e se, come pare, a bruciarla sia stato
un barbone, un povero (appunto) in qualche modo aveva il diritto di farlo.
L’Arte Povera bruciata da un povero. Geniale!
P.s. se poi, a bruciarla sono stati dei
ragazzini in cerca di visibilità social il problema resta: chi ha creato i
mostri? Ed anche in quel caso il destino della Venere degli Stracci ha assunto
la sua funzione: quella di farvi pensare”
Massimo Sgroi 14/07/2023
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LA VENERE DEGLI STRACCI DEL 1967
“La nuova
versione in polistirolo e plastica del capolavoro di Pistoletto, vecchio ormai
di 56 anni, misurava in altezza più di cinque metri e si appoggiava ad una
“siepe” di vestiti dismessi poggiati su una impalcatura di ferro. Era uno
strano oggetto, distante e nuovo rispetto a quello che l’artista, voce
influente della cosidetta Arte Povera, aveva realizzato nel 1967. Allora si era
trattato di una copia in cemento della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen,
trovata in un negozio e destinata ad ornare il giardino kitsch di qualche
neo-ricco.
Eravamo
nella seconda metà degli Anni Sessanta, anni di grande fermento filosofico e
politico. C’era una gran voglia di cambiare, in particolare in campo artistico.
Non se ne poteva più di pittura e scultura, nelle forme tradizionali.
Circolavano nuove parole come happening, environment, performance e anche nel
teatro il palcoscenico era sentito come uno spazio claustrofobico. In questo
contesto nasceva l’Arte povera, che annullava ogni formalismo estetico,
ipotizzando un futuro nel quale l’arte poteva configurarsi solo come discorso
sulla natura del linguaggio dell’arte stessa. Contro la tesaurizzazione
mercantile dell’opera, l’artista utilizzava oggetti trovati, relitti e rifiuti
industriali. La Venere originale era alta circa 130 cm, si mostrava con le
spalle al pubblico, quasi affondata in un cumulo di stracci, un ammasso di
detriti, un caotico mucchio di rifiuti, scorie di un consumismo labile ed
effimero. Un’aporia (nel senso della difficoltà logica di trovare una
soluzione) dell’armonia verso una rappresentazione del decadimento,
dell’imperfezione, dell’effimero, del degrado, della banalità. Come spesso
capita (era successo finanche a Duchamp) le primitive ed ideali idee
dell’artista si scontrano con la realtà del mercato e dei mercanti ed il
successo della Venere ne moltiplicò le copie, realizzate con calchi in gesso,
ed anche una in marmo (realizzata da artigiani toscani) per arricchire
prestigiose collezioni e importanti musei (ne abbiamo una anche al Madre)
incrociando gli sguardi di migliaia di critici d’arte ed anche di comuni
visitatori nel mondo.
La versione
posta in Piazza Municipio ed ora incenerita, era una gigantessa signora desnuda
come uscita dai “Viaggi di Gulliver” ma ideata ed approvata direttamente da
Pistoletto. Quindi un’opera originale, nuova e diversa e non una riproduzione,
una copia fuori scala. Anche le ragioni ispiratrici ed ovviamente il contesto
storico-ambientale non hanno più relazione con l’opera del ’67 dello scorso
secolo. Il problema è tutto qui. Bisognava far capire quali nuovi significati
dare a quest’opera e perché metterla in correlazione con la città di Napoli e
in un contesto, quello progettato da Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura, non
ancora pienamente accettato ed amato dai cittadini napoletani”
Mario Franco 15/07/2023
Salvatore Vargas
Finalmente l'opera d'Arte interagisce con la violenza della realtà
liberandosi della materia mediante il fuoco
Angelo Riviello
Moscato
E secondo me, rientra nella poetica
"poverista", tanto è riproducibile, con un ritorno di immagine non
indifferente per il maestro artista, dell'Arte Povera"...
Salvatore Vargas
Col fuoco rompe la cristallizzazione dell'iconografia dell'opera
smaterializzandosi rafforza l'estetica del concetto sublimandola
Angelo Riviello
Una cosa è una scultura di un Michelangelo (pezzo unico in marmo) e
un'altra cosa è una scultura infiammabile con materiale effimero, rirpoducibile
di un Pistoletto. Una cosa è il Rinascimento e un'altra storia è il contesto
socio-politico-artistico e culturale, di 56 anni fa, in piena contestazione.
Chi si indigna mette in dubbio la sua conoscenza della storia dell'arte, invece
di mantenere viva la coscienza critica, entrando nei dettagli. Resta il gesto
distruttivo, però, simbolico, questo si, nei confronti di tutta l'arte...un pò
come bruciare dei libri, a prescindere dai contenuti. Addossare però la colpa a
un clochard, preso come capro espiatorio, non è giusto".
Da ArtsLife
Lucien de Rubempré 13/07/2023
E se la Venere degli stracci fosse come la
Corazzata Potëmkin?
Barbara Improta
Ma la Corazzata Potemkin è un gran film!
Angelo Riviello
Moscato
infatti. Che paragoni.. Mah?
Angelo Riviello
Esagerato...ArtsLife...
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LA VENDETTA DELLA BELLEZZA
“ La bestialità di chi ha eretto nel cuore di
una delle città più belle e magiche del mondo una Venere ricoperta di sacchi
della monnezza e di stracci, profanando l'archetipo della bellezza, ha fatto la
fine che meritava. Per la cronaca, sembra essere stato il gesto di un
senzatetto, ma il Cielo sceglie spesso mani inconsapevoli per operare... Che la
Vendetta della Bellezza sia profezia per il mondo orrendo che uomini degradati
hanno costruito: possa fare la stessa fine di quel cumulo di stracci davanti
alla Venere Amen.
Antonio Milanese/Comandante Polvere”
Domenico Di Caterino 16/07/2023
Ds Artribune 13/07/2023
La Venere degli stracci a Napoli. Fragilità e
potenza di un’opera in fiamme
Il caso della Venere di Pistoletto, opera iconica reinventata più volte e oggi ripensata per Napoli, in una versione oversize non troppo convincente. Riflessioni tra arte pubblica, simboli e significati, nel rapporto tra opere, realtà e storia.
Era una cosa che poteva accadere. Le opere d’arte diffuse fra
piazze e strade vivono di luce e d’aria, di occhi sorpresi o distratti, di
gesti irreverenti e innamoramenti, di casi, di passi, di sfregi, di
incastri, di piogge, di traumi, di illuminazioni. Esposte agli eventi nel modo
più radicale possibile. A volte calate dall’alto come corpi estranei, altre
partorite nel solco di attenti processi partecipativi. Nei casi migliori capaci
di risuonare con i luoghi grazie a progettualità accurate, ispirate. Segni,
presenze, come frequenze laterali nel solito rumore bianco delle città:
sospese, appese, offerte, condivise, imposte, dischiuse. Con tutta la violenza
e la fascinazione che ne viene.
La storia della Venere degli Stracci
L’ultima Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto si è inabissata in una coltre di fiamme, nel cuore di
Napoli. Divorata da un incendio, all’alba del 12 luglio, a nemmeno due settimane
dalla sua inaugurazione. Si trattava di una nuova versione del capolavoro
originario, vecchio ormai 56 anni. Era il 1967 quando l’artista, destinato a
diventare voce influente del neonato movimento dell’Arte Povera, presentava la
sua creatura: una copia in cemento (imbiancata e lucidata con polvere di mica)
della neoclassica Venere con pomo di Bertel Thorvaldsen (la cui prima versione del 1805 è custodita al Louvre),
a sua volta ispirata alla leggendaria Afrodite cnidia di Prassitele (360 a.C.), andata perduta e nota solo grazie a diverse
copie romane superstiti.
Alta circa 130 cm, l’immacolata Venere
contemporanea dà le spalle al pubblico, volgendosi verso un cumulo di stracci
che quasi la contiene, giungendole fino al capo e incombendo come una montagna,
un ammasso di detriti, un invalicabile, variopinto, caotico bastimento di
scorie non più umane. Un elogio del classico, del bello ideale, dell’equilibrio
apollineo, del logos e dell’armonia; ma anche una rappresentazione
dell’istinto, della miseria, del decadimento, dell’imperfezione, della
fragilità. E ancora l’immagine della storia, del mito e della memoria,
strumenti per rifondare e nobilitare il reale, fin nei suoi aspetti più crudi,
contingenti, effimeri, degradati, banali.
La versione originaria è oggi conservata presso la Fondazione Pistoletto di Biella. Molte altre ne sarebbero nate,
già all’indomani del suo debutto: quelle realizzate con calchi in gesso, quelle
lievemente più alte, quella rivestita d’oro, quella in marmo scolpita da
artigiani toscani. Tra prestigiose collezioni e importanti musei
internazionali, le molte variazioni sul tema hanno incrociato gli sguardi
di migliaia di visitatori nel mondo.
La Venere degli stracci di Napoli
Quella collocata nell’estate 2023 in piazza del Municipio, incorniciata dai bastioni del Maschio angioino, dai vari edifici storici e dallo spettacolo del Vesuvio in lontananza, è una specie di titano, una gigantessa precipitata lì da chissà quale fiaba, con il suo altrettanto ingombrante carico di stracci e di miserie. Era stata realizzata nell’ambito di “OPEN. Arte in centro”, programma d’arte pubblica lodevolmente sostenuto dal Comune e curato dal critico Vincenzo Trione (docente allo lulm di Milano, firma del Corriere e Consigliere culturale dell’amministrazione partenopea): un festival per valorizzare siti storici cittadini, innescando dialoghi temporanei con opere di grandi autori.
La corpulenta Venere non era stata accolta, però, con entusiasmo unanime. Dubbi, travisamenti, e per qualcuno il sospetto di una critica a Napoli e ai suoi aspetti più controversi, tra povertà e criminalità. Niente di troppo anomalo. Che espressioni della ricerca artistica contemporanea non incontrino sempre il favore delle folle, quando compaiono in spazi comuni, è cosa non rara. Vuoi per la naturale vocazione concettuale di molte opere, non sempre così immediate e di facile comprensione; vuoi per l’assenza di adeguati programmi di informazione e di attività per il coinvolgimento dei cittadini; vuoi perché a diventare subito popolare è spesso ciò che nasconde il germe dell’ovvio, della ruffianeria, dell’illustrazione e della didascalia.
A volte, però, accade che un’opera non funzioni davvero. E che questo, in qualche modo, venga diffusamente e istintivamente percepito. Accade, ad esempio, che si trovi ad aggredire un luogo, non inserendovisi con naturalezza, non potenziandolo, non rispettandolo. E che non inneschi processi capaci di liberare esperienze intellettuali o emotive, epifanie spettacolari o sottili, efficaci sintesi simboliche, occasioni di identità e di memoria collettiva.
Era il caso della Venere oversize? In parte sí. Un progetto poco riuscito, nonostante le buone intenzioni e un autore con una storia indiscussa. Questo simulacro fuori scala, questa ennesima copia inutilmente gigantesca, assomigliava più a una trovata scenografica, a un giocattolone alieno, calato dall’alto per ribadire se stesso, volendo a tutti costi spettacolarizzarsi e finendo con l’assomigliare a una versione goffa di sé. Tutto troppo. E senza sufficienti ragioni, a parte l’estrema imponenza della piazza con cui dover rivaleggiare, scegliendo un banale gigantismo: ma perché? Era la collocazione necessaria e giusta?
Persino là dove la verità e il rigore del progetto artistico avrebbero dovuto prevalere, ha vinto la facilità di una scorciatoia: sotto lo strato di indumenti si nascondeva – come rivelato dal fuoco – un’impalcatura in ferro, uno scheletro su cui poggiavano, con un trucco elementare, i pochi stracci necessari a simulare la catasta. Trovata che aumenta quel sapore di posticcio, di gratuito.
Il rogo della Venere in piazza
Municipio
Nulla c’entra tutto questo, naturalmente, con
la combustione che ha divorato la scultura, tra l’indignazione di tutti. Un atto vandalico deprecabile, che nelle ore subito successive aveva
prodotto una cascata di ipotesi. Chi sarà stato? Teppisti del web, alle prede
con una challenge iconoclasta? Un violento, un piromane? L’autore di uno
stupido gesto di contestazione contro l’amministrazione? E se fosse stato
invece il caldo, semplicemente, a far ardere i panni rinsecchiti e cotti dal
sole? E le responsabilità del Comune, invece? Non sarebbe stato necessario un
servizio di vigilanza costante, magari un sistema di dissuasori per scoraggiare
il transito a distanza ravvicinata? A queste ultime considerazioni Trione
risponde con un “no” secco: l’arte pubblica è fatta per la strada, per le persone, per
fondersi con il paesaggio urbano, liberamente. E in effetti – al netto della leggerezza relativa ai
tessuti non ignifughi – un approccio securitario, fatto di vincoli, di
ostacoli, di controlli serrati, è così difficile da far convivere con l’idea di
una fusione a caldo tra spazio pubblico, intuizioni creative, immaginari,
identità plurali, gesti, sguardi, territori, architetture. I rischi esistono,
ma vanno accolti. “Penso che Napoli sia una città incattivita,
ha risposto in modo simbolico con una violenza simbolica“: parole severe, dettate certo dallo sgomento e dal senso di
sfiducia.
E però, alla fine, il responsabile è stato
identificato. Un clochard di circa 30 anni, beccato grazie alle telecamere.
Forse un po’ matto, forse un delinquente, magari solamente un tipo sbadato,
trovatosi incautamente a gettare una sigaretta accesa in direzione della montagna
di tessuti. Denunciato, dovrà chiarire dinanzi agli inquirenti. Ma il
danno è fatto. E una cosa è certa: non c’entrava Napoli, non c’entravano i
ragazzini con le loro sfide social, non c’entrava il quartiere, né nessun atto
organizzato di rappresaglia, di offesa, di attacco all’arte o alle istituzioni.
Il caso, semplicemente. Sarebbe potuto accadere ovunque. Era, del resto,
un’opera pensata come “indifesa“, ha spiegato Pistoletto: “Quasi una vita in mezzo alla vita degli altri“, che come tutte le vite era fragile, esposta, non eterna,
non corazzata. Immagine seducente.
“Il rischio c’era”, continuano a ripetere tutti, ma non si poteva prevedere
un epilogo così violento. E adesso, ci tiene a dire il sindaco Manfredi, sarà
lanciata “una raccolta fondi per far in modo che
questa ricostruzione avvenga anche con una partecipazione popolare”. Più coinvolgimento delle persone, meno pericoli da mettere in
conto.
Arte pubblica, fiamme, simboli e significati
Eppure, a pensarci bene, è proprio quella fragilità
ad aver lasciato un segno singolare, ad aver rivitalizzato
un’opera forse fuori posto, infiacchita da una ricontestualizzazione non
azzeccata. Quel rogo è stato, involontariamente, un
attivatore di senso, un detonatore di significati, l’atto
conclusivo di un teatro dell’imprevisto, del tragico, dell’alea.
La Venere andata in fumo, scivolata
oltre l’involucro di questa (debole) versione, torna con forza a coincidere con
il proprio significato originario, a essere concetto, idea manifesta, simbolo e
inveramento del conflitto tra caos e ordine, tra misura e dismisura. Nonostante
l’inefficacia dell’attuale soluzione formale. Evocazione pura di una dialettica
esistenziale che, nei fatti e lungo la linea della storia, diventa cronaca,
accadimento, scandalo, esercizio di disequilibrio e di tensione, vita vissuta.
Fin nelle spire di un rogo.Apparterrà per sempre, la Venere napoletana,
all’implacabilità del fuoco e alla potenza di un evento
involontariamente performativo, che è già memoria sedimentata
dell’opera stessa. Ce ne ricorderemo nel tempo, ne faremo presto nuova icona.
Un’opera risignificata dal destino, dall’epilogo incendiario. Distrutta e
risorta per riassomigliare a se stessa, alla propria matrice. Ha ribadito
Pistoletto, in una sua commossa testimonianza, che nella Venere degli stracci
si racchiude il dualismo tra “ragione ed emozione“,
tra “la bellezza senza fine e il degrado continuo“, una dicotomia
che cerca continuamente “un’armonia, un bilanciamento“.
La Venere è allora occasione di “rigenerazione”
di quei detriti “fisici, intellettuali,
morali, politici“, accumulati da “una società stracciona“:
l’incendio di piazza del Municipio sarebbe un esempio di “autocombustione del lato peggiore dell’umanità“.
Ora, posto che l’idea di residuo, di
detrito, di informe, di ultimo e di sommerso, non coincide semplicisticamente
con la parte negativa delle cose – suggerendo, nell’intreccio tra luce e ombra,
varie altezze e profondità interpretative – resta questa idea interessante
dell’”autocombustione”, della vampa generata dal reale, che inghiotte il reale
stesso, evidenziandone il côté più oscuro, magmatico, perturbante,
incontrollato.
La dialettica incarnata dalla Venere,
l’idea dell’opera, la sua essenza concettuale, sono riesplose in tutta la loro
forza, offrendo un racconto che ne declina gli impliciti significati,
attualizzandoli, ampliandoli, ancorandoli al presente, facendone visione
ulteriore. Quel che è accaduto è allora figlio del caso ma è anche la
dimostrazione di come la realtà, con le sue logiche segrete, con le sue
asprezze e la sua dose di tragedia, corra incontro alle opere che abitano lo
spazio pubblico e che, fuori dalle mura del museo, investono migliaia di
impreparati fruitori. Una realtà che risponde, in certi casi, con ancor più
incisive aggressioni. Intemperie, crolli, vandalismi, disastri, naturale
consunzione, indifferenza. Cambiano gli spazi, risignificati, attivati e
risimbolizzati dalle opere d’arte. Ma cambiano anche le opere stesse, corpi
sensibili e mutanti, nell’incontro con gli occhi degli altri, con gli eventi,
con la storia, con gli accidenti, con le linee terresti e le prospettive aeree.
Vive, fin dentro la propria sparizione.
Helga Marsala 13/07/2023
PISTOLETTO E LA VENERE DEGLI STRACCI.
Napoli. La notizia. 15 luglio 2023.
“La Venere degli stracci” ennesima copia
dell’opera di Michelangelo Pistoletto va in fumo a Piazza Municipio dopo che
sono stati spesi quasi 200.000€ pubblici del Comune. Un’opera considerata ignifuga, - ovvero
che prende fuoco con “ritardo” - diventa comunque rogo a causa del gesto del
32enne Simone Isaia che all'inizio alcuni giornali hanno definito senza fissa
dimora.
L’accusa è quella di aver provocato un
incendio e di aver distrutto un “bene culturale”, - specificando che il bene
culturale non è ancora definibile “opera d’arte”. Comunque questa ennesima copia va
considerata “ opera concettuale”, che non giustifica però il grave atto del
32enne. Un contrasto è stato segnalato con la
collocazione dell’opera nella piazza più importante e più trafficata di Napoli,
proprio vicina al Palazzo Reale.
La grande riproduzione della ennesima
“Venere degli stracci” di Pistoletto per poco tempo ha fatto parlare di sé, e
dell’avversione generata in molti napoletani per il luogo scelto in cui
allocare l'opera da parte dell’amministrazione comunale. L’effetto è sembrato al sottoscritto
quello di evocare quel settecentesco ed ottocentesco “popolo straccione”
napoletano tanto criticato da molti viaggiatori e scrittori al seguito dei
rampolli dell’aristocrazia europea durante il Grand Tour. Portare la “dea”
Venere in una piazza importante della città fatta con un calco di cemento di
poco valore e con davanti un ammasso di stracci ha avvalorato l’interpretazione
delle credenze del popolo straccione napoletano che facevano da contrasto alla
poco lontana sontuosa e ricca reggia dei Borboni, che è seconda in Italia solo
a quell’altra di Caserta.
Sulla validità e valore dell’opera di
Pistoletto e delle sue tante copie non si discute. Queste ultime fanno seguito alla
rivoluzione nell’arte della scultura operata dal 1912 con il "Manifesto
della scultura futurista" ad opera del più grande in assoluto artista
innovatore delle avanguardie del ‘900: Umberto Boccioni. Egli dichiarava e
auspicava in quel suo manifesto che una scultura potesse contenere una
pluralità di materie come “vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio,
stoffa, specchi, luce elettrica”. Alcuni di questi materiali del resto
sono stati utilizzati per la sua opera da Pistoletto:
Continuo a credere che è stato il posto
in cui è stata collocata l’opera insieme alle teorie postmoderniste
dell’arte-merce che hanno spinto un giovane ignoto ad assurgere alle cronache
per un gesto che ha messo fine a un’operazione decontestualizzata che oggi si
può considerare fosse un “revival” concettuale della prima opera di Pistoletto.
Non importa né che l'autore volesse
raccontare altro, per l'effetto di contrasto del luogo in cui era stata posta
l'opera a Napoli, ma ciò che si sottolinea e si condanna è soltanto il gesto
incendiario di un giovane che cercava notorietà sui social.
Tutti a guardare il video.
L'informazione (teoria dell'informazione 1948, che è costituita da messaggi che
s'inviano attraverso le neotecnologie informatiche) si propaga più velocemente
della comunicazione (che ha bisogno dei vecchi strumenti come i giornali la
scrittura delle opinioni e di un confronto tra un io e un tu). Il messaggio o
slogan informatico vince sempre. O lo decodifichi con gli strumenti logici a
disposizioni o lo rifiuti.
Giuseppe Siano, 20/07/2023
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LA VENERE E GLI STRACCI
In questi
giorni, molti di noi s’interrogano sul perché sia stata data alle fiamme la
Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, installata in piazza Municipio
a Napoli, molto spesso dando una connotazione morale all’evento: c’è chi dice
sia stato un atto deplorevole, chi no. Il generoso artista punta il dito
dinanzi la Luna e ben presto, lo assicura lui sotto invito delle istituzioni,
una copia dell’opera sarà restituita alla città. E allora a me viene in mente
quel genio indiscusso (?) di Andy Warhol, che vendette il ritratto di Marilyn
con il foro di pallottola sparato da Valerie Solanas, nel mancato tentativo di
farlo fuori, al doppio delle copie integre, e non capisco perché Pistoletto non
abbia colto la meravigliosa, direi catartica, opportunità di rivedere,
reinventare, andare oltre ‘sta cazzo di Venere degli stracci formato maxi!
Capisco meno la sua scelta piuttosto che quella di chi ha appiccato il fuoco. E
non lo dico perché non ami quest’opera, benché nel formato maxi non mi abbia
per nulla emozionata, ma perché trovo davvero triste che un artista resti
all’ombra del dito che ha posto dinanzi la Luna. Cosa c’è di alchemico nel
rimpiazzare l’opera?
Dov’è la ricerca dell’artista sui perché l’opera sia stata
bruciata? Dove sta l’indagatore, l’intuitivo, il meraviglioso manipolatore di
argilla? È rimasto lo scheletro della montagna, cazzo, usala! Parti da li, no?
Fai del danno occasione, rimodula dentro di te qualcosa. Trasmuta. Possibile
che tu non scorga Bellezza nell’assenza della Venere dinanzi quella montagna
fattasi scheletro? E leva quel maledetto dito che copre la Luna, lascia che
illumini quella gabbia di ferro fumante e fai l’amore con loro! Io boh! Tutto
‘sto bordello per niente!
Mariagrazia Catenacci, 13/07/2023
Rosa Cuccurullo
Sono d'accordo completamente con lei, ma qui la questione nel rimpiazzare La Venere non penso sia fatta per beneficenza... sarà questa la vera motivazione nel riproporre l'opera della Fondazione Pistoletto mi domando?
POST INCENDIO VENERE
Della serie: scusatemi ma non ci posso
proprio pensare! Di tutto questo cosa rimarrà? Cosa rimarrà se avverrà il rimpiazzo
della Venere degli stracci formato gigante, con una esatta copia della Venere
degli stracci formato gigante?
Cosa rimarrà di tutti i bei discorsoni
dell’artista riguardo la piaga del consumismo (gli stracci) Vs la Bellezza (la
Venere), se alla fine accetta, con entusiasmo addirittura, di ricreare ciò che
non a caso è stato distrutto? La replica in serie non era ed è tipica del
consumismo stesso e non era un concetto a cui gli esponenti dell’Arte povera si
opponevano con gran forza?
Cosa rimarrà di tutto questo, se a ‘sto
punto l’uomo non è più centro, né fuoco da ricercare? Cosa rimarrà di tutto questo se dalle ceneri
lascerà risorgere la medesima dea china sulla medesima montagna di stracci?
Pistoletto, dall’altezza della sua
infinita vanità, ha paragonato l’evento ad un femminicidio, facendo saltare me
è molte altre persone dalla seggiola, peccato che dopo un paio di giorni di
lutto, sotto pagamento rimpiazzi la figlia assassinata.
Cosa ne rimarrà di tutto questo? Forse
solo l’ennesima prova che il Potere e la Vanità sono ridicoli entrambi eppure
vincenti? Il Re è nudo, sa di esserlo e col suo
Pistoletto da fuori, se ne va fiero per le strade della città.
Ecco, cosa ne rimarrà: una triste fiaba
senza alcun lieto fine.
Mariagrazia Catenacci,
14/07/2023
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Video di Livio Marino ('O Mammone - Reels 15 luglio, 2023. su facebook)
https://artslife.com/2023/07/13/e-se-la-venere-degli-stracci-fosse-come-la-corazzata-potemkin/?
https://www.google.com/imgres?imgurl=https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2023/07/12/
https://www.artribune.com/attualita/2023/07/venere-stracci-pistoletto-fiamme-fragilita/